I dinosauri sono (ancora) tra noi.

Prima di iniziare una piccola digressione.
Ieri sera gran bel risultato per noi “mariniani” (o “marinai”? Ancora non l'ho capito...) nel circolo di Mezzana a Prato (dove il sottoscritto sta imparando la politica...), siamo arrivati a soli 2 punti di distacco da Franceschini, lasciando Bersani a quota 21.
Ma Marino non era il “terzo uomo”? Secondo i risultati di Mezzana dovremmo parlare di “Primo uomo e mezzo”. Ma vabbé, vedremo con i dati nazionali (che per ora male non stanno andando...).
Ma veniamo all'articolo di oggi, che poi è legato alla serata di ieri.

Sì, perché durante le votazioni c'era da fare un piccolo dibattito, ed il sottoscritto ha parlato di “dinosauri”. No, niente velleità da Piero Angela, lo spunto mi è venuto da questo video. Take a look:




Robert Kennedy identificava la giovinezza come “quel momento che fa prevalere il coraggio alla timidezza."
Ed è proprio in quest'ottica – o meglio, nella sua ottica opposta – che si inseriscono i “dinosauri”. Perché il “dinosaurismo” non è una concezione anagrafica, bensì mentale, di capacità di adattarsi al futuro.
Perché è questo, secondo me, uno degli errori principali della Sinistra (faccio un discorso sicuramente più generale rispetto a quello che ho fatto ieri sera, che ovviamente doveva incentrarsi principalmente sul Partito Democratico).
Non essere riuscita a tenersi legata al futuro è stato “IL” problema.
Innanzitutto negli uomini. I dinosauri, appunto.

Quante volte abbiamo sentito la frase “l'operaio vota Lega Nord perché è stanco della sinistra”? Questo cosa significa? Che “l'operaio” è stanco della sinistra. E solitamente quando ci si stanca di una cosa vuol dire che la si considera vecchia, no? E quando si considera qualcosa “vecchio”, obsoleto, lo si sostituisce. Ora, se io operaio che ho sempre votato a sinistra non trovo le risposte che cerco “dalla mia parte” ho due possibilità: o non vado a votare oppure voto quelli che vedo, cioè la Lega. Perché – lo ripeto nuovamente – in politica bisogna parlare della gente con la gente. Peccato che la sinistra si sia dimenticata da molto tempo il con.

Un'altra affermazione che mi fa riflettere è che le domande del suddetto operaio da 15 anni a questa parte sono intercettate da Berlusconi e la sua combriccola. Eh no! Perché Berlusconi le domande della “gggente” (lo scrivo alla maniera di Sandro Curzi) non le ha solamente intercettate. Le ha create! Che è cosa decisamente peggiore!

Ma torniamo ai dinosauri. Molti di quelli che adesso si riempiono la bocca con la parola “rinnovamento” sono quelli che erano già sulla cresta dell'onda negli anni '70, personalità di tutto rispetto per carità, ma hanno fatto il loro tempo. Se andiamo a leggere le cronache della FGCI – cioè la Federazione Giovanile del PC – ritroviamo che a scannarsi per la poltrona allora come oggi c'erano due dei maggiorenti del PD. Uno – Veltroni – che spesso ha crisi mistiche (ed in Africa stanno ancora rallegrandosi per lo scampato pericolo...) e l'altro – baffetto D'Alema – che, grazie all'invenzione della mai tanto vituperata Bicamerale (1997) per non rendere Berlusconi una vittima ci ha portato dove siamo adesso. Per cui sarebbe anche l'ora che qualcuno ricordasse al padrone di Ikarus (certo, nel paese dei comunisti con le sciarpe di cachemire vuoi che non ce ne sia uno con la barchetta?) che è l'ora che si faccia da parte e dia spazio a chi capisce le domande della gente. Non perché più intelligente. Ma semplicemente perché ogni tanto stacca il sedere dalla poltrona!

Non c'è bisogno di una “rivoluzione”, anche perché, da quando ho sentito Brunetta definirsi rivoluzionario (il Che si starà rigirando nella tomba, poverino...) è una parola che evito di usare. C'è però bisogno di un vento nuovo all'interno del grande calderone della Sinistra. C'è bisogno di un vento di freschezza reale, non apparente come invece avviene nel “mio” PD in cui in queste primarie due dei tre candidati sono “del secolo scorso”. Non sarà mica il caso di chiuderlo il capitolo del “secolo scorso”?
Come si può – qui parlo con cognizione di causa – avvicinare gli anagraficamente giovani parlando il linguaggio di anni a noi sconosciuti? In particolare quando molti di questi anagraficamente giovani non eccellono certo nel campo intellettuale, proprio perché cresciuti a pane&Tv e non ci siamo mai posti il problema di usare il cervello. Com'è il detto? “Bastano la salute e un paio di scarpe nuove”, no? Ecco, contestualizzandolo su noi giovani direi “Bastano la salute e un paio di Ray-ban nuovi”, e la salute non è nemmeno la parte fondamentale...

***

Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera il 14 novembre 1974, a proposito del Partito Comunista scriveva:
"Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico."
Ecco: questo è quel di cui parlo quando chiedo un “vento nuovo”. Un vento che ci permetta di andare in giro, parlare con la gente – che poi ci dovrebbe, secondo logica e speranze, anche votare – con una faccia “pulita”. Questo vuol dire principalmente che la sinistra – e qui, scusate se me la guardo solo “in casa” ma mi riferisco al PD, degli altri francamente poco me ne cale – deve riappropriarsi del termine legalità. Cosa che solo con “i giovani” è possibile. Noi giovani non siamo cresciuti leggendo le cronache di piazza Tienanmen, del comunismo dal volto umano di Vaclav Havel o di Solidarnosc. Siamo però cresciuti con miti come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che hanno fatto di questa parola – legalità, appunto – non tanto un modo di lavorare. Ma un modo di vivere. Ed è quel che deve fare un partito che voglia considerarsi “altro” dal PdL. Come si può considerarci “nuovi” in accezione legalitaria quando Bassolino – che sarà anche un portatore sano di voti ma non è certo un santo – e quelli come lui sono ancora lì al loro posto (e tra l'altro Bersani ce li lascerebbe tranquillamente...)?

Io voglio cominciare a dire del PD quel che Pasolini diceva del PC. E lo voglio fare prima di considerarmi un dinosauro.

Perché io – rievoco di nuovo lo splendido film di Marco Tullio Giordana – non voglio andare via dal mio paese perché troppi di loro sono ancora al potere. Anche il Tirannosaurus Rex si è estinto, giusto?

Niente di nuovo sul fronte elettorale

Signori miei non ci siamo. Non ci siamo per niente.
Vorrei dire che qui c'è qualcosa che non torna, invece – essendo prassi consolidate da tempo – direi che qui torna proprio tutto. Almeno ragionando alla “vecchia maniera”.

Cos'è successo? Parafrasando Erich Maria Remarque potremmo dire “Niente di nuovo sul fronte elettorale”. Diciamo che quella vecchia concezione per cui le elezioni sono viste come scontri tra fazioni – neanche fossimo ai tempi danteschi dei Guelfi e dei Ghibellini – è ancora attuale. Attualissimo. Vorrei scrivere che sembra uno “scontro tra titani” quello che vede da una parte D'Alema e dall'altra Veltroni. Ehm, no, volevo dire da una parte Bersani e dall'altra Franceschini. Ma più che tra titani mi sembra uno scontro tra elefanti che a malapena riescono a stare in piedi, visto a quali giochini si sta ricorrendo.

Qualcuno potrà ribattere che – essendo fortemente convinto sostenitore di Ignazio Marino – lo scrivente possa essere poco obiettivo. State tranquilli, la mia non obiettività è palese, ed è proprio lei che mi fa propendere per il chirurgo genovese. Proprio perché nel Partito Democratico “nuovo” che voglio io certi giochini non ci devono essere. Ne va della dignità di un intero partito.

Ma veniamo al particolare:

“In Calabria più votanti che iscritti”

titola questa mattina – a pagina 21- La Repubblica. So che a Catanzaro Centro su 379 iscritti ci sono stati nientepopodimenoche 682 votanti (di cui 474 voti alla mozione Bersani). Per chi non lo sapesse queste elezioni sono aperte solo agli iscritti!

Alla luce di ciò credo capiate perfettamente il motivo del mio disappunto. Ma dico io: diciamo tanto che “noi” siamo diversi dall'allegra cricca del Premier e poi continuiamo a fare delle stronzate così?
Come si può andare da un elettore – o potenzialmente tale – e dirgli: “no guarda, devi votare noi del PD perché noi siamo diversi da quegli altri”? Quello come minimo ti tira una sputacchiata in un occhio!! E non gli puoi neanche dire niente, perché che gli vuoi rispondere ad uno che ti fa notare che prima di parlare degli scheletri nell'armadio altrui forse è l'ora che togli la collezione autunno-inverno dal tuo armadio?

Prima di parlare degli altri, bisogna creare – visto che si parla tanto di PD come “partito nuovo” in cui non interessa da dove vieni ma dove vai – una faccia al partito che sia veramente pulita, e non dove si sia messo un po' di trucco, qualche ritocchino estetico qua e là e via, di nuovo in battaglia. Non ha senso riproporre ancora i “giochini del secolo scorso”, perché anche se forse lassù – vista tutta la macchina che si è sempre messa in moto dall'una e dall'altra parte in questi casi – non se ne accorgono, immersi come sono nei loro apparati, ma da quaggiù, in quella che una volta si chiamava “base”, una situazione del genere non è certo vista di buon grado.

Per cui: annullamento dei congressi in cui ci sono state irregolarità – che siano in Calabria, in Campania o dove volete voi e qualunque siano stati i risultati ottenuti – e costruzione di un partito serio, in cui questi modi di fare del secolo scorso rimangano solo nei libri di scienza politica o nei racconti dei militanti anziani. Perché è ora di pensare ad un partito nuovo. Ma che lo sia davvero.

E' semplicemente scandaloso!



Non voglio fare molti commenti, preferisco lasciarli a chi avrà voglia di guardare questo breve estratto dalla seconda puntata di Presa Diretta, il programma di Riccardo Iacona in onda la domenica sera sulla "solita" Rai3.

Mi limito semplicemente a dire che in questo paese, dopo quel che è successo ad Aprile e che sta continuando a succedere - visto che sciami sismici si registrano praticamente quotidianamente - riuscire in un'operazione del genere è semplicemente scandaloso!

Parliamo tanto della crisi della democrazia, delle escort e di un'eventuale caduta di Berlusconi. Iniziare ad occuparci di problemi un pò più "materiali" è forse chieder troppo?

PAZ SIN FRONTERAS!


Plaza de la Revolucion, L'Avana. Cuba.
I Negrita – storico gruppo rock aretino – nel loro ultimo album si chiedono che rumore fa la felicità. Oggi, nella Giornata Mondiale per la Pace, ci si potrebbe chiedere che colore ha la pace. E la risposta è bianco. Bianco come l'enorme distesa di persone che ieri si è riversata in Plaza de la Revolucion a L'Avana, Cuba, al grido di “Paz sin Fronteras”. Pace senza Frontiere.

Un concerto strano, in una Cuba che – nonostante quel che ne pensano i “vecchi” anti-castristi – ha voglia di cambiare, voglia di chiudere con il passato di restringimenti. E forse lo hanno capito anche le nuove leve dei «gusanos», gli esuli che nonostante le forti critiche verso Juanes – uno degli artisti più coinvolti in quel modo di intendere la musica come strumento politico - hanno pubblicato un manifesto di appoggio al cantante colombiano, sottolineando che la cultura, la musica, lo spirito del dialogo, sono lo strumento più efficace per abbattere l'autoritarismo, la repressione, la violazione della libertà (si ricordi che sull'isola ci sono ancora 26 giornalisti cubani rinchiusi in carcere).

"La musica non può rispettare un embargo. Lo rispettino i politici, gli artisti non possono rispettarlo"
Sono le parole di Jovanotti, unico italiano presente al concerto che, insieme a Miguel Bosé (che fortunatamente ha un rispetto all'estero ben maggiore di quello che gli è riservato nel nostro paese), Orishas, Los Van Van, Silvio Rodriguez, X Alfonso, Carlos Varela, Amauri Perez, Olga Tanon, e tanti altri hanno risposto affermativamente all'appello lanciato dall'autore de La Camisa Negra (che solo nell'acefala Italia poteva essere scambiata per canzone filo-fascista) per quello che i media latino-americani hanno definito “l'evento musicale più importante del decennio”.

C'erano 32 gradi “ufficiali”, ieri alle 14 (le 20 in Italia) in Plaza de la Revolucion, quando cioè è iniziato – in perfetto orario – il concerto, tanto che nei giorni precedenti gli organizzatori avevano avvertito di munirsi di cappellini e bottigliette d'acqua. Nel resto del mondo in quell'orario non esiste trovare chi è disposto a fare – o ad andare a vedere – un concerto. Orario congeniale alla diretta in Europa, ma sopratutto orario ottimo per evitare le luci artificiali, visto anche che tutti gli artisti non hanno percepito il becco di un quattrino per esibirsi. Perché ci sono alcuni artisti per i quali “lavorare per la pace” è ben più importante del conto in banca. Sarei curioso di sapere quanti altri “big” lo farebbero. Ma ho paura di non riuscire a terminare le dita di una mano...

Molto spesso si pensa che la musica possa essere veicolo per un mondo migliore o strumento di denuncia dello schifo che viviamo in questo (penso ai 99 Posse in Italia o alle Actitud Maria Marta in Argentina). Sinceramente non so se ciò sia vero, come non so se un concerto possa portare ad un mondo di pace. Forse è solo un progetto visionario, un'illusione. Ma in un mondo sempre più violento, in cui ogni giorno donne, bambini e uomini continuano a morire per la follia di pochi potenti forse c'è davvero bisogno di nutrirsi di quest'illusione.



Qui http://www.yahoo-pazsinfronteras.com/ il concerto in versione integrale...

Militari di serie A e militari di serie B...

Esistono militari e militari, in Italia.
Esistono militari che muoiono esportando la pace saltando in aria su mine anticarro o per colpa delle auto-bombe come nei giorni scorsi, ai quali vanno tutti gli “onori” per essersi fatti ammazzare per la patria.
E poi ci sono militari “disonorati”. Quelli di cui i “generalissimi” al riparo delle loro comode poltrone lontane dagli scenari di guerra non possono andare orgogliosi, perché hanno avuto la sfiga di rimanere in vita nonostante tutto. Nonostante gli attentati, nonostante le bombe, le battaglie. Nonostante l'uranio impoverito.

I primi casi di malattie da uranio impoverito si sono riscontrati nel lontano 1991, tanto da parlare di “Sindrome del Golfo”, poi di “Sindrome dei Balcani” quando iniziavano ad ammalarsi ragazzi che avevano prestato servizio a metà degli anni '90 in Serbia e nell'area balcanica (in cui ancora si ricordano i bombardamenti non negati dal governo italiano dell'epoca...). Ma non c'è bisogno di essere stati a Belgrado o a Kirkuk per ammalarsi di uranio impoverito. Basta andare in Sardegna, nel Sarrabus, costa sud-orientale della Sardegna, distanti circa 80 km da Cagliari. Lungo la Statale 125 che ci porta ad Olbia, esiste un angolo di paradiso di scogliere e spiagge bianche non contaminato dal cemento.
Ambientalismo? No. Presenza di base militare NATO. Anzi, per essere più precisi presenza del più grande poligono d'Europa.

Poligono sperimentale e di addestramento interforze”. È questo il nome del portatore di morte con cui da oltre 30 anni lo Stato italiano ha svenduto e sacrificato non solo l'ambiente, ma la vita dei suoi stessi cittadini in nome di un fantomatico “aiuto internazionale” nell'ambito degli accordi atlantici. Non si capisce perché tutte le “grane” ce le dobbiamo prendere sempre noi, visto che chiunque in questo poligono può entrare, pagare 50.000 dollari e sperimentare tutto quel che gli pare. Teoricamente avremmo potuto addestrare anche cellule di Al Quaeda o forze speciali americane con le più devastanti armi di distruzione di massa senza neanche saperlo.

Come non si capisce – o forse la si capisce perfettamente - la storia del maresciallo Marco Diana, malato di cancro derivante dall'esposizione all'uranio impoverito presente nei proiettili che – a mani nude – ha dovuto maneggiare in Somalia, nei Balcani e nelle innumerevoli missioni nelle quali è stato coinvolto e che – pur essendo ancora vivo – per lo stato italiano è morto nel 2004. Ben 5 anni fa.

Perché i nostri ragazzi che si sono ammalati subiscono più o meno la stessa fine. Vengono risucchiati nelle nebbie del post-guerra di carte secretate, omissis e dimenticanze da parte di chi dovrebbe tutelarli e che invece, nella maggior parte dei casi, non gli assicura nemmeno il risarcimento “per cause di servizio”. Un calcio in culo e via, che non stressassero troppo che noi abbiamo da esportare la pace con i missili.

Che cos'è l'uranio impoverito.
L'uranio impoverito (in inglese depleted uranium o DU), è il materiale di scarto derivante dal processo di lavorazione dell'uranio “grezzo”, un metallo pesanche che si trova nell'ambiente in piccole quantità in rocce, suolo, aria, acqua e cibi. Nella sua forma naturale è composto da 3 isotopi, con una netta prevalenza (il 99,27%) dell'isotopo 238. Nella sua forma “impoverita”, esso è meno radiattivo dell'uranio naturale di circa il 40%. È piroforico, e quindi delle piccole particelle prendono fuoco spontaneamente a contatto con l'aria. In pratica l'ideale per rendere perforanti dei proiettili.
Ed è proprio quel che è stato fatto in Iraq 18 anni fa, così come tracce di u-236 (derivante dalla lavorazione delle scorie nucleari, i cui radionuclidi sono creati dall'uomo e sono estremamente pericolosi per l'uomo e per l'ambiente) sono state rinvenute in Kosovo.
Viene usato sia in ambito civile che militare.
Nel primo caso viene utilizzato come schermatura dalle radiazioni (così come, ad esempio, l'amianto veniva usato come isolante per appartamenti prima che qualcuno ne scoprisse i nefasti lati negativi...) o anche nei rotori di alcuni elicotteri o per gli yacht da competizione. Usato in questo modo è totalmente innocuo, in quanto custodito in appositi spazi che non permettono la contaminazione dell'ambiente circostante ed anche perché difficilmente è soggetto ad esplosione.
In ambito militare, invece, il DU è usato principalmente nella fabbricazione delle munizioni anticarro degli Stati Uniti perché – se lavorato come si deve – il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell'uranio che esplode in tanti piccoli frammenti incandescenti aumentando così l'effetto distruttivo. In pratica un'arma quasi perfetta.

Il forte utilizzo dell'uranio – preferito al suo principale avversario, cioè il tungsteno – si deve anche ad una mera questione politica: gli USA importano circa il 50% del fabbisogno di quest'ultimo dalla Cina, non certo vista sotto l'ottica dell'“amicizia economica”. Basti pensare al bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado nel maggio '99 per avere un'idea del tipo di rapporto intercorrente tra le due super-potenze. Considerando inoltre che – come affermato dalla stessa NATO – sul solo territorio kosovaro sono state lasciate qualcosa come 10 tonnellate di DU, si dovrebbe iniziare a comprendere l'ampiezza del problema.

Secondo un rapporto della commissione ONU dell'agosto 2002 l'utilizzo di rivestimenti all'uranio impoverito ha infranto:

  • Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo;
  • Statuto delle Nazioni Unite;
  • Convenzione sui Genocidi;
  • Convenzione contro la Tortura;
  • le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949;
  • Convenzione sulle armi convenzionali del 1980;
  • Convenzione de l'Aja del 1989

che espressamente proibiscono l'impiego di “armi avvelenate o avvelenamenti” e “armi, proiettili o materiali che possano causare sofferenza inutile”.

I danni causati dalle radiazioni da uranio impoverito sono di tipo cancerogeno, mutagenico-genotossico (come il “mistero” dei bimbi deformi di Escalaplano). Più tutta una serie di leucemie (come quelle che spesso sono diagnosticate ai nostri militari), tumori, malformazioni genetiche che si hanno qualora l'uranio bruci durante un incendio ed i cui effetti ricadono anche sulle generazioni successive (come in una sorta di remake della guerra in Vietnam, dove gli esfolianti utilizzati dagli aerei americani per scovare il nemico continuano a fare danni ancora oggi, a quasi 40 anni dalla sua conclusione).

Nell'ottobre del 1993 il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d'America inizia a prendere sul serio la minaccia dell'uranio impoverito, creando un videotape informativo nel quale si creavano le prime norme generali per la protezione da DU. Tale documento viene trasmesso a tutti i paesi membri dell'Alleanza Atlantica, ma in Italia – guardacaso – lo Stato Maggiore dell'Esercito non lo mostrerà mai agli ignari “esportatori di pace”.

«I soldati americani erano equipaggiati diversamente. Prima di entrare in una zona considerata a rischio indossavano tute protettive, guanti speciali, maschere con filtro. Noi invece lavoravamo a mani nude, le nostre maschere, quando ce le davano, erano di carta, tute niente»

dice un militare intervistato in uno dei tanti, tantissimi servizi dedicati – spesso da RaiNews24 – al caso dei nostri “militari fantasma”.

Le malattie e le successive morti di questi ragazzi si assomigliano tutte. Stramaledettamente identiche le une alle altre, come se un serial killer avesse deciso di prenderli di mira. Peccato che questo killer – silenzioso più dell'amianto – non abbia sembianze fisiche e venga prodotto dall'Occidente, cioè da chi – almeno sulla carta – ha il compito di creare un mondo migliore.

Le loro morti sono tutte uguali. Ma per lo stato neanche la morte basta al riconoscimento della causa di servizio. Perché riconoscere che i militari sono morti per colpa dell'uranio impoverito equivarrebbe ad una ammissione di colpevolezza da parte dello Stato Italiano, il quale ha consapevolmente mandato a morire i propri figli al grido di “pace e democrazia per tutti!

Ed è in quest'ottica, nell'ottica di chi sa di essere in torto, che gli esami periodici che dovrebbero essere fatti per controllare il decorso delle malattie da uranio impoverito vengono fatte in strutture civili – il che significa che tutte le spese o sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale o sono a carico di chi deve sottoporsi ad esami specifici come le tac – oppure non vengono proprio fatte.

Dicono che manca il personale e che non è possibile tenere tutta quella popolazione sotto controllo.
In realtà è solo un modo come tanti per tenere tutto nelle nebbie della post-guerra e non ammettere che né gli americani che producono queste armi né tantomeno noi che le utilizziamo siamo tanto “esportatori di pace”.
E non si capisce perché non ci sia nessuno che si indigna, nessuno che dice di essere “orgoglioso” di questi militari, di “onorarli”. Forse solo perché hanno avuto la fortuna – o la sfortuna, dipende dal come la si guardi – di rimanere vivi?

Per saperne di più:

Questa manifestazione non s'ha da fare...

C'era una volta la manifestazione per la libertà di stampa del 19 settembre.
Bisogna parlare al passato perché questa manifestazione è stata poi spostata al 3 ottobre a causa – almeno questa è la versione ufficiale – dell'attentato a Kabul che ha visto morire 6 ragazzi italiani. Piccolo inciso prima di procedere: non capisco perché debba esserci cordoglio – giustissimo – per le vittime, cioè per ragazzi – e ragazze, allargo il discorso a tutte le guerre e tutti i paesi – ma non c'è mai nessuno che chiede conto ai capi, come ministri della difesa italiani o ex-presidenti degli States, che se ne stanno comodamente seduti in poltrone di uffici ben lontani dagli scenari di guerra mentre a chilometri e chilometri di distanza la gente muore per i loro giochi geo-politici. Perché diciamo “onore ai caduti” e tutti questi slogan ma mai nessuno va sotto i ministeri a protestare per far ritornare a casa questi ragazzi? Che forse questo “onore” sia un onore “a rate”, cioè se non muoiono non sono “onorati”?

Dopo questo piccolo inciso, veniamo al punto dell'articolo: lo spostamento della manifestazione dal 19/09 al 3/10. Perché? Per quale diamine di motivo – possibilmente serio, cortesemente – questa manifestazione è stata rimandata?

Che io sappia, la manifestazione è posta contro l'imbavagliamento dell'informazione veramente libera. Per cui organizzarla a pochi giorni dall'attentato avrebbe potuto dare ancor più forza, perché si sarebbe potuto considerare anche che con un'informazione veramente libera oggi sapremmo cosa stiamo facendo negli scenari di guerra, come lo stiamo facendo, per che e soprattutto per chi lo stiamo facendo.

Inizio seriamente a pensarla come Paolo Flores d'Arcais ieri su MicroMega, e cioè che in realtà, così come il matrimonio tra Renzo e Lucia nei Promessi Sposi “questa manifestazione non s'ha da fare”. E non solo perché il giornalismo italiano è pieno di servi di Berlusconi.

“Nella Federazione della Stampa convive di tutto, dai giornalisti-giornalisti agli aficionados del killeraggio mediatico contro gli oppositori del regime (o anche i sostenitori del governo che solo accennino alla fronda), passando per tutte le gradazioni del giornalismo d’establishment.”

In questo paese – sto notando nell' ultimo periodo – se sei un “servo berlusconiano” devi essere messo al rogo, se sei un “servo dell'anti-berlusconismo” sei visto come il salvatore di una fantomatica patria che dai tempi dell'unità ancora non abbiamo.

Fino ad ora ho sempre visto “la piazza“ come un luogo di battaglie, da far rinascere come e meglio della maniera degli anni '70. Ma stavolta c'è qualcosa di diverso. Di profondamente diverso.
Perché questa manifestazione sembra più il tentativo di creare un mega happening nella capitale che non il vero tentativo di sbavagliare l'informazione. Perché è una manifestazione sterile. Una manifestazione “only for 24h” perché dal 4 ottobre torneremo già tutti davanti ai nostri televisori, a leggere i soliti giornali che ci diranno che migliaia di persone si sono riversate nelle strade capitoline al grido di “siamo tutti farabutti”. E poi? Ok, la raccolta firme proposta su Repubblica da Cordero,Rodotà e Zagrebelsky è stato un passo in più. Ma poi? Come si continuerà? Queste firme verranno presentate nelle sedi opportune o rimarranno negli archivi del quotidiano?
No, la piazza così non mi piace molto. La piazza “sterile” non la capisco.
Siamo sicuri che non esistano modalità più efficaci e forse più moderne?

A me una di quelle più potenti, visto anche chi abbiamo di fronte, viene in mente pensando a qualche giorno fa, precisamente giovedì sera. Ore 21, Rai1. Vi ricordate?
13% di share di Porta a Porta dove il premier spacciava per sua la consegna delle prime case ai terremotati a L'Aquila, dimentico che quelle case in realtà sono opera della Croce Rossa e della Provincia di Trento. Una volta – quando andavano di moda i c.d. “no-global ” ai quali mi sono sempre sentito vicino – si chiamava boicottaggio. Veniva fatto – e viene fatto tutt'ora – solitamente verso le multinazionali imperialiste, tramite la scelta consapevole di non acquistare i prodotti delle imprese che operano non tenendo conto dei diritti dei lavoratori, di quelli ambientali e via discorrendo. Questo stesso principio, se applicato alla televisione – in particolare a quella commerciale, cioè a quella per cui “più gente tengo davanti al televisore più pubblicità avrò”- potrebbe avere dei risvolti devastanti. Sia positivamente che in maniera negativa. Negativamente – ovviamente – per chi di quella televisione è proprietario, che vedrebbe minori introiti e quindi avrebbe meno soldi per comprare le “voci libere” come El Paìs. E positiva per il resto del paese, che finalmente non dovrebbe fare i conti con cervelli ipnotizzati da tette e culi di questa o quella soubrettina di terzo ordine.

Inizio a pensare che sotto sotto una informazione veramente libera non la voglia nessuno. Né chi dice che il bavaglio lo mette Berlusconi né chi dice che in realtà sono i giornali comunisti ad auto-imbavagliarsi. Principalmente per il motivo che tutti i giornali (comunisti, fascisti, socialisti... Anarchici non saprei, francamente...) vivono di pubblicità, quindi se – esempio – una ditta di cosmetici che fa i propri test sugli animali è anche uno dei miei principali finanziatori, capite bene che io editore andrei contro i miei stessi interessi se pubblicassi un articolo dal titolo “la ditta di cosmetici X uccide 1.000.000 di animali l'anno per i test sul nuovo rossetto”. È capitalisticamente ineccepibile se ci pensate un po'. E quindi, comunque ogni giornale ha dei bavagli – grandi o piccoli che siano – ai quali sottostare. Ovviamente sarei ben felice di essere pubblicamente sbugiardato su questo aspetto, ma inizio a pensarla un po' come Beppe Grillo (di cui non sono certo un fan, basta vedere quel che ho scritto in tempi non sospetti): e cioè che la stampa – o la “casta della carta stampata”- contro un'altra casta – politica od economica che sia – sarà un match che difficilmente vedremo (a meno che non si voglia inserire l'informazione in rete, ma sarebbe un discorso dal quale usciremmo forse tra un paio di glaciazioni tra i “pro” ed i “contro”).

Veniamo poi all'ultimo quesito che mi sono posto in merito alla battaglia per la libertà d'informazione. E qui mi piacerebbe poter rivolgere la domanda agli editori. Perché mi chiedo se le “campagne mediatiche” (sapete “Oggi e domani compra l'Unità”, “Siamo tutti farabutti” e simili...) siano effettivamente inerenti alla lotta o servano solo per fideizzare il lettore?

Sono curioso di sapere come andrà a finire questa volta (la curiosità sentendo chi mi sta attorno è una mia dote innata, ma anche questo è un altro discorso...). Non posso che mettermi ad aspettare il 4 e vedere se saremo entrati nell'”Italia 2.0

La rabbia e il Cordoglio...

6 morti. A tanto ammontano le vittime da parte italiana dell'attentato di questa mattina alle 12 (le 9.30 in Italia) avvenuto nel quartiere diplomatico di Kabul, Afghanistan. Dispiace, davvero. Ma dispiace anche per tutte le vittime silenziose, per tutte le vittime che – come le 10 di questo attentato – si annoverano tra i civili, tra gente inerme il cui unico peccato è stato quello di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Non mi importano molto le dinamiche. Tantomeno credo abbia senso fare l'elenco dei nostri morti, quelli tra pochi giorni torneranno ad essere dei numerini alla casella “morti di guerra” (d'altronde, chi di noi ricorda i nomi di tutte le vittime dell'attentato di Nassiyria?).

Ci sono però dei pensieri che mi sono venuti in mente mentre guardavo uno di questi – tanti - aggiornamenti che saranno fatti per un paio di giorni, in cui tutti racconteranno le storie di questi sei ragazzi e poi via, si torna alle solite puttanate che passano in tv, perché se si deprime troppo lo spettatore poi non mi ha più voglia di acquistare, e una tv commerciale, basata sulla pubblicità, di certo non può permettersi una cosa simile. Ma questo è un altro discorso...

A parte il fatto che, ovviamente, nessuno mai avrà la premura di cordogliare i bambini afghani che negli attentati perdono i propri genitori, le mogli che perdono i loro mariti, amici, parenti vari ma si guarderà sempre e solo ai “nostri” morti, come se gli altri – in quanto vittime civili – avessero un peso inferiore. Ma se questo attentato non fosse tale? Nel senso, non fossimo noi i veri “obiettivi”? Non lo so, magari è solo una mia falsa correlazione, ma alcuni giorni fa c'è stato un evento, in terra afghana – non trattato dai nostri organi d'informazione se non da quelli di estrema sinistra – che mi fa pensare che l'autobomba sia una ritorsione per i brogli (in 447 seggi, cioè circa 200.000 schede) che hanno visto vincere Karzai (non è certo un mistero che sia l'uomo politico afghano più vicino agli americani). E quindi se questa si rivelasse solo come la “risposta” dei taliban alla longa mano – lercia di sangue – americana sugli affari interni afghani francamente non ne rimarrei sconvolto.

Cordoglio dalla classe politica, com'è politicamente corretto sia, e due affermazioni che come al solito si distinguono dalla massa: Il nostro Ministro della Guerra – che risolverebbe anche le liti condominiali con i reparti speciali – ha definito “infami e vigliacche le aggressioni”, sottolineando ovviamente che non possiamo fermarci (di questo ne eravamo certi), anche se il suo piano di trasformare la nostra “esportazione di pace” in una guerra propriamente detta (ed in violazione dell'art.11 della Costituzione) ancora non è riuscita.

Il Ministro degli Esteri (il quale è l'unico a parlare di complotto intergalattico contro il Premier, mi chiedo se abbiano già avvisato l'Enterprise di tenersi pronta), ha sottolineato che "la tragedia di oggi è il prezzo che purtroppo dobbiamo pagare per sconfiggere il terrorismo e dare il nostro contributo alla pace ed alla sicurezza internazionale". Io, che ovviamente non sono così esperto come il ministro, credevo fosse il prezzo da pagare per essere stati per anni servi di Bush e della sua follia genocida-petrolifera. Ma evidentemente mi sbagliavo. Così come mi sbaglio quando penso che le parole di Maroni “andarcene sarebbe una resa al terrorismo” vadano lette come “andarcene darebbe un dispiacere a Finmeccanica ed a tutte le altre aziende italiane che producono armi”, giusto?

L'unica domanda buona è quella posta da Di Pietro, il quale si chiede cosa ci stiamo a fare, visto che – cito testualmente - “A forza di starci, e di restarci, in Afghanistan abbiamo perso anche la conoscenza delle ragioni per le quali ci siamo andati”. Rispondergli che è per aver dato il deretano all'ex intelligentone della casa bianca è tanto sbagliato?

Ecco perché militarizzare le città non serve...

Prato – Sono arrivati i militari, addirittura la Folgore, ma il morto ci scappa ugualmente.
È quel che è successo la notte scorsa all'ospedale cittadino dove Mariso Mordini, 72enne, è stato accoltellato da Aida Halilovic, 22enne nata e cresciuta in Italia e di origine rom (ma – è bene sottolinearlo nell'insulso clima xenofobo imperante in questo periodo – italianissima...).

Fin qui la notizia “nuda e cruda”, come si suol dire. Il perché dell'omicidio non è chiaro. La giovane dice di essere stata importunata, ma essendo di origine rom non esiste al mondo che possa venir considerata veritiera – o parzialmente tale – la sua ricostruzione.
Le strade di Mariso e di Aida, tra l'altro, non si sarebbero mai incontrate se in questo paese le regole venissero rispettate. La giovane, infatti, era stata condannata in precedenza a tre anni per furto e tentata estorsione con obbligo a non uscire di casa dalle 21 alle 9 di mattina.
Per quale motivo si trovasse in giro, e per quale motivo nessuno abbia controllato – e presumo non l'abbia fatto mai – che questo obbligo venisse rispettato rimane un mistero, in particolare se si pensa che questa città, lo ricordo per i non pratesi, è entrata a far parte del “programma di protezione militare” per il quale – come ricordavo in apertura – la nostra città è piena (almeno sulla carta) di militari.

Ed è qui che io vedo il corto circuito. Perché questo episodio è la c.d. “prova provata” dell'inutilità del dispiegamento di forze voluto dal Ministro dell'Interno. Il pacchetto sicurezza – a rigor di logica – dovrebbe essere stato fatto, oltre che per dei beceri giochini di chi stando comodamente seduto in un ministero non vive più nella realtà, anche per aumentare la sicurezza in questo paese. Ma se gli omicidi, gli stupri, le rapine continuano ad esserci (prima del pacchetto sicurezza diminuivano, ora credo aumenteranno per il semplice motivo che ne saranno registrati di più...) sono veramente utili questi “magnifici” militari?
Militarizzare le città – ovviamente non i quartieri “a rischio”, come Le Vele o Scampia a Napoli o lo Zen a Palermo, non sia mai che si vada ad attaccare la criminalità vera come la mafia, che quella porta ancora voti – è ormai comprovato non essere la soluzione adatta. In particolare se la sensazione di insicurezza viene montata ad arte dal governo. E noi, popolo televisivo, gli andiamo dietro come tante pecore...

L'ennesimo oltraggio alla memoria collettiva.


La notizia: Cristiano Aldegani, sindaco leghista di Ponteranica (Bergamo) toglie intitolazione biblioteca a Peppino Impastato per intitolarla a tal Giancarlo Baggi, un padre sacramentino morto nel Duemila, residente per molti anni a Ponteranica e del quale, probabilmente, il mondo nulla avrebbe saputo senza cotanta decisione.

Questo signore magari sarà stato anche un grande intellettuale del suo tempo, ma stando a Google è uno dei tanti "signor nessuno" (per Google ho addirittura più fama io di lui...).

Peppino, invece, lo conosciamo tutti.

Peppino è stato il modo di combattere la mafia per gli "analfabeti di legge", cioè per quelli che non potevano permettersi di fare i magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto e tanti tanti altri...

Peppino è stato la presa di coscienza che la mafia si sconfigge prima di tutto delegittimandone quell'atteggiamento di superiorità tipico di chi si sente al di sopra, pur essendo uomo tra uomini...

Peppino è stato il tentativo di far capire alle persone che - come diceva Giovanni Falcone - la mafia è un fenomeno culturale, ed è quello il principale piano sul quale combatterla...

Peppino è stato RadioAut, il primo tentativo di comunicazione di massa anti-mafia...

...ed è stato un ragazzo.

Un ragazzo che ha respirato la mafia fin dai primi vagiti, quell'aria fetida che si respira in certi contesti malavitosi e che ammorba tutt'intorno, senza che nessuno possa farci niente.

Lo hanno chiamato "terrorista", gli hanno dato del megalomane perché aveva deciso di "suicidarsi" lo stesso giorno in cui in via Caetani veniva rinvenuto, nella famosa Renault 4 rossa l'ex Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.
Non lo si può neanche chiamare con quella parola - "eroe" - che un capo di governo dalla fedina penale passata in giudicato ha affibbiato ad un mafioso che gli faceva da stalliere.

Peppino Impastato è stata una di quelle persone per le quali il corpo muore, ma l'anima, il pensiero, gli ideali e le battaglie restano. Continuano solo a camminare su altre gambe.

Questo è stato Peppino. Un ragazzo come tanti altri, con i suoi pregi e i suoi difetti. Con le sue manie, le sue fissazioni. Ma questo paese dalla memoria corta - e quando si parla di mafia lo è ancor di più - lo avrà già dimenticato. E non ci sarà scalpore, se gli toglieranno una targa su una biblioteca. Perché, in certi casi, certe persone è sempre meglio dimenticarle...


...e passerà sotto silenzio l'ennesimo oltraggio alla memoria collettiva.


Peppinu Impastatu fu ammazzatu ri la mafia p'aviri dinunziatu li dilitti di contrabbannu,
di droga e di armi di Tanu Badalamenti, mafiusu
putenti e protettu di lu statu, patruni d'ammazzari,
mfami prigiuricatu, Don Tano ricunusciutu, ri tutti rispettatu e cchiù chi mai timutu pi lu crimini pirpitratu,
p'aviri fattu satari nall'aria Pippinu nostru,
bannera ri Democrazia Proletaria.
Fu na pugnalata nna lu pettu a li piciotti digni di rispettu, a li picciotti ca vonnu grirari la rabbia
pi un putiri travagghiari.
Pippinu, vucca di verità, vucca d'innucenza, rapprisienta a simienza ri sta terra senza spiranza.
Grirava a tutti ri pigghiari cuscienza a la radiu,
a la chiazza, nta li strati, pi li piciotti era comu un frati.
Vuleva fari la rivoluzioni pi dimustrari a la pupulazioni nca nun s'accansa nenti cu li scanti.
Quarcunu lu capiu, tanti autri no.
Nna lu silenziu fattu ri duluri chiovino garofani rossi
comu li lacrimi di chiddu chi arristamu, ncapu li resti di
Pippinu massacratu. Picchì...sti delitti?
[Gaspare Cucinella]

La mia personalissima commemorazione dell'11/09/2001


Dall'invasione dell'Afghanistan nel 2001 fino a oggi (agosto 2009) la guerra ha causato altri 42.500 morti afgani: 11mila civili (7.500 vittime delle truppe d'occupazione e 3.500 degli attacchi talebani), 6mila soldati e agenti di polizia e 25mila guerriglieri. A questi vanno aggiunti 1.350 soldati Usa e Nato.

[Tratto da PeaceReporter]

Telekabul in salsa berlusconiana



Ingredienti:

  • n° 1 popolo che ha perso la forza di arrabbiarsi;
  • n° 1 gran burattinaio che è sceso in politica per scampar la gattabuia;
  • n° 1 cucchiaio di loschi figuri spacciati per giornalisti;
  • n° 1 conduttrice di programmi sul mondo del canto, ballo e recitazione;
  • n° 3-4 direttori di rete e di tg scelti ed allevati con cura sui campi di Arcore;
  • una manciata di ragazze e ragazzi.


Preparazione:

Prendete una parte del popolo, dividetelo in due parti non uguali e mettete la parte più grande in un contenitore insieme al gran burattinaio.
Mettete il contenitore nel frigorifero, così da congelare un po' i cervelli dei giovani e lasciate riposare (più o meno per 15 anni).

Nel frattempo prendete la parte di popolo che ancora è capace di arrabbiarsi, mettete anch'essa in un contenitore e mescolatelo con un mezzo cucchiaio di loschi figuri.
Mettete il contenitore nel microonde e guardate cosa succede. Quando vedrete che l'amalgama si sta dividendo non preoccupatevi. Sono Fede, Feltri e Vespa che dicono che Santoro è comunista e che le inchieste di Report dicono il falso.

A questo punto prendete Santoro e Report e toglieteli dal contenitore. Metteteli in bilico tra la messa in onda, contratti non firmati e tutele legali non garantite, affidando il tutto ad un paio di direttori di rete di razza, tra i migliori allevati e lasciateli lì, senza tutele e tacciati di informazione capziosa.

Ora riprendete il contenitore che avevate precedentemente messo in frigorifero, apritelo e guardate cos'è successo. Se avrete una schiera di ragazzine dai facili costumi il cui massimo sogno è fare la velina ed altrettanti ragazzini senza ambizioni che vogliono solo cantare, ballare e recitare avrete ottenuto l'effetto voluto, altrimenti mettete nel contenitore la conduttrice, mescolate per alcuni minuti ed otterrete così una massa acefala di giovani. Esattamente quel che vi serve.

Prendete le due parti di popolo e mischiatele nel contenitore più grande. Fate ben attenzione a togliere al popolo tutto ciò che può dargli informazioni sulle vicende del gran burattinaio – che nel frattempo sarà diventato il capo indiscusso di tutto il contenitore – affidando l'informazione ai loschi figuri il cui compito è quello di scrivere l'esatto contrario sui giornali o di dare notizie inutili nei tg. Non preoccupatevi, se avete lasciato il contenitore in frigorifero per il tempo necessario nessuno avrà niente da obiettare, saranno tutti presi dallo shopping compulsivo o dall'ammirarsi pettorali tirati su a forza di pasticche davanti allo specchio.

Adesso prendete Report e Santoro ed inseriteli, con calma, nell'amalgama acefala che avete ottenuto. Abbiate cura però di assicurare alla massa acefala che tutto quel che non si può comprare è in mano agli “sporchi comunisti”, così vi sarà più facile far passare leggi ad personam e bavagli alla stampa libera. E' stato notato, in alcuni casi, che l'immissione di Report e Santoro a questo punto della preparazione può portare a montare un po' di rabbia nel popolo. Se questo dovesse accadere, denunciate tutti i sobillatori chiedendo risarcimenti di milioni di euro – tanto sono comunisti, non possono permetterselo – chiudete il contenitore e mescolate per alcuni minuti.

Ecco, appena l'amalgama ottenuta sarà tranquilla, versate tutto in un bicchiere.
Avete appena ottenuto anche voi la vostra “Telekabul in salsa berlusconiana”.

Adesso potete brindare alla (precaria) salute della democrazia italiana.

Spot pubblicitari.


"Cari amici, sono Michele Santoro e ho bisogno del vostro aiuto. Mancano pochi giorni alla partenza e la televisione continua a non informare il pubblico sulla data d'inizio di Annozero. Perciò vi chiedo di inviare a tutti i vostri amici e contatti su Internet gli spot che abbiamo preparato a questo scopo e che non vengono trasmessi."

Questo è il comunicato che compare sulla homepage del sito di AnnoZero. Uno dei pochi programmi (insieme a Report, Presa Diretta e pochi altri) per cui vale veramente la pena tenere la televisione accesa.
Santoro è stato costretto a ricorrere all'aiuto dei suoi amici internettiani - riassumo in breve per chi ancora non si fosse ancora rimesso in pari con l'attualità dalle vacanze - perché, a pochi giorni dall'inizio della trasmissione, i contratti dei suoi collaboratori - in particolare quello di Marco Travaglio - non sono ancora stati siglati. E capite bene che questa altro non è che una mossa politica, voluta dalla cricca berlusconiana per tacitare alcune tra le voci più importanti del contro-sistema berlusconico.





Quindi io raccolgo prontamente e "smercio" i video (che gli amici di Facebook troveranno cliccando qui: video Vauro e Travaglio; video Vauro ). Anche perché non so a voi, ma a me fare un dispiacere a Berlusconi fa un enorme piacere!

Per cui vi invito,

dal 24 settembre alle ore 21

(od in streaming sul sito) a seguire la nuova edizione di AnnoZero. Non c'è bisogno di altre presentazioni.

Della gente, con la gente.


Prato - Non si può certo parlare di un evento mediaticamente ben coperto per l'incontro di questa mattina del senatore e candidato alla segreteria del Partito Democratico Ignazio Marino con la cittadinanza pratese. Nonostante questo però, la sala dell'Art Hotel predisposta era piena in ogni posto disponibile, e quel che spiccava maggiormente – in controtendenza con quel che sembra avenire per le candidature di Pierluigi Bersani e Dario Franceschini – anagraficamente ben redistribuita, con un buon numero di giovani.
“Non si parla della gente, ma con la gente”. È una delle frasi più ricorrenti nei discorsi pubblici del senatore. Ed è da qui che bisogna ripartire – a mio modo di vedere – per ricostruire (alcuni dicono costruire...) un Partito Democratico che sia finalmente degno di tal nome. Ripartire da qui, da una rottura con il passato, con i “ministri del secolo scorso”, come lo stesso senatore sovente ripete nel suo personale giro d'Italia.

Alla presenza del dott. Stefano Ciatti si è parlato di una delle questioni di cui meno si parla in politica, indipendentemente che si sia in una campagna elettorale come in qualche modo è quella che coinvolgerà i tre esponenti del PD fino al 25 ottobre, sia che si sia nella normale attività politica quotidiana, cioè la disabilità.
Un problema – in realtà solo un modo diverso di essere individui, come ha sottolineato lo stesso dott. Ciatti – che colpisce 6 milioni di persone solo in Italia (e 350 milioni nel mondo, numero che equivarrebbe alla 3° nazione del mondo), un numero tale da costituire la 2° regione per popolazione dopo la Lombardia. Questo però non equivale a sostenere l'adeguatezza strutturale del nostro paese verso persone portatrici di disabilità. Si pensi – è lo stesso senatore Marino a dirlo – che le strutture che ospitano il nostro Parlamento non sono predisposte all'accoglimento di persone in carrozzina (assenza di pedane e simili...) ed è questo un vero e proprio deficit di democrazia, che ha un nome e cognome. Si chiamano barriere architettoniche, e differenziano le persone tra serie A e serie B. Lo scrivente è rimasto particolarmente schockato dall'intervento di un signore – un falegname, se non ricordo male – in cui veniva spiegato come, per fare una panoramica dentale ad un bambino disabile lo stesso debba essere addormentato. Ma nessun dentista si sognerebbe di mettere mani in bocca a qualcuno senza una panoramica. E ciò dovrebbe far riflettere sul modo in cui la burocrazia italiana – intesa come rapporto tra cittadino ed enti – non sia assolutamente preparata in tale ambito.

Rimanendo nell'ambito medico si è parlato dell'annoso problema del modo in cui il personale medico e paramedico viene scelto. Avendo di fronte un chirurgo costretto negli anni '80 ad emigrare negli Stati Uniti per avere quelle opportunità che il suo paese non gli offriva, la risposta era decisamente scontata. Un no, secco, alla scelta per amicizia, parentela o per favori futuri. Un sì, ancor più deciso, alla meritocrazia. Nell'ambito sanitario come in quello universitario, campo nel quale molti giovani, per colpa dei famosi “baroni”, sono troppo spesso costretti – appunto – ad emigrare per avere quel posto che gli spetterebbe nel loro paese.

Ed è proprio all'universo giovani che questa mozione – più delle altre, probabilmente – si rivolge. A noi giovani che non abbiamo vissuto “l'epoca delle grandi ideologie” e che non abbiamo “una storia politica” e non possiamo dire di venire da questo o quel partito. A noi che non apparteniamo agli “apparati”, e che per questo schifiamo i giochi di potere. A noi che se abbiamo un'idea non la cambiamo perché ce l'ha detto il leader di questa o quella corrente del partito. La cambiamo perché ci siamo convinti che quel che pensavamo non va più bene, non è più adeguato. Giovani, però, non lo si è solo anagraficamente – come spesso lo scrivente si sente ripetere – ma l'universo giovani a cui il senatore Marino si rivolge è inteso alla maniera di Robert Kennedy, che identificava la giovinezza come “quel momento che fa prevalere il coraggio alla timidezza”. Ed in questo noi “anagraficamente giovani” forse, possiamo dire in modo netto la nostra.

In modo netto e chiaro, con un'unica voce. Così, come dovrebbe ma ancora non è la voce del Partito Democratico, in cui ancora vige quel fenomeno del “ma-anchismo” che si credeva passato con le dimissioni di Walter Veltroni.
Dire dei “sì” e dei “no” chiari ed uscire con una sola voce. Potremmo racchiudere tutto in questa battuta il carattere “gestionale” di un'eventuale segreteria Marino. Perché le persone devono sapere qual'è la posizione del PD sulle varie tematiche (nella conferenza si facevano ovviamente gli esempi del nucleare e della militarizzazione delle città...).

Parlare della gente con la gente. Torno di nuovo lì, a quella frase iniziale. A quella frase che ho sentito pronunciare per la prima volta al senatore Marino durante un'intervista con Bianca Berlinguer e che mi colpì molto. Perché in questa frase – a mio modo di vedere – sono racchiusi i grandi perché dei 15 anni di governo di Berlusconi. Perché la sinistra parla della gente, ma ha dimenticato il con. Ha dimenticato – in molti uomini che da troppo tempo sono nelle stanze del Potere, vicini alle poltrone – quell'umiltà che si deve avere quando si considera che la politica altro non è che un servizio reso alla nostra comunità. Che sia quella cittadina o quella nazionale non è rilevante. Ma è e deve rimanere un servizio da non svolgersi per 30, 40 o 50 anni, come spesso si evince dalle biografie di molti dei leaders politici italiani. Tornare a parlare con la gente attraverso i circoli, per realizzare quella famosa “democrazia dal basso” di cui tutti parlano ma che, all'atto pratico, nessuno ha ancora attuato. Così che le persone sentano nuovamente vicina la politica e – cosa ancor più importante – abbiano gli strumenti per poter dire come i propri rappresentanti lavorano sul territorio e per il territorio. Marino le chiama “doparie”. Nome che forse non è il massimo, ma che rende perfettamente l'idea del modo in cui il senatore concepisce la politica.

Laico, Democratico, Federale.
È così che il senatore Ignazio Marino vede il “suo” Partito Democratico. Per ritornare a fare opposizione seria per la gente. Ma soprattutto con la gente.

La ninna nanna de la guerra


Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d'assassini
che c'insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

Trilussa - 1914

Le foto della vergogna.

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Carcere di Ganfuda, Bengasi, Libia.

Signor Presidente del Consiglio, Signor Ministro degli Esteri, eravate a conoscenza di queste pratiche attuate in territorio libico? Come spiegate la vostra amicizia con un uomo che rende possibile tutto questo? Come potete, voi che vi fregiate di essere "democratici" e di vivere ed amministrare un paese "civile", permettere tutto questo?

Sotto attacco dell'idiozia

«L'incredibile e intollerabile attentato della notte scorsa a Gay Street e' l'ennesima conferma che l'omofobia vive una reale escalation, non solo nei sempre piu' frequenti episodi di violenza, ma anche nelle forme, che sono delle vere intimidazioni, volte a innescare la paura negli omosessuali e transessuali italiani'. 'A questa violenza si impone una reazione, pacifica e di massa.
I violenti devono sapere di essere una miserabile minoranza, ne va del diritto di tutti a vivere in un Paese civile.»
[Anna Paola Concia]


Non capisco. Davvero non capisco cosa stia diventando questo paese. Più lo guardo e più non mi ci riconosco, più lo guardo e più mi fa orrore, paura. Paura di rendermi conto che è questo il vero volto dell'Italia. Il vero volto del mio paese. Xenofobia, servilismo al signor padrone di turno chiunque esso sia. Un paese in cui a fare la persona perbene devi quasi vergognartene perché “non sei conforme”, non ti adegui. Perché questa è l'Italia. Così è sempre stato e così sempre sarà. Un paese in cui se hai il cognome giusto fai carriera, e chissenefrega se non capisci niente di medicina, tanto il posto da primario di tuo zio, tuo padre o tuo nonno ce l'hai assicurato comunque! E se non hai il cognome giusto basta una bustarella. Tanto non fanno tutti così? Un paese in cui se non nasci “geneticamente adatto alla società” sei deriso, umiliato, picchiato. Che tu gay, di colore, disabile o in qualunque altra “maniera non conforme”. È questo il mio paese? È questo il paese che grandi uomini come Giuseppe Di Vittorio, come Gaetano Salvemini, Sandro Pertini, Aldo Moro e tanti altri sognavano mentre giorno dopo giorno lo stavano creando?

“Infastidito da effusioni accoltella due gay ”; “gay picchiati ed insultati a Rimini”; “Bomba carta nella via dei gay”.
Questi sono titoli di articoli degli ultimi giorni. Più li leggo e più mi assale un qualcosa che nemmeno io so bene come definire. Un senso di rabbia misto a delusione, perché quando ti rendi conto di vivere in un paese ex-civile, in un paese che ha svenduto quasi tutto quel che di buono aveva per un paio di tette e culi in televisione ti viene solo la voglia di andartene e mandarlo in malora questo maledetto paese.

Perché? La famosa domanda da un milione di dollari. Perché? Perché succede tutto questo? Perché in un paese che si definisce civile, due ragazzi che si amano non possono andare in giro mano nella mano come una coppia etero? Perché se sei un “macho”, se fai vedere che vai in palestra e fai il gradasso sei visto come uno “tosto” ma se non rispetti quello schema – indipendentemente che tu sia lgbtq o etero – sei considerato un vero e proprio scarto della società?

Machismo. Ecco uno dei grandi problemi socio-culturali di questo paese. È una delle parole più brutte che esistano. Ma non è tanto l'aspetto fonetico in sé che mi interessa, quanto il puro aspetto semantico. Cioè l'aspetto – come dice Ferdinand de Saussure – del significato di questo termine.

“Non sei un uomo se come un frate chiedi perdono. Non sei un uomo se a fare mazzate non sei buono. Non sei un uomo se tua moglia di te se ne fotte. Non sei uomo se.. se non la gonfi di botte. Non sei un uomo se non guidi le macchine grosse. Non sei un uomo se non guidi le macchine grosse.”


Canta quel genio di Caparezza. E mai canzone (“un vero uomo dovrebbe lavare i piatti”) è tanto perfetta per descrivere il machismo. Non so se sia dovuto ai 15-20 anni di decadimento dei costumi nazionali o se è una cosa che già avevamo ai tempi dell'unità formale dell'Italia (perché di quella sostanziale siamo ancora in attesa...), ma so che è ora di dire basta. È ora di far vedere che il “paese reale” - per citare la canzone degli Afterhours alla kermesse sanremese – non è quello dei naziskin. Il vero “paese reale” ha accettato le sue differenze sociali, culturali, etniche. E ne ha fatto un punto di orgoglio e forza. Il vero “paese reale” è quello capace di indignarsi non solo per i soprusi a cui ognuno di noi viene sottoposto quotidianamente sul proprio luogo di lavoro, a scuola o tra amici ma anche quello che sa scendere in piazza per difendere un diritto di tutti. Un diritto civile.

Come succederà venerdì 4 alle ore 18 in Piazza del Nettuno a Bologna, per un sit-in contro l'omofobia, la lesbofobia e la transfobia. E come si usava dire una volta: “accorrete numerosi” perché questo paese non è solo quello delle bombe carta e delle aggressioni. Ma è un paese migliore. Deve essere migliore. Ne va del nostro futuro!