L'innominabile scissione dei Los Zetas

foto: proceso.com.mx
Città del Messico - Tre attacchi in tre settimane. È quanto ha dovuto subire il giornale El Norte di Monterrey, facente parte del gruppo Reforma. L'ultimo episodio in ordine di tempo è avvenuto lo scorso 29 luglio, quando tre uomini armati con indosso maschere da sci hanno incendiato il palazzo che ospita la redazione del giornale. Gli altri due erano stati registrati entrambi il 10 luglio, quando a poche ore di distanza sono stati colpiti due differenti edifici del giornale con fucili d'assalto e granate. Con quello del 29 luglio sono in tutto sei gli attentati subiti dal giornale negli ultimi due anni.

Il giorno dopo è toccato alla compagnia Dipsa – che distribuisce tra le altre anche il settimanale Proceso - il cui palazzo è stato dato alle fiamme. Il gruppo, scriveva Patrick Corcoran su insightcrime.org lo scorso 6 agosto[1], ha una importanza vitale essendo l'unico distributore locale di giornali. Su un muro interno dell'edificio, evidenzia l'articolo, gli inquirenti hanno trovato le scritte “S” e “TER” delle quali rimane però ancora sconosciuto il significato.

Troppi galli nel pollaio. Che oggi il giornalismo in Messico sia, non certo per scelta propria, una delle parti in causa della guerra scatenata dai cartelli della droga lo dicono i numeri, come quelli della Commissione nazionale sui Diritti Umani che parla di 81 giornalisti uccisi e 14 scomparsi dal 2000[2] o degli innumerevoli attacchi alle sedi dei giornali che per questo decidono di dedicarsi ad altro, arrivando a forme di totale auto-censura verso le informazioni che riguardano la criminalità organizzata, come capitato con El Mañana[3].

Oltre agli attacchi alla stampa – che per quanto riguarda l'ex braccio militare del Cártel del Golfo rientrano in una più ampia politica di immagine (criminale) – un altro episodio eloquente in tal senso è accaduto il 13 maggio, quando Jesús Elizondo Ramírez, detto “El Loco”, leader Zetas a Cadereyta, nello stato di Nuevo León, ha disobbedito agli ordini di Miguel Ángel Treviño Morales detto “Z-40” e da qualche mese ribattezzato “il nuovo Giuda”. Elizondo Ramírez, arrestato pochi giorni dopo, ha raccontato ai militari di aver ricevuto ordini dai due leader dei Los Zetas (oltre a Treviño Morales, il gruppo è guidato dall'unico dei fondatori ancora in vita, Heriberto Lazcano Lazcano detto “El Lazca” o “Z-3”) per abbandonare i 49 corpi mutilati[4] – appartenenti a sei donne e 43 uomini – nella piazza principale di Cadereyta, ma di avervi disobbedito conscio delle conseguenze che questo atto avrebbe rappresentato per lui.

Inchiesta Unipol-FonSai. I pm entrano nel "salotto buono" del potere milanese

foto: ilsole24ore.com
Questo articolo lo trovate anche su InfoOggi.it, qui http://www.infooggi.it/articolo/inchiesta-unipol-fonsai-ascesa-declino-e-rinascita-di-un-patriarca/30006/ e qui http://www.infooggi.it/articolo/inchiesta-unipol-fonsai-i-pm-nel-salotto-buono-del-potere/30007/

Milano - Potrebbe essere una fotocopia a far cadere il nome Ligresti dalla torre del potere italiano. La fotocopia di un accordo segreto per la buonuscita della famiglia tra Salvatore Ligresti e Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca è infatti al centro delle indagini della procura milanese, che ha nei giorni scorsi indagato i due per ostacolo alle autorità di vigilanza in relazione all'operazione Unipol-Fonsai, la cui fusione darebbe vita al primo operatore italiano nel campo assicurativo – in particolare Rc auto – con una fetta del 30% del mercato coperta dal gruppo, le cui quote sarebbero più che doppie rispetto al secondo operatore, stando a quanto sostiene Altroconsumo[1].

Oltre al documento segreto, gli inquirenti stanno tentando di capire se Ligresti abbia realmente manipolato il titolo della Permafin – la holding di famiglia – attraverso due società fiduciarie con sede alle Bahamas tra cui la Heritage Trust, nel cui capitale sociale è presente al 12% Giancarlo De Filippo, presidente de La Minoritaria Holding Investment, controllata dall'altra società lussemburghese direttamente riconducibile a Salvatore Ligresti, la Starlife SA.
Terzo filone dell'inchiesta è poi quello legato al crac di Sinergia ed Im.Co., società grazie alle quali Ligresti si muove all'interno della holding e dei suoi affari.

Per capire però come si è arrivati a questo punto, è interessante partire dalle origini, raccontando come si è sviluppato il potere di una delle famiglie che negli ultimi decenni si è potuta sedere nel salotto buono del potere senza imbarazzo alcuno.

Ascesa, declino e rinascita di un patriarca. Nato nel 1932 a Paternò, Catania, si trasferisce prima a Padova, dove si laurea in ingegneria e poi a Milano. Perché se Roma è la capitale politica, Milano è la capitale finanziaria, quella dove girano i soldi veri. Allora come oggi.
È qui che Salvatore Ligresti conosce il “gruppo dei paternesi”, Michelangelo Virgillito, passato dalla vendita di materiali ferrosi a cavallo delle due guerre alle scalate finanziarie, come quella - non riuscita - alla Pirelli o alla Lanerossi, che riesce ad avere grazie all'aiuto dell'avvocato e senatore missino Antonino La Russa (padre dell'ex ministro della Difesa Ignazio). Del gruppo fa parte anche il ragioniere calabrese Raffaele Ursini, di fatto il “delfino” di Virgillito.
Attraverso questo gruppo, in particolare attraverso La Russa, a Ligresti sarebbero state spalancate le porte della finanza e del potere che conta, come quello che in quegli anni è in mano al banchiere Enrico Cuccia, che all'ingegnere paternese aprirà le porte di uno dei pilastri della finanza italiana: Mediobanca.