La mia umanità e l'amore per la razza umana aveva superato tutto quello che mi avevano insegnato


Ethan McCord è un ex membro della compagnia Bravo 2-16, la fanteria coinvolta nell'infame "collateral murder", video rilasciato da Wikileaks nell'Aprile di quest'anno. Padre di due figli e discendente di una famiglia militare ha sognato la carriera in uniforme fin da bambino, arruolandosi "da bravo cittadino americano" all'indomani degli attacchi dell'11 Settembre 2001. Nel 2002 viene inviato in Iraq, dal quale è tornato - lui come tanti - affetto dal c.d. "disordine da stress post-traumatico", un malessere che affligge moltissimi militari che tornano dal fronte.
Quello che segue è il racconto della "sua" guerra, quella lontana dai riflettori e dalle conferenze stampa dei grandi generali di Washington.


Feci, urine, sangue, fumo ed altre cose indescrivibili. Di Ethan McCord (dal blog di Michael Moore)

L'odore era peggiore di qualunque altro odore avessi sentito prima, un misto di feci, urine, sangue, fumo ed altre cose indescrivibili.
Quel giorno era iniziato come molti altri giorni in Iraq. Ci eravamo alzati intorno alle 2:30 per prepararci per la missione, una delle tante che sembravano inutili. Il comandante del nostro battaglione le chiamava "controllo del ranger", ma molti dei soldati come me le soprannominavano "l'idiozia del ranger". Queste missioni consistevano in due battaglioni che camminavano per Baghdad nuova senza essere protetti contro cecchini e IED. Le temevamo e disprezzavamo il comandante del nostro battaglione per questo.

Quella mattina ci siamo riuniti al cancello del FOB (Forward Operating Base) Rustamiyah preparandoci per la nostra "marcia della morte" nella città. Erano circa le 4:00 quando abbiamo sentito le sirene. BOOM la prima non molto lontano da dove eravamo. BOOM questa un po' più vicina. Eravamo abituati a questo, e nonostante avessimo paura, sapevamo che se ci fossimo messi a correre per ripararci saremmo apparsi come dei vigliacchi agli occhi di alcuni dei nostri sottufficiali. Quindi la maggioranza di noi rimase lì, pregando che un colpo di mortaio non atterrasse proprio su di noi. La bravata di cercare di mantenere lo sguardo fisso era ciò per cui vivevamo. Eravamo il 1° fanteria, il vanto dell'esercito, il figlio prediletto. Noi siamo la Rangers 2-16. Ci vantavamo di essere più duri di chiunque altro! Ma guardando negli occhi di questi ragazzi di 18-19 anni potevi vedere la paura, l'insicurezza. Finalmente i mortai si fermarono.

«Sanno che stiamo arrivando!» disse uno della mia squadra. Tentai di tranquillizzarlo che non sapevano che stavamo arrivando, era solo una coincidenza, sebbene neanch'io ci credessi tanto. Iniziammo la nostra marcia nelle prime ore del mattino, non c'era quasi nessuno in strada. Tutto era tranquillo, quasi sereno, potevi rimanere fermo nel silenzio se non avevi paura di rimanere colpito alla gola o in una coscia da un cecchino. I cecchini solitamente vengono da queste parti perché siamo senza protezione. Colpiscono la gola per ovvie ragioni, e la coscia per la tua arteria femorale. Molti di noi solitamente camminavano con il calcio dei nostri M-4 vicino al collo nell'inutile tentativo di proteggerci.

La nostra missione quel giorno era recintare un area della nuova Baghdad ed eseguire quello che viene chiamato "bussa e cerca" che fondamentalmente consiste nel bussare alle porte, dicendo che stiamo cercando materiali relativi alla milizia, armi o materiale per fare le bombe.

I colloqui di pace in Afghanistan possono avere successo? Intervista con Gulbuddin Hekmatyar

In una rara intervista concessa per e-mail, il signore della guerra afghano Gulbuddin Hekmatyar – capo del più debole dei tre principali gruppi insurgenti ed il primo ad impegnarsi nei colloqui di pace con Kabul – definisce il suo piano per fermare i combattimenti.

Di Anand Gopal per “The Christian Science Monitor

Il signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar
[foto Caren Firouz/Reuters]
Gulbuddin Hekmatyar, veterano tra i signori della guerra afghani e capo dell'unico tra i tre gruppi insurgenti principali a partecipare direttamente ai negoziati con il governo. Il suo gruppo, Hizb-ul-Islami ("Partito Islamico", ndt), controlla larghe parti delle regioni nord ed est ed a marzo ha consegnato a Kabul una proposta di pace in 15 punti.
Ma ogni accordo con Hizb-ul-Islami rimane lontano, a causa di disaccordi sul quando le truppe straniere dovrebbero andarsene e sul quando procedere a nuove elezioni. E non è chiaro se i talebani seguiranno l'esempio del gruppo.

Mr. Hekmatyar, presumibilmente nascosto in Pakistan, discute dei negoziati di pace con il Monitor in una rara intervista e-mail. Questi sono alcuni estratti dall'intervista.

«In marzo una delegazione dei suoi uomini è andata a Kabul per esplorare la possibilità di iniziare i negoziati di pace. Perché il suo gruppo ha deciso di dialogare proprio adesso?»

«Abbiamo iniziato i nostri sforzi per la pace subito dopo che il Presidente Obama ed altri leader occidentali hanno parlato per la prima volta della possibilità di ritirarare le proprie truppo dall'Afghanistan. Hanno detto che il caos in Afghanistan non ha una risoluzione militare, che non possono sconfiggere gli oppositori combattendo.
Abbiamo presentato la nostra proposta adesso perché con il ritiro delle truppe non vogliamo che si ripeta quello che successe dopo il ritiro delle truppe sovietiche (la guerra civile). Noi vogliamo arrivare ad un accordo di pace duraturo».

«Il ritiro delle truppe è l'unico modo per fermare i combattimenti?»

«La presenza delle truppe straniere è la ragione fondamentale per la quale continuiamo a combattere. Le truppe straniere devono lasciare l'Afghanistan. Inoltre l'interferenza dei nostri vicini e delle altre potenze deve finire, perché la loro competizione è la causa di questo caos.»

«Quale ruolo vede per se stesso nel governo post-americano?»

«Al momento voglio solo la libertà per il mio paese. Non penso ad altro. Non voglio niente per me stesso, on abbiamo chiesto niente neanche per Hizb-ul-Islami.
Vogliamo che gli afghani scelgano la posizione di ogni partito e persona. E non devono chiedere aiuto agli stranieri per questo.»

I nuovi padroni dell'Afghanistan: il clan Haqqani

Ormai è ufficiale: per uscire dall'impasse la Coalizione dei paesi che 9 anni fa volevano “democratizzare” l'Afghanistan sarà costretta ad attuare quello che da noi si chiamerebbe “rimpasto” del governo-fantoccio di Hamid Karzai riempiendolo di Taleban, proprio coloro contro i quali fu scatenata la guerra che attualmente sta diventando il nuovo incubo per l'amministrazione di Washington. Tralasciando la fatidica quanto scontata domanda sul cosa ci stiamo a fare a questo punto in Afghanistan se coloro che dovremmo combattere stanno diventando in realtà nostri alleati (corsi e ricorsi storici...), c'è un'altra domanda – forse più interessante – da porsi: chi sono i (futuri) nuovi padroni dell'Afghanistan?

Innanzitutto dobbiamo fare un po' di chiarezza, perché con il termine “taleban” - o “talebano” se vogliamo leggerla all'italiana – che altro non sarebbe che il plurale del termine “talib” cioè “studente” indichiamo erroneamente tutto il fronte degli insorti, che invece si compone di ben sette gruppi:

  • i Taleban “propriamente detti” della zona di Kandahar che rappresentano il gruppo più ampio e meglio organizzato;
  • il clan degli Haqqani;
  • il clan Mansur;
  • il fronte di Tora-Bora;
  • il gruppo di Gulbuddin Hekmatyar, noto come Hezb-e-Islami (cioè “Partito Islamico”) che ha influenza su tutto l'Afghanistan;
  • piccoli gruppi salafiti nell'Afghanistan orientale
  • il fronte dei mujāhidīn.

I primi quattro compongono il cosiddetto “Movimento Talebano”, che si rifà all'autorità del mullah Mohammed Omar ed il cui scopo è quello di restaurare l'Emirato Islamico d'Afghanistan, cioè la forma di governo precedente agli attacchi del 2001 ed al governo Karzai accusato – a ragione – di aver affidato il paese ai potentissimi signori della guerra, sconfitti proprio dagli studenti delle madrasse prima dell'avvento della “Guerra al Terrore”, di George W. Bush e di tutto quello che abbiamo potuto leggere in questi anni.

Per parlare del futuro governo afghano possiamo seguire due strade: quella del mullah Abdul Salam Zaeef, ex ambasciatore taleban ad Islamabad e detenuto a Guantánamo Bay fino al 2005, secondo il quale nessuno degli uomini chiave che si rifanno al mullah Omar è stato chiamato per ora in causa («Non escludo che qualche militante secondario abbia aperto un qualche dialogo con gli Usa ed il governo Karzai. Nego però che siano cominciati seri negoziati con i veri alti dirigenti che fanno capo al mullah Omar a Quetta» ha detto durante un'intervista riportata dal Corriere della Sera) e dunque dare alla notizia la poca importanza che meriterebbe, oppure possiamo intraprendere la strada che sembra stiano seguendo un po' tutti i media mondiali per la quale da qualche settimana ben quattro degli esponenti chiave dei Taleban (non certo il mullah Omar, che sembra ormai vivere di luce riflessa dal suo passato e da più parti definito come “marionetta” dei pakistani) sono stati trasportati in una località segreta nei pressi di Kabul per iniziare i colloqui di pace.

Inside the Taliban


"Inside the Taliban" è un documentario del 2007 trasmesso da National Geographic (e riproposto in italiano da Current Tv, versione che però sembra non esistere in rete se non per il trailer) scritto da Aaron Bowden e Terrence Henry e diretto da David Keane nel quale si racconta "l'ascesa, la caduta e la risalita" dei Taleban, dall'"amicizia" con gli americani negli anni della Guerra Fredda fino ai loro rapporti con Osama Bin Laden. È probabilmente uno dei pochi documentari utili per capire perché quello che veniva considerato dagli americani il "nemico pubblico numero 1", cioè il Mullah Mohammad Omar è ancora uno dei leader più ascoltati dagli afghani e per capire, principalmente, chi sono e cosa vogliono i combattenti che da 9 anni stanno sconfiggendo gli americani (dopo aver fatto la stessa cosa con britannici e russi).

La geopolitica del gas


In una delle più famose frasi attribuitegli, Albert Einstein sostiene di non sapere con cosa sarà combattuta la Terza Guerra Mondiale, ma di essere sicuro che la quarta si combatterà con bastoni e pietre.
Sarebbe stato interessante anche sapere se fosse a conoscenza dei motivi per cui le guerre future verranno combattute.
Escludendo i “fattori umanitari”, spesso usati come paravento di ben altre – e decisamente meno nobili – motivazioni, sicuramente le guerre future verranno combattute per il controllo delle risorse energetiche. I prodromi per il futuro conflitto per il controllo di gas e petrolio – cioè le nuove chiavi di volta della geopolitica internazionale e dei suoi equilibri – sono già evidenti.
  • Eni: il cane con le zampe in pasta ovunque.

È il 1953, siamo nell'Italia che tenta di ricostruire se stessa dopo il secondo conflitto mondiale. La parola chiave dell'allora governo De Gasperi VII è una sola: liquidare i vecchi carrozzoni che costano e non danno rendimenti, prima tra tutte l'AGIP, l'Azienda Generale Italiana Petroli, istituita per regio decreto nel 1926 per lo svolgimento d'ogni attività relativa all'industria e al commercio dei prodotti petroliferi. Ad occuparsi della pratica viene chiamato l'imprenditore marchigiano, partigiano e - dal 1948 al 1953 - parlamentare in quota Democrazia Cristiana Enrico Mattei, che non solo non seguì le direttive governative, ma addirittura riuscì a portare il neo-nato Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) a sfidare le grandi multinazionali petrolifere (le c.d. “7 sorelle”) sfruttando un atteggiamento politico per certi versi post-ideologico che permise a Mattei in patria di non avere un referente fisso nell'emiciclo parlamentare – è rimasta celebre la sua concezione dei partiti politici come taxi “sui quali salire, farsi portare a destinazione, pagare la corsa e scendere”- ed a livello internazionale di diventare sempre più interlocutore favorito per quei paesi che, uscenti dall'esperienza colonialista, stavano creandosi il proprio spazio nello scacchiere globale.

Di tempo dal “metodo Mattei” e dall'attentato che ne uccise l'ideatore mentre con il suo velivolo era in volo sui cieli di Bascapè (Pavia) il 27 ottobre 1962 ne è passato tantissimo, così come la natura stessa dell'ENI non è più quella con la quale Mattei l'aveva pensata. Divenuta ormai una delle principali compagnie mondiali, tanto da poter interloquire alla pari con colossi del calibro di Exxon, Royal Dutch Shell e Chevron, si distingue per un ancor più accentuato menefreghismo delle regole e delle leggi nei paesi ove si trova ad operare.

Sconfiggere il terrorismo. (da Current Tv)


Tra il 1983 ed il 2009 nello Sri Lanka si è combattuta una tra le guerre più ignorate dall'intero circuito mediatico mondiale tra la maggioranza etnica cingalese (di religione buddhista) e quella tamil (di religione induista) il cui Fronte di Liberazione - le c.d. Tigri Tamil - è considerato il gruppo terroristico che ha dato origine al terrorismo moderno e fonte di ispirazione per i gruppi terroristici moderni. Allo stesso tempo, però, migliaia di morti e desaparecidos (tra combattenti, popolazione civile e giornalisti) si sono registrati tra le fila tamil. Sono stati davvero loro i terroristi?

I vuoti di memoria di Piero Fassino

«Un esercito in missione di pace è un esercito che spara per secondo».
[Piero Fassino, esponente di spicco del Partito Democratico].

È semplicemente geniale. Un'affermazione del genere ammetto che non me l'aspettavo neanche da quelli di estrema destra. Deve essere per questo che – in bocca a chi si spaccia ancora per uno “di sinistra” - la trovo decisamente imbarazzante. Ma facciamo un passo indietro e ricapitoliamo le puntate precedenti:

Piero Fassino – ex Partito Comunista e tutto il resto – qualche tempo fa aveva fatto trasalire chi ancora ha problemi ad accostare termini come “sinistra” e “centro” ammettendo che [citazione testuale]: «Ve lo dico con franchezza, qualche volta il leghismo nel mio cuore prorompe». E già lì, come direbbe il buon Gaber, ci sarebbe da incazzarsi, perché uno dice: ci ha preso per il culo fino adesso!

Non contento di aver informato l'elettorato che se reintroducessero il voto di preferenza votare per lui potrebbe voler dire votare Lega, nei giorni scorsi il nostro ha aggiunto un'altra piccola perla al bestiario (quella in apertura di post).
La puntata di ieri di “In ½ ora” che – ahimè – ho avuto l'ardore di guardare, si è rivelata interessante per due motivi: il primo è che dopo 9 anni dallo scoppio del conflitto afghano il nostro Ministro della Difesa ci ha finalmente fatto capire che parlare di “peace-keeping”, “missioni di pace” e tutto il corollario oltre che ipocrita è anche sbagliato: noi siamo in Afghanistan per fare la guerra, ed è in quest'ottica che va letta la sua richiesta al Parlamento di armare – o meno – i nostri caccia con le bombe. Più volte durante il programma di Lucia Annunziata il ministro ha sottolineato il fatto che adesso non se la sente più di prendere decisioni da solo, ed ha perfettamente ragione: perché devono grondare sangue solo le sue mani quando possono farlo quelle di tutti i parlamentari? Perché è questo quello che verrà chiesto a deputati e senatori: fare più vittime a suon di bombe. E chisenefrega se per ogni taleban ucciso ci rimarranno sotto anche 3-4 civili: basterà prendere qualche kalashnikov precedentemente sequestrato, metterlo accanto ai corpi delle vittime civili ed in un attimo otterremo anche noi la nostra “strage” di taleban così come in uso all'Isaf [“La fabbrica dei talebani” - PeaceReporter 20/09/2006, articolo presente nei documenti alla fine del post].

Il secondo motivo, ovviamente, sono state le esternazioni di Fassino, che ancora racconta la storiellina delle “missioni di pace”. Non contento, peraltro, in un'intervista concessa a Daniela Preziosi su Il Manifesto di ieri si prodigava nel richiedere la creazione di un “monumento ai caduti”.

War on (T)Errorism: la guerra in Iraq e l'esilio vietato a Saddam Hussein

[http://www.youtube.com/watch?v=KwfDHXT7RBM per chi non riuscisse a visualizzare il video]

Baghdad (Iraq) - È il 30 dicembre 2006. Il leader iracheno Saddām Husayn ʿAbd al-Majīd al-Tikrītī viene giustiziato per impiccagione dalle forze alleate che ormai da tre anni gli danno la caccia.

Con quell'impiccagione il mondo vedeva uno dei suoi peggiori incubi – il regime iracheno e le armi di distruzione di massa in suo possesso – definitivamente concluso. Il cittadino medio poteva finalmente tornare a dormire sonni tranquilli perché, come nelle migliori produzioni hollywoodiane, il bene aveva trionfato di nuovo. O forse no?

Siamo ai primi di febbraio del 2003: Colin Powell – allora Segretario di Stato del primo governo di George W. Bush – presenta in sede ONU le incontrovertibili prove in possesso degli americani che testimoniavano non solo le innumerevoli violazioni della risoluzione 1441 [http://www.un.org/News/Press/docs/2002/SC7564.doc.htm] ma anche la presenza delle armi di distruzione di massa che, si diceva, in breve periodo il leader iracheno avrebbe di certo venduto ad Al Quaeda, con la quale certe erano le connivenze.

«Saddam ha scorte per armare almeno 16.000 testate con agenti chimici o biologici. L'iraq ha già testato le armi chimiche sulle persone utilizzando dei condannati a morte come cavie e non ha giustificato neanche un cucchiaio dell'antrace che ha prodotto» disse Powell durante la sua “deposizione”. Già, l'antrace. In quel periodo c'era una vera e propria psicosi (ovviamente ben alimentata dal sistema mediatico mainstream) ed ogni giorno si potevano leggere notizie di casi in cui anonime buste da lettere erano riempite con questa strana polverina dall'altrettanto anonimo – almeno in termini mediatici – passato. «Ogni mia affermazione è suffragata da prove», ebbe anche l'ardore di dire il Segretario di Stato prima che – dovrà comunque passare qualche anno – il mondo si accorgesse che tutto quello che dall'11 Settembre 2001 fino a quella data era stato “trovato” in merito ai rapporti Iraq-Al Quaeda era una bufala, costruita ad arte con l'unico scopo di togliere di mezzo il leader iracheno. Di lì ad un mese – con l'appoggio di un'opinione pubblica messa all'angolo dalla “Strategia della tensionea stelle e strisce – sarebbe partito il conflitto iracheno che portò alla deposizione di Saddam Hussein, ma che di armi di distruzione di massa non ne trovò neanche mezza! D'altronde Hans Blix e Mohamed El Baradei, allora responsabili del programma di ispezione dell'ONU per accertare la presenza di tali ordigni erano stati più che chiari: l'Iraq, almeno sotto questo aspetto, era pulito.