DreamTv

Immaginatevi questo possibile scenario:
Michele Santoro, Milena Gabanelli, Marco Travaglio, Oliviero Beha, Massimo Fini, i fratelli Guzzanti, Maurizio Crozza e Paolo Rossi insieme, sullo stesso canale. Per ben 5 giorni alla settimana. Sarebbe semplicemente il coronamento di un sogno per ogni cittadino realmente di sinistra e/o per tutti quelli che non apprezzano il teatrino di Sua Emittenza [ivi compreso – ovviamente – lo scrivente]. Fantascienza? No, assolutamente. Anzi, questo progetto dovrebbe essere già in essere da qualcosa come 9 anni. E questo progetto – questa utopia visto come sta procedendo la cosa – ha anche un “ideatore”. Il suo nome è Francesco Di Stefano, e per chi non lo sapesse è il proprietario di Europa7.
Eh sì, avete proprio letto bene. Questo post è ideato proprio per parlare di quella cosa che – in modo bipartisan – sembra essere stata dimenticata sia da destra [ovviamente], sia dal centro-sinistra [per motivi che non sembrerebbero così tanto ovvi, ma che in realtà lo sono...], sia da quel “covo di prime donne” noto come “sinistra” [per motivi che – francamente – ignoro...].
Sì signore, sto parlando – o meglio, scrivendo – proprio di quella cosa nota come conflitto di interessi.
Evito per ovvi motivi tutta la spiegazione dell'annosa querelle “Europa7 vs Rete4”, ve la potete tranquillamente leggere da soli cliccando su questo link http://it.wikipedia.org/wiki/Lodo_Retequattro.

Due fatti in questa settimana hanno “stuzzicato” la sovversività dei miei neuroni. Il primo è stato lo speciale di Rai3 con Saviano, raro caso di televisione non-spazzatura. Il secondo è stato l'intervento del secondo giorno di Sua Emittenza al congresso del PdL(V). Direte voi: e che c'entrano le due cose [direi “che c'azzeccano”, ma mi sta iniziando a venire l'orticaria con certi personaggi...]? Beh, non so a voi, ma a me le connessioni tra le due cose sono chiare. Eccome.

Il destino del PdL(V) dipende dalla capacità del governo di incontrare il consenso dei cittadini
Sono parole di Sua Emittenza dette proprio a quel congresso tra una barzelletta ed un applauso falso degli interinali che riempivano le prime file. Ora, non sono di certo io a dover spiegare “alla nazione” [o meglio, a quei 2-3 lettori che si sorbiscono i miei scritti] come si possa creare “mediaticamente parlando” il consenso dei cittadini [ci sono fior fiori di libri in merito...]. Ma sappiamo tutti che l'idea di Sua Emittenza è quella di creare un branco di cittadini-zombie allineate e sorridenti che lavorino nella grande catena di montaggio (a)sociale che con la sua visione del mondo ci sta propinando da una ventina d'anni a questa parte. Certo, questo processo non è da imputare totalmente all'ex cantante sulle navi da crociera, che altro non ha fatto che evidenziare un paio di caratteristiche insite nel DNA italiota, e cioè il menefreghismo verso il prossimo e verso la res pubblica a fronte di un interesse vivo solo per la “res propria” e lo “scansafatichismo” di cui siamo tra i maestri riconosciuti. E dunque cosa si poteva chiedere di meglio di un humus sociale simile per l'attuazione del “Piano” di Sua Emittenza? Cosa potrebbe chiedere di più chi non è abituato a sentirsi rispondere con un diniego [e nel caso o crea editti bulgari o cose di altra natura...] ?

E invece...E invece capita di trovare delle persone il cui cervello non è ancora lobotomizzato da tette siliconate di veline o di “gentili pulzelle” di natura simile che decidono che non si può vivere in un paese del genere, tanto per non avere il bis di certe pagine della nostra storia – non troppo – lontana. Capita di trovare duelle persone che si sono rotte gli “encomiabili” di un paese in cui ti tocca sorbirti due pseudo-giornalisti che sparano cretinate definendole notizie solo perché “il boss” ha detto così oppure di vedere sui tg nazionali per mesi e mesi notizie che al massimo sarebbero da cronaca locale solo per portare avanti il “governo della paura” per poi dirci che gli altri sono tutti “brutti sporchi cattivi e pure delinquenti” e che ci vogliono le ronde “celoduriste” per portare questo paese alla sicurezza.

Pensate invece quanto sarebbe bello potersi informare senza avere notizie filtrate dall'alto, senza doversi sorbire uno che dovrebbe stare in carcere che sta in prima serata in un reality show, quando magari ben più interessante sarebbe la storia di un giornalista che con la sua piccola tv combatte la mafia in Sicilia*[Pino Maniaci dalla sua TeleJato] e di cui evidentemente non si parla, se non nel circuito degli “scomparsi coglioni di sinistra”. Pensate come sarebbe bello sentirsi raccontare le storie del mondo e non l'ennesimo miracolo tricologico del Premier con uno speciale in prima serata [e magari pure a reti unificate...]. Sarebbe bello, ma questo sogno dipende da noi. Da ognuno di noi. Dipende da quella cosa che chiamano “opinione pubblica”, che deve – se veramente come credo ha a cuore questo paese – combattere per eliminare il conflitto di interessi da questo paese, magari facendo come si usava fare una volta, cioè protestando [no, non si può fare con il televoto da casa], scendendo in piazza, informando le persone, anche a costo di essere tacciati da “rompicoglioni”.

Perché un altra Italia è possibile. Io ci credo. E voi?

Chiudo con la trascrizione della chiusura di un articolo comparso su Repubblica Sabato 28 Marzo [purtroppo non ricordo la firma e me ne dolgo]"...Una tv di qualità, come dimostra ancora una volta il record di ascolti registrato nei giorni scorsi dallo "Speciale Saviano" su rai3, non vuol dire una tv d'elite, per pochi intimi. Vuol dire piuttosto una tv innovativa, impegnata, colta e intelligente: dall'informazione all'intrattenimento allo sport. Ma anche una tv utile, di servizio, dalla parte del cittadino, attenta alla difesa del cosumatore e alla tutela dell'ambiente, capace di interpretare le esigenze e le aspettative del pubblico. In una parola, insomma, una televisione civile." [Repubblica 28-03-09]


p.s. Cliccate sul banner che trovate all'inizio del post per ottenerne il codice html da diffondere sui vostri siti/blog.

Un presidente operaio per un'Italia sul lastrico [o anche peggio...]




"Quando mi hanno domandato 'ma lei cosa farebbe se si trovasse nella situazione di una persona licenziata' - ha riferito il premier - , io ho risposto: beh, non resterei con le mani in mano, cercherei di darmi da fare in qualunque altra direzione, intanto potrei cercare un altro lavoro perché non è detto che una persona debba nascere e morire sempre con lo stesso lavoro e poi mi darei da fare anche in lavori imprenditorialmente da mono persona, cioè cercherei di fare qualche cosa, naturalmente contando sulla cassa integrazione".


Facciamo così. Facciamo come ieri ha insegnato Roberto Saviano su rai3, in quella che io considero una vera e propria perla della televisione italiana [nonché una vera e propria lezione di giornalismo...]. Analizziamo le parole usate da Sua Emittenza.

Sono due i punti su cui mi soffermo, perché due sono le cose che più mi hanno colpito dell'ennesima uscita del premier: “cercherei di darmi da fare in qualunque altra direzione” Ora. Il contesto è di operai cassintegrati o – peggio – licenziati. In tutta la frase ciò che più mi fa pensare è quel “qualunque altra direzione”. O meglio, quel “qualunque”. Onde evitare la gaffe [quelle le lascio volentieri al massimo esperto, cioè il premier...] vado sul vocabolario [Zingarelli '07] e leggo: qualunque: 1. l'uno o l'altro che sia, indifferentemente; 2. Ogni. Notato niente di strano?? “ogni”, “indifferentemente”. Non so perché, ma a me viene da fare una connessione con ciò che qualche tempo fa disse lo sproloquiante ministro-bonsai Brunetta, che ci spiegava tutto entusiasta come, tra gli ammortizzatori sociali [cioè quei mezzi di cui dispone un soggetto privato o pubblico per far fronte a difficoltà occupazionali (ad esempio cassa integrazione o prepensionamento] ci fosse anche il lavoro nero. Ora, lo fate da soli il 2+2 o volete una mano?? No perché a me quel qualunque fa pensare che quindi ci sia l'implicita richiesta di dedicarsi al lavoro nero, cioè a quella prestazione lavorativa non assicurata ed illegale nella quale l'imprenditore [cioè i colleghi di Sua Emittenza...] nel 99,9[periodico] per cento dei casi lo mettono in quel posto al lavoratore per avere più “picciuli”. Oppure, ancor peggio, quel qualunque potrebbe stare a significare – in particolare per gli operai ed i braccianti del Sud – qualcosa come “cari signori, consentitemi di dirvi di cercare lavoro nella criminalità organizzata”, per la quale – come dire – certa gente avrebbe delle entrature vantaggiose [l'ospitalità data a Vittorio Mangano qualcuno se la ricorderà vero??]. Supposizioni di uno “sporco coglione comunista”? Beh, forse sì, forse no. Comunque, andiamo avanti ed arriviamo al secondo black out dei miei neuroni. “[...] Mi darei da fare anche in lavori imprenditorialmente da mono persona, cioè cercherei di fare qualche cosa, naturalmente contando sulla cassa integrazione". E qui credo sia la conferma di quanto ho sostenuto finora. Forse il nostro non sa – visto che non si è mai prestato al lavoro in catena di montaggio o presso un altoforno – che la cassa integrazione non ti permette di svolgere altra attività di natura lavorativa. Cioè, puoi anche metterti a fare un altro lavoro, ma devi rinunciare alla cig. Oppure – appunto – ti trovi un bel lavoretto in nero. Non so, esempio in un bel cantiere edile che tanto ora con la cementificazione del paese verranno su peggio dei funghi [qui per me si chiude il cerchio...].

Comunque, in conclusione vorrei fare una piccola deduzione [che è anche un “sogno” personale]. E qui vado a rompere l'anima niente meno che ad Aristotele ed i suoi “analitici primi” [così che nessuno possa dire che non studio...]

Aristotele ci insegna che “premessa 1”+ “premessa 2”= conclusione. Orbene. Allora sostituiamo questi generici termini [che non sto qui a spiegare, finché ci sono le scuole pubbliche usatele oppure andate in rete a vedere 'sta storia...] con una cosa simile:

premessa1: gli imprenditori [e gli operai] devono rimboccarsi le maniche [parole di Berlusconi, che ancora non ha smentito];

premessa2: “Berlusconi [fino a prova contraria] è un imprenditore”

Conclusione: “Berlusconi deve rimboccarsi le maniche”...



Allora mi chiedo: in base al detto aristotelico, quando ci ritroveremo il premier a raccogliere i pomodori in Puglia [ovviamente a nero...]??

Che poi mi chiedo perché una cosa simile non l'ha detta - visto che era ad Acerra - di fronte agli operai cassintegrati di Pomigliano D'Arco [ma vabbè, questa è un'altra storia...]

Viral News: fermate l'acquisto dei 131 cacciabombardieri JSF

In questi giorni il governo italiano sta chiedendo al parlamento il parere positivo alla continuazione della produzione di 131 caccia bombardieri Joint Strike Fighters che impegneranno il nostro paese fino al 2026 con una spesa di quasi 14 miliardi di euro.

Si tratta di una decisione irresponsabile sia per la politica di riarmo che tale scelta rappresenta, sia per le risorse che vengono destinante ad un programma sovradimensionato nei costi sia per la sua incoerenza (si tratta di un aereo di attacco che può trasportare anche ordigni nucleari) con le autentiche missioni di pace del nostro paese.

Con 14 miliardi di euro si possono inoltre fare molte altre cose in alternativa. Ad esempio si possono contemporaneamente costruire 5000 nuovi asili nido, costruire un milione di pannelli solari, dare a tutti i collaboratori a progetto la stessa indennità di disoccupazione dei lavoratori dipendenti, allargare la cassa integrazione a tutte le piccole imprese.

Il parlamento faccia una scelta di pace e di solidarietà; blocchi la prosecuzione del programma. Destini le risorse alla società, all'ambiente, al lavoro, alla solidarietà internazionale.


Oltre ad essere totalmente anticostituzionale [l'Art. 11 infatti recita, al primo comma: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa...] Questa operazione è sbagliata sia dal punto di vista morale [ma vabbè, certi politici non hanno la più pallida idea nemmeno di come si scriva il termine "morale"...] sia dal punto di vista economico, visto e considerato il periodo. La società civile - se davvero esiste in questo paese - deve fare qualcosa. Non potendo purtroppo piazzarsi davanti agli aerei al momento del decollo l'unica cosa che si può fare è fare pressioni sui decisori, cioè sul Parlamento. Tramite un'adesione on line all'indirizzo info@sbilanciamoci.org [Sbilanciamoci è il nome della campagna...] e, ovviamente, tentare di coinvolgere quante più persone possibile ["infettando" l'opinione pubblica di libero pensiero...]

Speculazioni "popolari"



Via Bravetta, Roma.13 anni passati in un residence. Poi - di punto in bianco - italiani e stranieri [per lo più regolari...] vengono sbattuti fuori dall'allora giunta Veltroni. Così, senza avvisi e senza apparenti "colpe" [mentre i palazzinari stanno belli tranquilli...]...Via Bravetta è solo uno dei tanti esempi di un'emergenza che va oltre la c.d. "emergenza sicurezza". Si chiama "emergenza abitativa". Ma nessuno - o quasi - ne parla....
Gli alloggi di edilizia sociale oggi disponibili sono 952.800, a fronte di 2.580.000 famiglie che ne avrebbero pieno diritto. Sono questi i dati – aggiornati al novembre 2008 – presentati nel rapporto degli edili della CGIL. Questi dati indicano – specifico, ma non ce ne sarebbe alcun bisogno – che più della metà delle persone che vivono in affitto in realtà non potrebbe permettersi di pagare un canone di locazione. “Una delle cose che mancano, nel cosiddetto Piano Casa del Governo, è esattamente il sostegno a coloro che vivono in affitto, a coloro che sono sfrattati, alla costruzione di alloggi popolari” dice Guglielmo Epifani, segretario generale CGIL, commentando i dati di uno studio del Sunia [Sindacato unitario nazionale degli inquilini e assegnatari di case] secondo cui senza misure di sostegno al reddito delle famiglie in affitto nel triennio 2009-2011 si prevede che altre 150.000 famiglie [quindi, facendo un paio di calcoli – ipotizzando un nucleo familiare minimo composto da 2 persone – circa 300.000 persone] subiranno uno sfratto per morosità. Che, in termini “caserecci”, vuol dire che si ritroveranno in mezzo ad una strada.
Da cosa deriva tale situazione?
Causa principale non è – come sarebbe logico pensare – la richiesta di chi una casa non ce l'ha. Il “problema” [anche se francamente faccio fatica a definire “problema” dei diritti sacrosanti di ogni individuo] è costituito per lo più da chi una casa ce l'ha, ma non riesce a pagarne l'affitto. E questo è causa della conformazione stessa del mercato immobiliare italiano che, nell'ultimo decennio è andato a soddisfare per lo più una richiesta di abitazione “per proprietà” non rispondendo ai fabbisogni delle fasce sociali più deboli. A ciò, poi, si aggiungano i soliti profitti speculativi di chi non si rende conto – vuoi per stupidità, vuoi per interesse – che un'abitazione [sulla quale dal mio punto di vista si basa la dignità sociale di un individuo, insieme ad un lavoro dignitoso] non può subire le stesse regole di un mutuo bancario. Basta guardare a quei micro-scandali che ogni tanto scoppiano quando si parla di “affitti in nero”.
Come si può risolvere questa situazione?
Beh, sicuramente ampliando l'offerta di “edilizia popolare”. In rapporto con gli altri paesi europei, infatti, l'Italia registra una tra le più basse percentuali di alloggi di edilizia sociale pubblica pari al 4% a fronte del 36% dell'Olanda, del 22% dell'UK e del 20% della media comunitaria. Dagli anni '80 l'offerta abitativa pubblica nel nostro paese si è ridotta del 90%,
Io noto, nonostante l'enorme distanza “ideologica” che ci divide, che alcune buone idee sul “Piano Casa” potrebbero venire addirittura dal c.d. “Mutuo Sociale” proposto da Forza Nuova, in particolare ove si verifichi la vendita delle abitazioni a prezzo di costo [quindi senza alcuna possibile speculazione sulle spalle delle famiglie affittuarie, per lo più composte da operai o comunque da famiglie monoreddito] e laddove si pone come punto principale per la richiesta di un alloggio che nessun componente del nucleo familiare richiedente risulti proprietario di immobile.
Io chiedo – da ignorante in materia – se non sia il caso di rivedere tutto ciò che intorno all'”abitare” ruota. In particolare sull'abitare “sociale”, laddove vengano detassate abitazioni di coloro per cui pagare un affitto non è un problema. Ad esempio introducendo una tassazione proporzionale al reddito lordo, che presupporrebbe anche un aumento dei controlli fiscali per fare in modo che chi si ritrova con l'attico in pieno centro a Roma non si ritrovi a pagare meno di chi abita in un monolocale nella periferia sperduta e dimenticata da Dio.
Perché l'abitazione è un diritto. E sui diritti non si specula.

Stesso sangue, stessi diritti

[Qui il video per i lettori di Facebook]
Sangue, lacrime, sudore e sorriso.
Sono questi i simboli scelti dalla CGIL per la campagna "Stesso sangue, stessi diritti" contro la deriva xenofoba dello stivale.
Sangue, lacrime, sudore e sorriso. A significare, come ha sottolineato Morena Piccinini, altrettante rivendicazioni di eguaglianza nel campo dei diritti civili e di cittadinanza; in quello del lavoro, della prevenzione e della sicurezza; nel welfare e nei diritti sociali; e anche nella legittima aspirazione di ogni essere umano alla gioia, alla felicità, al benessere.
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Dei quattro disponibili io ho scelto solo uno dei banner, e non l'ho scelto certamente a caso. Non so quanti di voi - voi che vi eccitate al grido di "immigrato=delinquente", voi che "tutti a casa loro", voi che tanto invocate sicurezza - si siano effettivamente posti il problema della sicurezza in Italia.

232 morti
232178 infortuni
5804 invalidi

Eccoli qua i dati - che trascrivo pari pari da Articolo21 [http://www.articolo21.info/]- sulla sicurezza. Sono dati freschissimi, presi alle ore 14.38 di oggi [cioè nello stesso momento in cui sto scrivendo il post].
Questi dati, per chi non lo sapesse, riguardano una guerra che l'Italia combatte senza accorgersene, o meglio, facendo finta di non accorgersene. Una guerra che fa circa 1.000 morti all'anno [1052 nel 2008]. E' una guerra particolare, una guerra che non viene combattuta tra eserciti regolari che si contrappongono su un terreno di battaglia. E' una guerra così particolare che anche le sue vittime non sono chiamate "morti di guerra". No, le chiamano "morti bianche" e sono le morti, gli infortuni e gli invalidi che in questo paese fa il lavoro. Un lavoro nel quale ci sono quelli "buoni" e quelli "malamente". Ci sono quelli che si spaccano la schiena davanti ad un altoforno pregando che non si sviluppino incendi perché sono costretti a lavorare con gli estintori scarichi; ci sono quelli che tirano su i palazzi "di lusso" senza le protezioni minime che la legge imporrebbe. E poi ci sono quegli altri. Ci sono quelli che in giacca e cravatta "abbassano i costi" tagliando sulla sicurezza, quelli che "devono guadagnare perché pure loro tengono famiglia" e si vanno a comprare le braccia per tirar su il nuovo quartiere di lusso nel centro città o per raccogliere i pomodori in Puglia. Poi succede che - ad esempio - in un incendio all'altoforno muoiono alcuni operai, oppure un muratore cade dall'impalcatura troppo bassa perché - essendo un essere umano, checché se ne dica e se ne pensi - è stanco dopo una giornata di lavoro, magari sotto il sole. E li vedi lì, quelli in giacca e cravatta, li vedi fare interviste ai giornali e dire "mi dispiace..." Ma mica gli dispiace per quelle vite spezzate, per le famiglie messe in mezzo ad una strada perché dovevano "contenere i costi"...no!! Gli dispiace più per la pensione che hanno pagato, ma vabbè, che sarà mai...si abbassano i costi con un paio di "interinali" e si risolve tutto!!

Sinceramente non so quanti di quelle persone che ci sono dietro a quelle cifre siano italiane e quante siano straniere. Una cosa però la so. So che un lavoratore - italiano o straniero che sia - quando muore si porta dietro la disperazione di chi con lui condivideva la quotidianità, quella quotidianità che ogni singolo cittadino italiano rivendica per sé al grido di "Italia agli italiani", dimenticando che una volta quello "brutto sporco e cattivo" era lui...

In conclusione, vi invito ad aderire alla campagna della CGIL "Stesso sangue, stessi diritti". Vi basta cliccare qui: "http://sviluppo.cesi.cgil.it/firme/stessosanguestessidiritti/"

Malalai Joya. La voce democratica dell'Afghanistan


"Il mio nome è Malalai Joya della provincia di Farah. Con il permesso degli stimati presenti, in nome di Dio e dei martiri caduti sul sentiero della libertà, vorrei parlare un paio di minuti. Ho una critica da fare ai miei compatrioti, ovvero chiedere loro perché permettono che la legittimità e la legalità di questa Loya Jirga [il "gran consiglio" afgano, ndr] vengano messe in questione dalla presenza dei felloni che hanno ridotto il nostro paese in questo stato. [...] Essi sono coloro che hanno trasformato il nostro Paese nel fulcro di guerre nazionali ed internazionali. Nella nostra società sono le persone più contrarie alle donne, e quello che volevano...(clamori, si interrompe). Sono coloro che hanno portato il nostro paese a questo punto, e intendono continulare nella loro azione. Credo sia un errore dare un'altra possibilità a coloro che hanno già dato tale prova di sé. Dovrebbero essere portati davanti a tribunali nazionali ed internazionali. Se pure potrà perdonarli il nostro popolo, il nostro popolo afgano dai piedi scalzi, la nostra storia non li perdonerà mai. "

Karzai è un fantoccio. Le forze internazionali dovrebbero aiutarci davvero a riportare democrazia e giustizia. Non dovrebbero occuparci. Troppi soldi dati ai signori della guerra e pochi alla ricostruzione. L'invasione ha gettato il paese dalla padella alla brace.
Non ha certo timori reverenziali questa giovane donna afghana, nata nel 1978 da una famiglia povera trasferitasi in Pakistan dove, nel campo profughi di Quetta "mi resi conto delle sofferenze che la mia gente era costretta a vivere. Non capivo perché. Così iniziai ad assistere i malati, soprattutto le donne, nell'ospedale da campo." Dice in un intervista al sito PeaceReporter. Nel 1998 torna in Afghanistan, precisamente ad Herat, dove entra nell'Ong Opawc (Organization of Promoting Afghan Women's Capabilitie) che si occupa di assistenza a donne indigenti e promozione della coscienza dei diritti e del ruolo sociale delle donne afghane. Nel 2003 viene eletta all'assemblea delle tribù che doveva stilare la carta costituzionale del paese, denunciando da subito i misfatti dei "signori della guerra" [il video che trovate in apertura di post o qui per i lettori di Facebook http://www.youtube.com/watch?v=iLC1KBrwbck ] cosa che le costa la richiesta di espulsione dal parlamento per "impertinenza" nei confronti dei "signori della Jihad". Le venne altresì imposto di chiedere scusa per le sue parole. Ma Malalai non lo fece, e da quel giorno la sua vita è scandita dalle minacce di morte.

Costretta a cambiare casa in continuazione [alcuni dati dichiarano 15 giorni, altri 2 mesi] questa coraggiosissima assistente sociale dal corpo esile e dal volto da ragazzina non ha avuto un minimo di esitazione nella scelta se sprofondare nell'anonimato (e quindi salvarsi la vita) oppure continuare le sue battaglie (a proprio rischio e pericolo). La scelta evidentemente è stata oltre che coraggiosa anche premiata dal popolo afghano, dalla sua gente se è vero che con 7.813 voti "(in un paese dove si vota per fedeltà di clan, io ho raccolto consensi in diversi gruppi" sostiene in un'altra intervista concessa a Repubblica) ha potuto rappresentare Farah, la sua provincia, tra i 249 parlamentari afghani [alla Wolesi Jirga, la Camera dei Deputati afghana].
Dico ha potuto perché il 21 maggio 2007, con un atto del tutto illegale, Malalai è stata espulsa dal parlamento per aver criticato il governo esponendone la natura antidemocratica e fondamentalista e denunciando la presenza in esso dei "signori della guerra", trafficanti di droga e violatori dei diritti umani.
Ufficialmente questa espulsione le proviene da questa affermazione: "una stalla o uno zoo sono meglio (del Parlamento)" In realtà l'estromissione dall'istituzione parlamentare deriva dalla posizione contraria che Malalai ha assunto di fronte all'amnistia che, in nome della pacificazione nazionale, condona i crimini dei signori della guerra dal 1979 ad oggi.

Nella stessa intervista a PeaceReporter dice ancora: "Capii che la mia missione era far sentire la voce del mio sofferente popolo contro quei criminali che in nome dell'Islam hanno distrutto le nostre case, ucciso la nostra gente, calpestato i nostri diritti e rovinato le nostre vite, e che continuano a farlo in nome della democrazia e con il sostegno dei governanti americani ed europei, che hanno sostituito un regime criminale [quello dei Taliban, ndr] per sostituirlo con un altro regime criminale".

Francamente fino a ieri sera - finché non ne ho visto una brevissima intervista a Presa Diretta, il programma di Riccardo Iacona - non avevo mai sentito parlare di Malalai Joya. Ma ieri sera in quel video, qualcosa mi ha rapito. Letteralmente. Non so se sia stata la sua determinazione, le sue parole od il suo sguardo. Ma so che ci sono delle storie - delle persone - che non possono rimanere sotto silenzio. In particolare se quel silenzio può rivelarsi per loro fatale.

La Nigeria dell'oro nero.

di Mariana Van Zeller per Current Tv

I video originali di questo articolo non sono più disponibili in rete. Qualcosa dello stesso genere lo trovate a questo indirizzo http://current.com/items/76468982_nigerias-fuel-crisis.htm

La Nigeria, nello specifico la regione del Delta a sud del paese, viene spesso identificata con povertà ed instabilità politica. Un quadro che rappresenta poco la reale ricchezza della regione che oggi esporta circa 2 milioni di barili di petrolio al giorno e garantisce il 40% del gas naturale del continente. Un business che però lascia ben poco spazio alla partecipazione dei nigeriani. Sono infatti le grandi compagnie petrolifere multinazionali a gestire il mercato del cosiddetto oro nero e del gas.
La Nigeria è paese membro dell’OPEC dal 1971, tuttavia i governi locali di turno non hanno mai messo a punto una strategia economica per lo sviluppo del paese. Hanno invece dato il loro benestare alle attività di estrazione delle compagnie straniere attraverso un’apertura al
capitale straniero senza valutazione di impatti ambientali e, quindi, senza alcuna tutela dei diversificati e già esistenti settori produttivi locali.
La regione del Delta del Niger, a trent’anni dall’inizio delle esplorazioni del greggio, si presenta come una grande distesa di campi irrigati da fuoriuscite di greggio e fiumi ricoperti dal suo strato nero. Una coltre nera in costante espansione sulla scorta della crescente domanda di gas e petrolio a livello mondiale, che ha portato alla strutturazione di grandi progetti nell’area come il Bonny Island e il West African Gas Pipeline.
La città di Port Harcourt è definita la roccaforte delle grandi compagnie, un paesaggio marcato dai grandi impianti di estrazione del petrolio. Tecnici e militari sono i personaggi che popolano questa parte del paese. Si tratta dei tecnici della Shell, della Chevron o dell’Agip. I militari sono invece “gli occhi e le orecchie del re” dei governi conniventi.
Le attività relative all’estrazione degli idrocarburi richiedono infatti una grande presenza di militari nella regione per garantire alle compagnie di procedere in sicurezza rispetto alle minacce dei gruppi di ribelli. Il fenomeno degli attacchi ai dipendenti delle grandi compagnie petrolifere risale agli inizi degli anni ’90. Il primo gruppo che ebbe una certa eco fu il MODOP, il gruppo costituito dalla comunità degli Ogoni. Il MOSOP avviò una campagna contro la Shell affinché la compagnia si prendesse maggiori responsabilità in merito al forte inquinamento causato e provvedesse ad una più equa redistribuzione dei profitti.
Tra il 2002 ed il 2004 si è assistito ad una recrudescenza della lotta armata dei ribelli contro le attività di estrazione dell’oro nero tanto che la regione ha registrato una diminuzione del 15 percento dei propri proventi dal settore. L’antagonista principale della presenza straniera
nell’area a sud del paese è oggi il Movement for the Emancipation of the Niger Delta (MEND). Minacce di morte e rapimenti sono oramai molto frequenti.
Il clima di grave instabilità del paese rappresenta oggi la fase avanzata di una crisi interna mai sanata. Tra le fila del MEND ci sono tante donne ed anche molti bambini. L’immagine è quella di una guerra intestina in cui il popolo del Delta della Nigeria, affamato e esasperato, combatte la classe dirigente locale - che da anni svende la propria terra e la propria popolazione. La violenza ai danni dei dipendenti delle grandi compagnie rimane un tentativo di sabotaggio delle scelte degli stessi governi locali.

Bienvenidos en el Infierno...


Ciudad Juarez (Messico) - Questa, è una storia un po’ particolare...è una di quelle storie che piacciono al giornalista che è in me, perché questa storia racconta una realtà difficile, di quelle realtà che quando te le raccontano ti sembra di aver appena preso un pugno nello stomaco ma - soprattutto - è una di quelle storie scomode, ma che fortunatamente alle volte qualcuno decide di portare alla luce....Questa è la storia dell'Inferno sulla Terra.
Questo Inferno, dal 1993 ha un “nome ed un cognome”; si chiama Ciudad Juarez, 1.300.000 abitanti nello stato di Chihuahua, all' "infame" confine tra Messico e Stati Uniti e da almeno 15 anni ribattezzata "la città che uccide le donne".
Dal 1993 infatti, la popolazione femminile di Juarez vive in un vero e proprio inferno: 430 donne (di età compresa tra i 6 e i 25 anni) trovate massacrate nei campi intorno a Ciudad Juarez, altre 600 scomparse dal 1993. Le vittime, quasi tutte giovani, carine, magre e con i capelli lunghi, provenivano da famiglie povere ed erano originarie di altre città.
Molte delle ragazze ritrovate erano arrivate in città nella speranza di trovare un posto nelle maquiladoras che costituiscono la fonte principale di sostentamento per gli/le abitanti della città. Altre erano impiegate, domestiche, studentesse, commesse, segretarie, etc. che, come il 35% della popolazione economicamente attiva di Ciudad Juárez, si erano trasferite in quella città perché il salario delle maquiladoras, in media i 4$ US al giorno per dieci ore di lavoro, sembrava comunque meglio della povertà e dell’isolamento in cui vivevano nei loro villaggi.
Come ogni buon "non-Stato" che si rispetti, le famiglie di queste ragazze non possono rivolgersi alla polizia, che tende ad insabbiare questi omicidi seriali, se è vero che due anni fa, un deputato di Ciudad Juárez confidò al giornalista Sergio Gonzalez Rodriguez, autore del dossier "Ossa nel Deserto", (che ha portato questi terribili avvenimenti sotto gli occhi della comunità internazionale); «Non mi stupirebbe se il governo avesse dato ordine a un gruppo della polizia giudiziaria di occuparsi di occultare gli assassinii di queste donne»; molto spesso, come è stato accertato, la polizia estorce false confessioni con la tortura pur di proteggere i veri assassini, ma questa non è certo una novità in una nazione - ed in una città - dalla quale transita circa l'80% della droga colombiana....
Secondo alcune fonti federali, sei importanti imprenditori di El Paso, del Texas, di Ciudad Juárez e di Tijuana assolderebbero sicari incaricati di rapire le donne e di consegnarle nelle loro mani, per poterle violentare, mutilare e infine uccidere. Il profilo criminologico di questi omicidi si avvicinerebbe a quello che Robert K. Ressler ha definito «assassini per divertimento» (spree murders).
La Commissione speciale del Congresso federale sul femminicidio ha prodotto un ampio rapporto sugli omicidi di donne in 10 Stati. Il rapporto evidenzia la costante incapacità del governo di raccogliere informazioni attendibili su queste uccisioni e di porre in essere misure efficaci per fermarle e prevenirle. La Camera bassa del Congresso ha approvato una legge federale a tutela del diritto delle donne a vivere libere dalla violenza. Il Senato, tuttavia, alla fine del 2006 non l’aveva ancora esaminata. Nel febbraio 2006 è stato istituito un Ufficio speciale del Procuratore generale federale per i reati di violenza contro le donne, ma francamente non credo che l'uso legittimo delle leggi possa far almeno diminuire questo fenomeno.
Tra i sospetti torna spesso un nome, quello di Alejandro Máynez, che avrebbe fatto parte di una banda di criminali, ricettatori, trafficanti di droga e di gioielli, anch'egli esponente di una ricca famiglia proprietaria di night club. Non è mai stato disturbato.
Máynez, come altri sospetti, tra il 1992 e il 1998 godeva della protezione del governatore dello stato di Chihuahua, Francisco Barrio Terrazas, del Partito Acción Nacional (Pan). Durante il suo mandato, gli assassinii di donne si sono moltiplicati, aggiungendosi agli abituali crimini di questo stato, il più violento del Messico. Ma non appena le inchieste su questa mattanza hanno raggiunto l´attenzione della comunità internazionale, i cadaveri delle donne scomparse non sono stati più ritrovati. Maria Sáenz, del "Comitato di Chihuahua Pro Derechos Humanos" osserva che "Prima del 2001, i cadaveri delle vittime violentate e strangolate venivano sempre ritrovati, ma da quando le inchieste si sono moltiplicate, i corpi hanno cominciato a scomparire nel nulla. Le associazioni hanno calcolato che le donne scomparse sono circa 500, mentre i cadaveri ritrovati sono poco più di 300.
Far scomparire i corpi delle donne assassinate è diventata una specialità della mafia locale. Il sistema abituale si chiama «lechada», un liquido corrosivo composto di calce viva e di acidi, che scioglie rapidamente la carne e le ossa senza lasciare traccia.
Fortunatamente, da qualche anno a questa parte, Amnesty International sta cercando di porre fine a questo femminicidio, anche grazie al tentativo di far conoscere le storie di queste ragazze, che altrimenti morirebbero ben due volte; è per tal motivo, infatti, che ha posto il patrocinio sul film Bordertown , che consiglio a tutti coloro vogliano saperne un po’ di più su questa realtà sulla quale i comuni mezzi d'informazione non ci informano.