Perché siamo così ipocriti sulla guerra? (gen. Fabio Mini - TEDxReggioEmilia, 8 ottobre 2011)

Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che ci viene insegnata, la storia ad 'usum delphini', e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa.
(Honoré de Balzac, "Illusioni perdute", 1843)

#CracParmalat, confermate in appello le condanne per Geronzi e Arpe per le acque Ciappazzi

foto: dagospia.com

Bologna – 5 anni di carcere per bancarotta fraudolenta e usura per Cesare Geronzi, ex presidente della Banca di Roma (oggi Unicredit); 3 anni e 7 mesi per bancarotta fraudolenta per Matteo Arpe, all'epoca direttore generale di Capitalia oggi amministratore delegato del fondo Sator e presidente della Banca Profilo, controllata dal fondo. La prima sezione della Corte d'appello di Bologna ha sostanzialmente confermato le condanne previste in primo grado (29 novembre 2011) nell'ambito dell'inchiesta sul crac Parmalat, relativamente al filone d'inchiesta sulla vendita delle acque minerali Ciappazzi avvenuta nel 2002.

Accogliendo la richiesta del procuratore generale Umberto Palma sono state inoltre ribadite le condanne per gli altri sei imputati, cioè Alberto Giordano (all'epoca vicepresidente della Banca di Roma, 4 anni); Alberto Monza (direttore generale Banca di Roma, 3 anni e tre mesi); Riccardo Tristano (ex cda di Fineco Group, 3 anni e quattro mesi); Antonio Muto (dirigente area funzione crediti della Banca di Roma, 3 anni e tre mesi); Luigi Giove (responsabile recupero crediti Mediocredito centrale, 3 anni) ed Eugenio Favale, ex dirigente area grandi clienti della banca, condannato a 3 anni e tre mesi. Confermate inoltre sia le pene accessorie – interdizione per 10 anni dall'esercizio d'impresa e per 5 anni dai pubblici uffici – ed il risarcimento per le parti civili da parte di Unicredit, che grazie alla fusione con Capitalia del 2007 ne ha preso il posto. Tra 90 giorni le motivazioni della sentenza.

Geronzi, dicono i magistrati, avrebbe organizzato l'acquisto a prezzo gonfiato (15,2 milioni di euro) da parte del gruppo Parmalat delle acque minerali Ciappazzi, all'epoca di proprietà del gruppo Ciarrapico. Operazione gravata inoltre dall'applicazione di tassi definiti “da usura” grazie alla necessità liquidità del gruppo turistico Parmatour, controllato dalla società di Calisto Tanzi. Durante la deposizione nell'ambito del filone centrale dell'inchiesta relativo al crac societario, l'allora proprietario del gruppo parmense dichiarò come il suo gruppo fu costretto a portare a termine l'operazione dietro la minaccia della chiusura dei finanziamenti da parte di Capitalia, fortemente esposta verso il gruppo Ciarrapico.
Secondo i giudici, Geronzi «svolgendo in sostanza le funzioni di motore e di massimo supervisore della trattativa che portò all'acquisto della Ciappazzi ad opera della società Cosal (la controllata della Parmalat che rilevò la società siciliana, ndr) indusse Tanzi, per motivi attinenti esclusivamente agli interessi economici di Banca di Roma, ad acquistare per un prezzo esorbitante un'azienda che versava in uno stato fallimentare».

Le acque Ciappazzi non avevano alcun valore né potevano avere alcuna utilità produttiva, avendo macchinari obsoleti e, soprattutto, non disponendo della concessione demaniale per prendere l'acqua, arrivata un anno e mezzo dopo la compravendita, nel momento in cui si registrò la rottura delle tubature con le quali questa arrivava allo stabilimento e rendendo ancor più inutile l'intera azienda.

A Matteo Arpe, invece, è stata contestata la firma sul documento di trasmissione del finanziamento di 50 milioni a Parmalat, approvato dalla Banca di Roma per l'acquisto della Ciappazzi e girata dalla controllante società parmense a Parmatour, impossibilitata ad ottenere finanziamenti diretti.
 

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Traffico internazionale di organi, arrestato ex ufficiale israeliano a Fiumicino

foto: roma.repubblica.it

Roma - Tauber Gedalya (nella foto), 77 anni, ex ufficiale israeliano riconvertitosi al traffico internazionale di organi, è stato arrestato ieri presso l'aeroporto di Fiumicino in un'operazione congiunta tra la Polizia di frontiera italiana e l'Interpol.

Latitante dal 2010, quando era stato spiccato contro di lui un mandato di cattura internazionale emesso dal Tribunale dello stato di Pernambuco, in Brasile, è stato arrestato all'aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino, diventato da tempo uno dei punti di transito più importanti sulle rotte dei traffici internazionali (soprattutto di droga) dagli agenti guidati dal Dirigente della Quinta Zona Antonio Del Greco e dal Responsabile della polizia di Frontiera Rosario Testaiuti in una operazione congiunta con l'Interpol.
Proveniente da Boston, il suo arresto è stato possibile grazie ad un agente della Polizia di frontiera che, resosi conto della contraffazione del suo passaporto, ha avvisato il suo supervisore, dando il via all'accertamento. Attualmente Gedalya si trova nel carcere di Civitavecchia.

Dal 2002 il gruppo che faceva capo a Gedalya aveva stabilito la propria base operativa in Brasile, uno degli snodi più importanti nella rete internazionale del traffico d'organi (per chi volesse approfondire suggerisco l'ottimo documentario “H.O.T. - Human Organ Traffic” a cui ha lavorato il giornalista de L'Espresso Alessandro Gilioli, qui un estratto). Dal Brasile, le vittime venivano mandate in Sud Africa dopo essere state sottoposte ai rituali esami clinici, che si fanno anche nel mercato degli espianti illegali. Era qui, infatti, che venivano materialmente eseguite le operazioni mediche, per lo più espianti di reni per i quali ai cittadini brasiliani – 19, per ora, i casi accertati riferibili al gruppo – venivano pagati tra i 6.000 ed i 12.000 dollari.

Al momento, non ci sono notizie sull'eventuale coinvolgimento di centri o pazienti italiani, stando a quanto ha dichiarato al quotidiano Repubblica Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti (Cnt), che evidenzia come «per questa operazione occorre mettere in piedi una sala operatoria clandestina per l'espianto, un laboratorio clandestino per le analisi e un'altra sala illegale per il trapianto, ma anche un sistema per il follow up clandestino». Per questo, basandosi sui circa 2.000 soggetti monitorati dal Cnt, Nanni Costa ha parlato di un traffico «assolutamente marginale». Le implicazioni sociali, criminali ed economiche di un traffico capace da solo di generare tra 640 milioni ed 1,2 miliardi di dollari all'anno però, marginali non lo sono affatto.

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Il gastronomo del Viminale - Federico Umberto D'Amato (La Storia siamo noi, 6 giugno 2013)

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E’ stato per trent’anni il più autorevole funzionario dell’Ufficio Affari Riservati, di fatto, il servizio segreto del Ministero dell’Interno. Bonario e spietato, curioso e discreto, Federico Umberto D’Amato è stato l’uomo di fiducia degli americani, lo spione di Botteghe Oscure, il primo civile ammesso alla Nato e, secondo i suoi accusatori, la figura dietro agli scandali finanziari, alle trame oscure e alle stragi che hanno attraversato il paese. Una vera e propria ombra del potere. Una figura che ha fatto delle informazioni un’affilata arma del potere. Il suo scopo sapere tutto di tutti soprattutto di quelli che il potere lo detengono.

#Celochiedeleuropa. Evasione fiscale transnazionale: L'Ue adotta il sistema "Facta"

foto: repubblica.it/micromega-online

L'Europa corre ai ripari. La scoperta dello “schema-Apple”, che ha permesso alla società di Cupertino di evadere 74 miliardi di dollari, ha reso evidente l'incapacità delle normative nazionali di poter contrastare da sole un fenomeno, quello dell'evasione fiscale transnazionale, che fa perdere all'Unione circa 1.000 miliardi di euro all'anno.

Da un lato l'Irlanda, secondo la quale le società con sede nel paese ma controllate direttamente dall'estero non sono tenute al pagamento delle tasse; dall'altra gli Stati Uniti, che giudicano il reddito generato all'estero esente da tassazione. È attraverso questa “indecisione fiscale” che la Apple è riuscita negli ultimi tre anni a pagare solo il 2 per cento di tasse su un reddito generato all'estero pari a 74 miliardi di dollari. Allo stesso modo grandi multinazionali come Google, Starbucks o Amazon sfruttano le filiali in Lussemburgo o in Olanda per pagare meno imposte alle casse della Gran Bretagna. Durante l'interrogatorio al chief executive della società di Cupertino, Tim Cook, il senatore democratico Carl Levin – presidente della Commissione che sta indagando sul caso – ha lanciato l'allarme: negli ultimi tre anni trenta tra le maggiori corporations americane sono riuscite a non pagare tasse su profitti di oltre 160 miliardi di dollari.

Secondo lo studio realizzato per l'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) del Parlamento Europeo da Richard Murphy, direttore di “Tax Research LLP” (organizzazione che fa parte del Tax Justice Network, coalizione di ricercatori ed attivisti che si battono per la riforma in senso democratico e progressivo dei regimi di tassazione a livello nazionale e globale), sulla base dei dati relativi al Prodotto Interno Lordo del 2009 al Fisco europeo mancano più di 1.000 miliardi di euro tra evasione (860 miliardi) ed elusione fiscale (150 miliardi). A subire maggiormente i danni di questa sottrazione è l'Italia, dove quasi un terzo del denaro destinato al pagamento delle imposte (il 27%, pari a 180 miliardi) prende la strada dei paradisi fiscali.

«Mille miliardi corrispondono al Pil della Spagna, la quinta economia europea, all'intero bilancio settennale dell'Ue, e sono 100 volte il piano di aiuti per Cipro», ha detto il presidente del Consiglio Europeo Herman van Rompuy durante la riunione informale dell'Ecofin di aprile. Numeri che hanno portato, durante il vertice dei capi di Stato e di governo dello scorso 22 maggio, alla decisione di rimettere mano alla direttiva risparmio.