#CracParmalat, confermate in appello le condanne per Geronzi e Arpe per le acque Ciappazzi

foto: dagospia.com

Bologna – 5 anni di carcere per bancarotta fraudolenta e usura per Cesare Geronzi, ex presidente della Banca di Roma (oggi Unicredit); 3 anni e 7 mesi per bancarotta fraudolenta per Matteo Arpe, all'epoca direttore generale di Capitalia oggi amministratore delegato del fondo Sator e presidente della Banca Profilo, controllata dal fondo. La prima sezione della Corte d'appello di Bologna ha sostanzialmente confermato le condanne previste in primo grado (29 novembre 2011) nell'ambito dell'inchiesta sul crac Parmalat, relativamente al filone d'inchiesta sulla vendita delle acque minerali Ciappazzi avvenuta nel 2002.

Accogliendo la richiesta del procuratore generale Umberto Palma sono state inoltre ribadite le condanne per gli altri sei imputati, cioè Alberto Giordano (all'epoca vicepresidente della Banca di Roma, 4 anni); Alberto Monza (direttore generale Banca di Roma, 3 anni e tre mesi); Riccardo Tristano (ex cda di Fineco Group, 3 anni e quattro mesi); Antonio Muto (dirigente area funzione crediti della Banca di Roma, 3 anni e tre mesi); Luigi Giove (responsabile recupero crediti Mediocredito centrale, 3 anni) ed Eugenio Favale, ex dirigente area grandi clienti della banca, condannato a 3 anni e tre mesi. Confermate inoltre sia le pene accessorie – interdizione per 10 anni dall'esercizio d'impresa e per 5 anni dai pubblici uffici – ed il risarcimento per le parti civili da parte di Unicredit, che grazie alla fusione con Capitalia del 2007 ne ha preso il posto. Tra 90 giorni le motivazioni della sentenza.

Geronzi, dicono i magistrati, avrebbe organizzato l'acquisto a prezzo gonfiato (15,2 milioni di euro) da parte del gruppo Parmalat delle acque minerali Ciappazzi, all'epoca di proprietà del gruppo Ciarrapico. Operazione gravata inoltre dall'applicazione di tassi definiti “da usura” grazie alla necessità liquidità del gruppo turistico Parmatour, controllato dalla società di Calisto Tanzi. Durante la deposizione nell'ambito del filone centrale dell'inchiesta relativo al crac societario, l'allora proprietario del gruppo parmense dichiarò come il suo gruppo fu costretto a portare a termine l'operazione dietro la minaccia della chiusura dei finanziamenti da parte di Capitalia, fortemente esposta verso il gruppo Ciarrapico.
Secondo i giudici, Geronzi «svolgendo in sostanza le funzioni di motore e di massimo supervisore della trattativa che portò all'acquisto della Ciappazzi ad opera della società Cosal (la controllata della Parmalat che rilevò la società siciliana, ndr) indusse Tanzi, per motivi attinenti esclusivamente agli interessi economici di Banca di Roma, ad acquistare per un prezzo esorbitante un'azienda che versava in uno stato fallimentare».

Le acque Ciappazzi non avevano alcun valore né potevano avere alcuna utilità produttiva, avendo macchinari obsoleti e, soprattutto, non disponendo della concessione demaniale per prendere l'acqua, arrivata un anno e mezzo dopo la compravendita, nel momento in cui si registrò la rottura delle tubature con le quali questa arrivava allo stabilimento e rendendo ancor più inutile l'intera azienda.

A Matteo Arpe, invece, è stata contestata la firma sul documento di trasmissione del finanziamento di 50 milioni a Parmalat, approvato dalla Banca di Roma per l'acquisto della Ciappazzi e girata dalla controllante società parmense a Parmatour, impossibilitata ad ottenere finanziamenti diretti.
 

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