Militari di serie A e militari di serie B...

Esistono militari e militari, in Italia.
Esistono militari che muoiono esportando la pace saltando in aria su mine anticarro o per colpa delle auto-bombe come nei giorni scorsi, ai quali vanno tutti gli “onori” per essersi fatti ammazzare per la patria.
E poi ci sono militari “disonorati”. Quelli di cui i “generalissimi” al riparo delle loro comode poltrone lontane dagli scenari di guerra non possono andare orgogliosi, perché hanno avuto la sfiga di rimanere in vita nonostante tutto. Nonostante gli attentati, nonostante le bombe, le battaglie. Nonostante l'uranio impoverito.

I primi casi di malattie da uranio impoverito si sono riscontrati nel lontano 1991, tanto da parlare di “Sindrome del Golfo”, poi di “Sindrome dei Balcani” quando iniziavano ad ammalarsi ragazzi che avevano prestato servizio a metà degli anni '90 in Serbia e nell'area balcanica (in cui ancora si ricordano i bombardamenti non negati dal governo italiano dell'epoca...). Ma non c'è bisogno di essere stati a Belgrado o a Kirkuk per ammalarsi di uranio impoverito. Basta andare in Sardegna, nel Sarrabus, costa sud-orientale della Sardegna, distanti circa 80 km da Cagliari. Lungo la Statale 125 che ci porta ad Olbia, esiste un angolo di paradiso di scogliere e spiagge bianche non contaminato dal cemento.
Ambientalismo? No. Presenza di base militare NATO. Anzi, per essere più precisi presenza del più grande poligono d'Europa.

Poligono sperimentale e di addestramento interforze”. È questo il nome del portatore di morte con cui da oltre 30 anni lo Stato italiano ha svenduto e sacrificato non solo l'ambiente, ma la vita dei suoi stessi cittadini in nome di un fantomatico “aiuto internazionale” nell'ambito degli accordi atlantici. Non si capisce perché tutte le “grane” ce le dobbiamo prendere sempre noi, visto che chiunque in questo poligono può entrare, pagare 50.000 dollari e sperimentare tutto quel che gli pare. Teoricamente avremmo potuto addestrare anche cellule di Al Quaeda o forze speciali americane con le più devastanti armi di distruzione di massa senza neanche saperlo.

Come non si capisce – o forse la si capisce perfettamente - la storia del maresciallo Marco Diana, malato di cancro derivante dall'esposizione all'uranio impoverito presente nei proiettili che – a mani nude – ha dovuto maneggiare in Somalia, nei Balcani e nelle innumerevoli missioni nelle quali è stato coinvolto e che – pur essendo ancora vivo – per lo stato italiano è morto nel 2004. Ben 5 anni fa.

Perché i nostri ragazzi che si sono ammalati subiscono più o meno la stessa fine. Vengono risucchiati nelle nebbie del post-guerra di carte secretate, omissis e dimenticanze da parte di chi dovrebbe tutelarli e che invece, nella maggior parte dei casi, non gli assicura nemmeno il risarcimento “per cause di servizio”. Un calcio in culo e via, che non stressassero troppo che noi abbiamo da esportare la pace con i missili.

Che cos'è l'uranio impoverito.
L'uranio impoverito (in inglese depleted uranium o DU), è il materiale di scarto derivante dal processo di lavorazione dell'uranio “grezzo”, un metallo pesanche che si trova nell'ambiente in piccole quantità in rocce, suolo, aria, acqua e cibi. Nella sua forma naturale è composto da 3 isotopi, con una netta prevalenza (il 99,27%) dell'isotopo 238. Nella sua forma “impoverita”, esso è meno radiattivo dell'uranio naturale di circa il 40%. È piroforico, e quindi delle piccole particelle prendono fuoco spontaneamente a contatto con l'aria. In pratica l'ideale per rendere perforanti dei proiettili.
Ed è proprio quel che è stato fatto in Iraq 18 anni fa, così come tracce di u-236 (derivante dalla lavorazione delle scorie nucleari, i cui radionuclidi sono creati dall'uomo e sono estremamente pericolosi per l'uomo e per l'ambiente) sono state rinvenute in Kosovo.
Viene usato sia in ambito civile che militare.
Nel primo caso viene utilizzato come schermatura dalle radiazioni (così come, ad esempio, l'amianto veniva usato come isolante per appartamenti prima che qualcuno ne scoprisse i nefasti lati negativi...) o anche nei rotori di alcuni elicotteri o per gli yacht da competizione. Usato in questo modo è totalmente innocuo, in quanto custodito in appositi spazi che non permettono la contaminazione dell'ambiente circostante ed anche perché difficilmente è soggetto ad esplosione.
In ambito militare, invece, il DU è usato principalmente nella fabbricazione delle munizioni anticarro degli Stati Uniti perché – se lavorato come si deve – il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell'uranio che esplode in tanti piccoli frammenti incandescenti aumentando così l'effetto distruttivo. In pratica un'arma quasi perfetta.

Il forte utilizzo dell'uranio – preferito al suo principale avversario, cioè il tungsteno – si deve anche ad una mera questione politica: gli USA importano circa il 50% del fabbisogno di quest'ultimo dalla Cina, non certo vista sotto l'ottica dell'“amicizia economica”. Basti pensare al bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado nel maggio '99 per avere un'idea del tipo di rapporto intercorrente tra le due super-potenze. Considerando inoltre che – come affermato dalla stessa NATO – sul solo territorio kosovaro sono state lasciate qualcosa come 10 tonnellate di DU, si dovrebbe iniziare a comprendere l'ampiezza del problema.

Secondo un rapporto della commissione ONU dell'agosto 2002 l'utilizzo di rivestimenti all'uranio impoverito ha infranto:

  • Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo;
  • Statuto delle Nazioni Unite;
  • Convenzione sui Genocidi;
  • Convenzione contro la Tortura;
  • le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949;
  • Convenzione sulle armi convenzionali del 1980;
  • Convenzione de l'Aja del 1989

che espressamente proibiscono l'impiego di “armi avvelenate o avvelenamenti” e “armi, proiettili o materiali che possano causare sofferenza inutile”.

I danni causati dalle radiazioni da uranio impoverito sono di tipo cancerogeno, mutagenico-genotossico (come il “mistero” dei bimbi deformi di Escalaplano). Più tutta una serie di leucemie (come quelle che spesso sono diagnosticate ai nostri militari), tumori, malformazioni genetiche che si hanno qualora l'uranio bruci durante un incendio ed i cui effetti ricadono anche sulle generazioni successive (come in una sorta di remake della guerra in Vietnam, dove gli esfolianti utilizzati dagli aerei americani per scovare il nemico continuano a fare danni ancora oggi, a quasi 40 anni dalla sua conclusione).

Nell'ottobre del 1993 il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d'America inizia a prendere sul serio la minaccia dell'uranio impoverito, creando un videotape informativo nel quale si creavano le prime norme generali per la protezione da DU. Tale documento viene trasmesso a tutti i paesi membri dell'Alleanza Atlantica, ma in Italia – guardacaso – lo Stato Maggiore dell'Esercito non lo mostrerà mai agli ignari “esportatori di pace”.

«I soldati americani erano equipaggiati diversamente. Prima di entrare in una zona considerata a rischio indossavano tute protettive, guanti speciali, maschere con filtro. Noi invece lavoravamo a mani nude, le nostre maschere, quando ce le davano, erano di carta, tute niente»

dice un militare intervistato in uno dei tanti, tantissimi servizi dedicati – spesso da RaiNews24 – al caso dei nostri “militari fantasma”.

Le malattie e le successive morti di questi ragazzi si assomigliano tutte. Stramaledettamente identiche le une alle altre, come se un serial killer avesse deciso di prenderli di mira. Peccato che questo killer – silenzioso più dell'amianto – non abbia sembianze fisiche e venga prodotto dall'Occidente, cioè da chi – almeno sulla carta – ha il compito di creare un mondo migliore.

Le loro morti sono tutte uguali. Ma per lo stato neanche la morte basta al riconoscimento della causa di servizio. Perché riconoscere che i militari sono morti per colpa dell'uranio impoverito equivarrebbe ad una ammissione di colpevolezza da parte dello Stato Italiano, il quale ha consapevolmente mandato a morire i propri figli al grido di “pace e democrazia per tutti!

Ed è in quest'ottica, nell'ottica di chi sa di essere in torto, che gli esami periodici che dovrebbero essere fatti per controllare il decorso delle malattie da uranio impoverito vengono fatte in strutture civili – il che significa che tutte le spese o sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale o sono a carico di chi deve sottoporsi ad esami specifici come le tac – oppure non vengono proprio fatte.

Dicono che manca il personale e che non è possibile tenere tutta quella popolazione sotto controllo.
In realtà è solo un modo come tanti per tenere tutto nelle nebbie della post-guerra e non ammettere che né gli americani che producono queste armi né tantomeno noi che le utilizziamo siamo tanto “esportatori di pace”.
E non si capisce perché non ci sia nessuno che si indigna, nessuno che dice di essere “orgoglioso” di questi militari, di “onorarli”. Forse solo perché hanno avuto la fortuna – o la sfortuna, dipende dal come la si guardi – di rimanere vivi?

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