
Il congresso si inseriva in un contesto in cui il governo di Fernando Tambroni (Democrazia Cristiana) – che nel marzo dello stesso anno aveva avuto mandato di formare il nuovo governo per sostituire quello del dimissionario Antonio Segni (DC) – poté insediarsi proprio grazie ai voti missini, che dunque tenevano in scacco il governo (quando si dice “corsi e ricorsi storici”…). Ma il 1960 non è certo il 2010. Nel 1960 si costruivano già quelli che furono il ‘68 e la lotta proletaria armata: tra una settimana, infatti, cadrà l’anniversario di un’altra delle date storiche per gli antifa italiani: l’omicidio da parte dei celerini dei militanti del Partito Comunista Lauro Ferioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli, i cui nomi rimarranno per sempre immortalati nell’omonima canzone di Fausto Amodei.
«Il 30 giugno era stato proclamato sciopero generale. Siamo scesi tutti in piazza e dopo il comizio è scattata una scintilla. C’era la famosa Celere di Padova, che era considerata una specie di corpo speciale ed era composta da picchiatori, e il loro capitano all’improvviso ha suonato la tromba e sono partiti i primi caroselli. Si è subito aperto un conflitto fortissimo.
Le camionette, lanciate alla massima velocità, ci venivano addosso fin sotto i portici per disperderci (...). I più giovani di noi non sapevano come comportarsi nel caos dei tafferugli, anch’io ero molto confuso e per fortuna (...) un amico del mio quartiere, che era stato un partigiano di montagna, si è preso cura di me e mi suggeriva come muovermi e dove nascondermi. (...) La guerriglia andò avanti fino al tardo pomeriggio e questi caroselli della polizia, che erano partiti alla grande contando sull’effetto sorpresa, piano piano hanno dovuto ridurre la velocità e l’intensità perché erano circondati da ogni parte, finché si sono dovuti fermare del tutto». Racconta Paride Batini, all’epoca 26enne portuale. Lo scontro arrivava in Piazza De Ferrari, quando il corteo che seguiva lo sciopero generale indetto per protesta si ritrovava faccia a faccia (o sarebbe meglio dire “faccia a camionetta”) con gli scelbini di Giuseppe Spataro, allora Ministro degli Interni.