Quando la matematica è un'opinione: i casi Bolivia e Venezuela.
L'ignoranza di Bersani – perché è di questo che si tratta – deriva da due cause fondamentali e concatenate tra loro: l'incapacità dei principali attori del proscenio politico – dell'uno e dell'altro schieramento – di non saper guardare al di là del proprio naso, considerando dunque l'Italia come il fulcro della geopolitica internazionale (scenario decaduto più o meno con la fine del colonialismo...), incapacità che deriva anche dalla malafede – aspetto numero due – dei nostri media, che più di una volta hanno inventato di sana pianta o rivisto in maniera alquanto originale notizie provenienti dall'America Latina. Basti leggere qui: http://www.gennarocarotenuto.it/2719-un-mitomane-a-la-repubblica/ o qui (dove peraltro si smonta il nuovo mito della sinistra radical-chic, cioè Yoani Sánchez): http://www.facebook.com/note.php?note_id=383405658230&id=1005860387&ref=mf, per non parlare della campagna ormai decennale contro Cuba, dove casualmente ci si dimentica sempre che il problema principale per l'isola – indipendentemente da Fidel Castro o dalla Sanchez – è il blocco economico (“El bloqueo”, come viene definito) che le “civili democrazie” di Stati Uniti ed Europa continuano ad osservare. Sapete no? Quella decisione tanto “democratica” grazie alla quale con 12 ore di blocco si cancella la fornitura annua di insulina necessaria a 60.000 persone; 5 ore equivalgono ai dializzatori necessari per un anno; tre giorni equivalgono a togliere la possibilità di stampare i libri di testo o di acquistare il materiale scolastico necessario per tutto l'anno scolastico; e l'elenco potrebbe andare avanti più o meno all'infinito. Ma non è di questo che voglio parlarvi.
Il calcio è uno sport per bambini
Allora ero piccolo, e non capivo perché certi genitori si facessero venire la bava alla bocca dalla rabbia quando vedevano il proprio "prodigio" in panchina o quando l'allenatore lo metteva fuori squadra. In particolare non capivo perché questi signori si comportassero in questo modo, mentre mio padre se ne stava bello tranquillo a bordo campo a guardare allenarsi la schiappa - almeno in campo calcistico - che s'era ritrovato come figlio.
Poi passa il tempo, si cresce e ci si appassiona ad altro (non è un segreto che i fatti di Genova 2001 furono per me un crocevia decisivo...), quindi per me il tirare calci ad un pallone si limitava ai tre mesi estivi, quando rompere una finestra o mandare il pallone su qualche terrazza era la cosa peggiore che potesse capitarti (in particolare se la/il proprietari@ della finestra ti rincorreva minacciandoti con una scopa in mano...). Uscendo dal mondo "ufficiale" del calcio dei bambini credevo che certe dinamiche si fossero in qualche modo se non estinte, quanto meno mitigate. E invece deve sempre succedere qualcosa che mi fa ricordare che le brutte abitudini, in Italia, sono quelle che durano di più...
Immaginatevi questa scena: siete i proprietari di una scuola calcio, una di quelle che ha visto grandi campioni allacciarsi le prime scarpette e segnare i primi gol (da quel che so anche uno dei più importanti attaccanti nostrani di oggi è passato su quei campetti), a settembre di solito si formano le squadre per i vari campionati a cui la scuola parteciperà - quando giocavo io la cosa era decisamente più semplice, visto che si andava per età - e, come ogni anno, anche in questi giorni gli allenatori si prodigano in questa operazione. Vengono promossi in squadra solo i migliori, non solo quelli coi piedi migliori, ma anche quelli con un comportamento - e magari anche una pagella - degno di nota, perché ricordiamoci che non siamo all'AtaQuark,
La verdad de frente al mundo
“La verdad de frente al mundo” è un documentario, della durata di circa 70 minuti, realizzato dall’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba con il quale si vuole (di)mostrare lo squilibrio dei media mondiali quando si parla dell’”affaire-Cuba”.
I pennivendoli filo-americani (ed i giornali che danno loro spazio) ci raccontano ormai da anni la favoletta che le azioni americane sono fatte per “pace e democrazia” da esportare, in questo aiutati anche da una “bloggera libera” come Yoani Sánchez, talmente libera da essere ormai diventata ridicola tanto è chiaro chi ne mantiene i fili. Quegli stessi pennivendoli, che ad esempio si prodigano nell’elencare le nefandezze dell’Iran dimenticano tutti gli atti terroristici compiuti su territorio cubano dagli United Snakes of America: dall’ormai annoso problema del blocco economico all’omicidio premeditato di migliaia di bambini, uccisi con l’introduzione del virus del Dengue qualche anno fa (grazie a quello stesso blocco economico, infatti, gli Stati Uniti vietarono l’introduzione dei medicinali necessari a salvare le vite di questi bambini), dall’operato di terroristi come Luis Posada Carriles ed Orlando Bosh Ávila – che oggi camminano tranquillamente per le strade di Miami, roccaforte del terrorismo controrivoluzionario – all’omicidio di Fabio Di Celmo, un giovane italiano rimasto vittima di un attentato all’hotel de L’Avana.
Grande spazio, naturalmente, viene dato alla detenzione illegale di cinque operatori dell’intelligence cubana, detenuti nelle carceri “democratiche” americane nonostante siano decadute tutte le accuse mosse nei loro confronti.
Non voglio aggiungere altro comunque, vi invito solo a guardare il documentario, ed a farne le considerazioni che più vi sembrano giuste.
Pinochet è vivo e lotta insieme a noi. Firmato: il governo cileno.
Che a partire da oggi, lunedì 12 luglio 2010, diamo inizio ad uno sciopero della fame fino alle ultime conseguenze.
Le ragioni di questa drastica ed estrema determinazione obbediscono ad una serie di situazioni che stiamo denunciando di fronte agli ingiusti processi politico-giudiziari dei quali siamo oggetto e che contravvengono a tutti i diritti che ci appartengono come Mapuches e come prigionieri politici.
Solo a mo' di sintesi abbiamo denunciato di esser oggetto di montature mediatiche condotte dal Ministerio Publico che attraverso dei procuratori anti-mapuche e gruppi corrotti di poliziotti hanno la pretesa di imporre. E' così che lo Stato del Cile, a difesa del padronato impegnato nel conflitto con il nostro Popolo e con l'ansia di perseguitare ed annientare il Movimento Mapuche, ha criminalizzato la giusta lotta delle comunità, arrestando e accanendosi contro di noi, imponendo severe leggi dittatoriali e fasciste contro onesti lottatori sociali.
Inoltre, denunciamo che esiste una forte e grottesca campagna anti-Mapuche orchestrata dalla destra economica e politica di questo Paese, che utilizza i suoi mezzi di comunicazione, i procuratori ed i politici affini con l'obiettivo di cercare delle condanne anticipate nell'opinione pubblica.
Pertanto, dichiariamo che sospenderemo lo sciopero solo se verranno esaudite le giuste richieste che sono:
1.- La Non applicazione della legge antiterrorista in cause Mapuche; che significa la Fine della legge antiterrorista della legislazione Pinochetista.
2.- No al processo davanti alla Giustizia Militare in cause Mapuche; Che significa la Fine della Giustizia Militare in Cile.
3.-Libertà per tutti i prigionieri politici Mapuche detenuti nelle diverse carceri dello Stato del Cile. Che significa:
- Esigere il diritto ad un processo dovuto o processo giusto.
- Fine alle montature politico-giudiziarie che implicano la fine dei processi esterni e viziati, la non utilizzazione dei testimoni a volto coperto e la fine delle pratiche che violano i diritti umani di base come l'estorsione, le minacce, le torture sia fisiche che psicologiche e le degradanti condizioni nei centri di reclusione.
4.- Demilitarizzazione delle zone Mapuche in cui le comunità rivendicano diritti politici e territoriali.
Infine, rivolgiamo un appello al Nostro Popolo a mobilitarsi, a protestare ed a lottare per quella che consideriamo una causa giusta. Ed alle altre organizzazioni sociali e politiche a stare all'erta.
“Weuwain”
Presos Políticos Mapuche – Concepción»
È morto Kossiga. [Omissis]

Questo agosto si sta rivelando decisamente piacevole: il 4 è morto – o almeno così sembra – l’ideatore del massacro di Sabra e Chatila Ariel Sharon, oggi è finalmente morto – dopo una (sempre troppo) breve agonia – Francesco Kossiga, che da domani verrà definito “grande uomo di Stato” dai pennivendoli di questo paese. Questa volta però devo dar loro ragione: massone, referente politico di Gladio, forse l’unico al mondo ad essere invischiato in più segreti di Andreotti (un altro che sarebbe anche l’ora di farci un pensierino…), pluriomicida (Giorgiana Masi e Francesco Lorusso staranno festeggiando adesso…), l'uomo che mandò i carri armati in giro per l’Italia e le forze del (dis)ordine a manganellare le maestre ragazzine. L’uomo de:
«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno». Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto,... e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città». Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri». Nel senso che… «Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì.». E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero. «Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio».E tante e tante e tante altre cose che sui giornali verranno (non)ricordate con quella parola che è stata il vero mantra e programma politico del cugino dei Berlinguer: [omissis].
Gli va però dato l’onore delle armi (come si fa ai Nemici veri, quelli con la maiuscola): è stato l’unico – a guerra civile finita, visto che si trovò da uomo “di Stato” in una vera e propria guerra – a dichiarare che tutt@ i prigionieri andavano liberati. Forse per vedere realizzato questo aspetto ci vorrà qualche altra “prematura” scomparsa, chissà.
Voi fate quel che vi pare, io vado a stappare lo champagne…
El derecho de soñar
Foto di Andrea "Banlieue" Intonti: anche la pioggia - seppur programmata come quella di un irrigatore - può avere qualcosa di positivo... |
Vaya uno a saber cómo será el mundo más allá del año 2000. Tenemos una única certeza: si todavía estamos ahí, para entonces ya seremos gente del siglo pasado y, peor todavía, seremos gente del pasado milenio.
Sin embargo, aunque no podemos adivinar el mundo que será,
bien podemos imaginar el que queremos que sea.
El derecho de soñar no figura entre los treinta derechos humanos que las Naciones Unidas proclamaron a fines de 1948. Pero si no fuera por él, y por las aguas que da de beber, los demás derechos se morirían de sed.
Deliremos, pues, por un ratito. El mundo, que está patas arriba, se pondrá sobre sus pies:
En las calles, los automóviles serán pisados por los perros.
El aire estará limpio de los venenos de las máquinas,
y no tendrá más contaminación que la que emana de los miedos humanos y de las humanas pasiones.
La gente no será manejada por el automóvil,
ni será programada por la computadora,
ni será comprada por el super-mercado,
ni será mirada por el televisor.
El televisor dejará de ser
el miembro más importante de la familia,
y será tratado como la plancha o el lavarropas.
La gente trabajará para vivir,
en lugar de vivir para trabajar.
En ningún país irán presos
los muchachos que se nieguen
a hacer el servicio militar,
sino los que quieran hacerlo.
Los economistas no llamarán
nivel de vida al nivel de consumo,
ni llamarán calidad de vida
a la cantidad de cosas.
Los cocineros no creerán
que a las langostas les encanta
que las hiervan vivas.
Los historiadores no creerán
que a los países les encanta
ser invadidos.
Los políticos no creerán que
a los pobres les encanta
comer promesas.
El mundo ya no estará en
guerra contra los pobres,
sino contra la pobreza, y la
industria militar no tendrá más
remedio que declararse
en quiebra por siempre jamás.
Nadie morirá de hambre, porque nadie
morirá de indigestión.
Los niños de la calle no serán
tratados como si fueran basura,
porque no habrá niños de la calle.
Los niños ricos no serán tratados
como si fueran dinero,
porque no habrá niños ricos.
La educación no será el privilegio
de quienes puedan pagarla.
La policía no será la maldición
de quienes no puedan comprarla.
La justicia y la libertad, hermanas
siamesas condenadas a vivir
separadas, volverán a juntarse, bien
pegaditas, espalda contra espalda.
Una mujer, negra, será
presidente de Brasil y otra mujer,
negra, será presidente de los
Estados Unidos de América.
Una mujer india gobernará
Guatemala y otra, Perú.
En Argentina, las locas
de Plaza de Mayo serán
un ejemplo de salud mental,
porque ellas se negaron a olvidar
en los tiempos de la amnesia
obligatoria.
La Santa Madre Iglesia corregirá
algunas erratas de las piedras
de Moisés. El sexto mandamiento
ordenará: "Festejarás el cuerpo".
El noveno, que desconfía
del deseo, lo declarará sagrado.
La Iglesia también dictará
un undécimo mandamiento,
que se le había olvidado al Señor:
"Amarás a la naturaleza,
de la que formas parte".
Todos los penitentes serán
celebrantes, y no habrá noche
que no sea vivida como si fuera
la última, ni día que no sea vivido
como si fuera el primero.
Caccia alle streghe
Oggi Jane ha però bisogno che tutte e tutti coloro che grazie al suo lavoro hanno potuto rifiutare la vaccinazione di massa le diano una mano. Perché Jane in questi giorni ha subito un processo (sul quale parleremo a brevissimo…) proprio per il suo lavoro. L’accusa? Quella di vedere complotti ovunque ed aver dilapidato il patrimonio di famiglia.
Se del secondo aspetto – qualora corrispondente a verità – non me ne può importare minimamente, quel che mi interessa è che una giornalista alla quale da tutti sono riconosciuti meriti di professionalità e bravura possa essere considerata una pazza. Qualcun@, magari qualcun@ dalla memoria intermittente, che oggi è magari preso più dalla bagarre dell’appartamento di Fini che non da notizie davvero importanti (come potrebbe, se in questo paese queste ultime non sono più pervenute da anni?), potrebbe anche sostenere che sono i famosi “rischi del mestiere”, ma considerando che in Italia ora va di moda denunciare “il bavaglio dell’informazione” (sarei peraltro curioso di sapere quanti quotidiani e riviste nostrane hanno parlato di questa faccenda, considerando anche che in vacanza non ho disponibilità di quotidiani come necessiterei…) questo deve essere fatto in tutti i casi sia necessario e non solo quando bisogna difendere qualche giustizialista nostrano o qualche pseudo-cento di potere mediatico che si spaccia per “voce della sinistra” inventandosi notizie per riempire gli inserti pubblicitari…
Il “teorema accusatorio” si baserebbe su di una mail (autrice tale “Christina Braun”), mail che sembra essere la classica pistola fumante che proverebbe la follia della giornalista.
È primavera - Intervista a Toni Negri
Non sono un grande cultore di fumetti, ma quest’opera mi piace – e non poco – per due motivi in particolare: innanzitutto per l’intervistato, cioè uno degli intellettuali (o, se volete, uno dei più grandi “cattivi maestri” di questo paese…) probabilmente una delle persone più odiate dalla popolazione italiana (secondo me perché un buon 90% della suddetta popolazione non ha il bagaglio culturale per capirne il pensiero), e secondo perché ogni medium che abbia un risvolto sociale diventa automaticamente di mio interesse. E questo filone fumettistico definito graphic-journalism devo dire che mi piace non poco.
L’intento – dichiarato o meno che sia – dell’autore e dell’editore BeccoGiallo è molteplice: il primo e più importante è, ovviamente, quello di divulgare il pensiero negriano. Il secondo – importante probabilmente allo stesso modo – è quello non solo di ampliare la cerchia di persone che si innamorano di quel genere di fumetto che rientra nella casistica indipendente (considerando anche che Calia, per altro autore anche di altre storie di graphic-journalism come quella su Porto Marghera è cresciuto alla scuola di Radio Sherwood, una delle primissime radio di movimento italiane), ma anche quello di provare a sfruttare in chiave positiva uno dei principali difetti della società moderna, una società che – ce lo sentiamo ripetere da più parti – si fonda sull’immagine.
La Malaunità italiana. Capitolo 1: Il lager di Fenestrelle
Ho sempre creduto che la musica sia in molti casi veicolo di Cultura migliore rispetto ai libri che tutti noi abbiamo avuto sottomano durante gli anni delle scuole dell’obbligo e – per chi le frequenta – durante i corsi universitari per un semplice motivo: i libri di Storia sono scritti dai vincitori, per cui tutto quello che abbiamo studiato e su cui siamo stati interrogati è spesso una pura invenzione necessaria a creare lo splendore di figure che altrimenti ben altra fama avrebbero.
Che il Regno delle Due Sicilie non fosse un paradiso è affermazione banale (parliamo pur sempre di uno stato gerarchizzato, per cui fallace per definizione), ma come si può affermare che il Regno era vicino alla bancarotta quando, durante la conferenza internazionale di Parigi del 1856, risultò terzo paese al mondo per sviluppo industriale dopo Inghilterra (prima) e Francia (seconda)? Come si può credere alla favoletta del Piemonte caritatevole che salva il Regno quando gli stessi sabaudi erano indebitati quattro volte di più del Regno delle Due Sicilie?
Gli italiani riuscirebbero a diventare italiani?
Da quella data, infatti, anche in ambito permesso di soggiorno entrerà in vigore quell'aberrazione dell'intelletto umano volgarmente denominato “pacchetto sicurezza”.
Come al solito in questo paese nulla si crea né si distrugge se non passando nelle forche caudine della burocrazia italiana. Spesso una via senza uscita...
A mio modo di vedere lo straniero che intende diventare cittadino del nostro paese, ancor prima di fare la conoscenza della nostra farraginosa macchina burocratica dovrebbe porsi una domanda fondamentale: ne vale davvero la pena? Cioè: visto il momento storico nel quale ci troviamo – un clima nel quale la xenofobia sembra essere diventata il primo punto del programma di governo – è davvero l'Italia il posto su cui investire ed in cui crearsi un futuro per un/a cittadin@ stranier@?
Non potendo rispondere a questo quesito, non tanto perché nato e cresciuto italiano quanto perché, da anarchico, non concepisco l'utilità di concetti come “patria” o “confini”, dunque mi sembra completamente inutile che un individuo possa chiedere la protezione di questo o quell'altro paese attraverso la richiesta di cittadinanza (“Nostra patria è il mondo intero” recita d'altronde uno dei più noti stornelli anarchici...) è interessante però guardare all'iter a cui si va incontro se si vuole diventare italian*.
Di tutto il procedimento introdotto nell'ultimo periodo c'è una cosa che mi fa ridere: l'esame di lingua per stranieri. Mi fa ridere perché lo trovo totalmente inutile, considerando che l'italiano – come lingua nazionale – esiste solo nelle grammatiche che ci fanno studiare a scuola o nelle carte di quella famosa burocrazia di cui in precedenza.
Sono passati 150 anni dal sacco del Meridione, grazie al quale – oggi – il nord può arrogarsi il titolo di “zona trainante” per l'economia di questo paese, dunque sono 150 anni che – almeno in teoria – abbiamo adottato come lingua ufficiale l'italiano. Ma esiste davvero questa lingua? Pensiamoci un attimo: noi italiani, la nostra lingua, la conosciamo? Non mi riferisco al burrascoso problema che abbiamo con la coniugazione del congiuntivo, quanto ad una cosa ben più importante come i dialetti (in alcuni casi vere e proprie lingue alternative all'italiano e come tali riconosciute).
OKKupare non è reato: via Volonté, numero 9.
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Clicca sull'immagine per visualizzare il documentario |
In via Volonté, a Roma, esattamente al numero 9 ci sono operai, traslocatori, addetti alle pulizie, elettricisti, baristi e precari vari. Tutta quella serie di biografie che si può trovare in una periferia. D'altronde siamo nella periferia nord della capitale, zona Bufalotta. Ma a quel numero civico, stando "alle carte" non esiste nessuna palazzina. Si può dunque parlare di "reato" quando si occupa una casa che - ufficialmente - non esiste? Già, perché in via Gian Maria Volonté, al numero 9 tutte le case sono occupate. La mentalità borghese definisce gli occupanti "delinquenti", ma chi è più "delinquente" tra un lavoratore che tenta di campare con 1.200 euro al mese - di questi tempi uno stipendio di tutto rispetto - e che si trova così, da un giorno all'altro, in mezzo ad una strada perché il Signor Padrone ha deciso di delocalizzare o perché, per motivi indipendenti dalla sua volontà è costretto ad allontanarsi dal lavoro e, al ritorno, trova un altro che fa le stesse cose che faceva lui? "Via Volonté numero 9" racconta esattamente questo, uno spaccato di quelli che i media principali hanno iniziato a chiamare "nuovi poveri", gente costretta agli equilibrismi tra i 1000 euro di stipendio e "le sette piotte" d'affitto con una famiglia sulle spalle. È esattamente così che nasce l'idea di occupare uno stabile in cui non ci abita nessuno: per necessità. D'altronde l'ha stabilito anche la Cassazione nel 2007 (lo stesso anno in cui veniva occupata la palazzina di via Volonté): il diritto alla casa è un bene primario per le persone e quindi, laddove impossibilitati ad ottenere un'abitazione in altro modo, è lecito occupare, nonostante la mentalità borghese consideri la cosa in tutt'altro modo.
Questo documentario fa parte dei 30 lavori che possono essere visti gratuitamente e votati (al massimo tre voti...) all'interno della rassegna "Via Emili@DocFest - Festival del documentario online" , una manifestazione che - attraverso la rete - vuole dare spazio alla produzione documentaristica indipendente, oggi divenuta fonte indispensabile per comprendere quella parte di società che non sta sotto i riflettori.
Oltre ai vaffa c’è di più? Sottotitolo: Quando è moda è moda.
Lo voglio iniziare così, quest’anno, il mio articolo “di commemorazione” per la strage alla stazione di Bologna di 30 anni fa. Lascio al circuito informativo principale l’aspetto commemorativo, il ricordare il numero di morti e feriti, le testimonianze e tutto il corollario che ruota intorno alla grande macchina commemorativa, che questa sera ci avrà già rotto le scatole e torneremo ad occuparci delle cose di cui ci occupiamo di solito. Di nulla.
Quest’anno ricade il trentennale, data importante e, per questo, c’era bisogno di un qualcosa in più, qualcosa che potesse differenziare il 2 agosto 2010 da quello del 2009, del 2008 eccetera eccetera, e si è pensato bene di creare l’ennesima polemica futile, degna di un popolo che ormai ha imparato ad occuparsi solo di futilità e che mi fa capire ancora una volta che per diventare un popolo serio – uno di quelli con la maiuscola – di strada, ahimé, ne dobbiamo fare ancora molta.
Il Governo oggi non sarà a Bologna a commemorare la strage. E allora? Dov’è il problema? Io davvero non capisco. Forse che senza il governo non si può considerare questo come un giorno di commemorazione? Che si aspetti forse un “taglio del nastro” per poter affermare, dal minuto successivo, di essere in fase di commemorazione?
Perché ci deve essere per forza un esponente di governo? Perché così è sempre stato? Per un dovere istituzionale che gli ominicchi della nostra classe politica – dell’una e dell’altra parte – rispettano solo quando gliene viene interesse personale? O forse perché, senza esponenti di governo non si può esercitare lo sport nazionale, cioè il “fancula un politico anche tu e dai il buongiorno alla giornata!” che tanto va di moda (di nuovo…) in una certa parte della nostra società che in alcuni casi, parafrasando il signor G, a definirla “civile” ci vuole fantasia?
È vero: non ci saranno esponenti del governo (e, conoscendo un po’ come vanno le cose nella politica, quelli che ci saranno avranno pensato anche al ritorno d’immagine, che in questi tempi di crisi elettorale non fa mai male…), ma non ci sarà molta altra gente. Io sotto a quel famoso orologio ci passo tutte le mattine, ed ogni volta cerco una “vittima” – solitamente tra gli studenti che, come me, fanno i pendolari – alla quale chiedere perché quell’orologio è fermo. Provate a farlo anche voi, qualche volta, e poi ditemi quante delle intervistate e degli intervistati vi avrà risposto in maniera corretta. La risposta che ho ricevuto più spesso è stata: «boh…io neanche mi ero accort@ che ci fosse l’orologio!».