Quando la matematica è un'opinione: i casi Bolivia e Venezuela.

Qualche tempo fa il “leader del partito d'opposizione” (e non so quale dei termini mi dia più da riflettere tra “leader” e “opposizione”) Pierluigi Bersani, commentando non so bene quale cosa – ma tanto è indifferente, visto che da circa un ventennio ci sentiamo ripetere sempre le stesse frasi – se ne uscì evidenziando la sua paura che questo paese possa passare dall'incontrastato dominio di Berlusconi (naturalmente reso possibile proprio da quella “opposizione” che Bersani dovrebbe dirigere) a quello di un “Chávez de noantri”, cioè che questo paese passi da un populismo di destra ad uno di sinistra. Certo, se poi si pensa che il nostro ha chiesto ad uno come Nichi Vendola (cioè il “Berlusconi di sinistra”, come egli stesso si è definito in alcune interviste...) di far parte della riesumazione della salma ulivista, ahinoi, c'è poco da stare allegri.

L'ignoranza di Bersani – perché è di questo che si tratta – deriva da due cause fondamentali e concatenate tra loro: l'incapacità dei principali attori del proscenio politico – dell'uno e dell'altro schieramento – di non saper guardare al di là del proprio naso, considerando dunque l'Italia come il fulcro della geopolitica internazionale (scenario decaduto più o meno con la fine del colonialismo...), incapacità che deriva anche dalla malafede – aspetto numero due – dei nostri media, che più di una volta hanno inventato di sana pianta o rivisto in maniera alquanto originale notizie provenienti dall'America Latina. Basti leggere qui: http://www.gennarocarotenuto.it/2719-un-mitomane-a-la-repubblica/ o qui (dove peraltro si smonta il nuovo mito della sinistra radical-chic, cioè Yoani Sánchez): http://www.facebook.com/note.php?note_id=383405658230&id=1005860387&ref=mf, per non parlare della campagna ormai decennale contro Cuba, dove casualmente ci si dimentica sempre che il problema principale per l'isola – indipendentemente da Fidel Castro o dalla Sanchez – è il blocco economico (“El bloqueo”, come viene definito) che le “civili democrazie” di Stati Uniti ed Europa continuano ad osservare. Sapete no? Quella decisione tanto “democratica” grazie alla quale con 12 ore di blocco si cancella la fornitura annua di insulina necessaria a 60.000 persone; 5 ore equivalgono ai dializzatori necessari per un anno; tre giorni equivalgono a togliere la possibilità di stampare i libri di testo o di acquistare il materiale scolastico necessario per tutto l'anno scolastico; e l'elenco potrebbe andare avanti più o meno all'infinito. Ma non è di questo che voglio parlarvi.

Partiamo da qui:

qui: http://www.youtube.com/watch?v=3ULoiGGpzvQ per chi non riuscisse a visualizzare il video.

Quante volte, sui nostri media, abbiamo sentito parlare del “populista” Chávez, quando non direttamente del “dittatore”? Però mi chiedo quanti operai italiani, oggi, metterebbero la firma per avere un Presidente che a) gli aumenta il salario minimo del 30% e b) al contempo diminuisce l'orario di lavoro da 8 a 6 ore. Credo che almeno una buona percentuale di operai della Fiat il cambio tra il Presidente venezuelano e Marchionne il cambio lo farebbe ad occhi chiusi.
Ed a proposito di “dittatori”, America Latina e media italiani, un altro personaggio rappresentato come folkloristico qui da noi è Juan Evo Morales Ayma, conosciuto alle nostre latitudini più per il suo look che non per le sue politiche.
Voglio riportarvi solo qualche dato – così – tanto per farvi capire, con dati incontrovertibili, di cosa (non) si parla quando i nostri media ci raccontano di Bolivia e Venezuela.

In piena crisi (come ci testimonia anche il video postato prima) entrambi i presidenti hanno avuto l'idea di aumentare il salario minimo, portandoli entrambi tra i più alti di tutta l'America Latina.

La nazione guidata dal 2005 da Evo Morales, peraltro, con un PIL che al 2009 registrava un +4% (mentre nel resto del mondo si parlava di politiche “lacrime e sangue”) è il primo tra i paesi dell'area americana per crescita del Prodotto Interno Lordo. Il primo paese dell'area "occidentale" è il Canada (al 25° posto e con un PIL che segna un -2,5%), gli States sono due posizioni sotto (27esimi con un -2,7%). Vince la maglia nera il Messico (-7,3%).
Il risultato brillante della Bolivia, peraltro, è frutto della riacquisizione pubblica (cioè la ri-nazionalizzazione) delle risorse del sottosuolo (gas, petrolio e minerali) grazie alla quale è stato possibile ottenere ben due risultati: da un lato l'aumento delle entrate del governo (aumentate di quasi 1/5 del PIL totale), dall'altro la vittoria sulle multinazionali, una delle grandi piaghe del nostro tempo. Maggiori introiti che, naturalmente, sono stati utilizzati per migliorare la vita del popolo boliviano, come la “politica dei buoni”:

  • buono “Junacito Pinto” (eroe bambino morto nel XIX secolo durante la Guerra del Pacifico), cioè un buono di 200 bolivianos annui rivolto ai bambini di estrazione sociale povera che vogliono comunque continuare la scuola primaria fino al sesto grado. Creato nel 2006, ad oggi copre il 95,9% degli aventi diritto, più o meno un milione e mezzo di bambini che, in un sistema diverso, sarebbero manodopera per la delinquenza;
  • sussidio “Renta Dignidad” (letteralmente “Reddito Dignità”): nato come sussidio per evitare la povertà estrema degli anziani nel 2008, in un solo anno (i dati a cui faccio riferimento sono infatti del 2009) è arrivato a coprire la totalità degli aventi diritto (circa settecentomila anziani);
  • buono “Juana Azurduy” che prende il nome da una patriota boliviana del XIX secolo, è destinato alla riduzione della mortalità infantile (ancora molto alta in Bolivia) tramite sussidi alle giovani madri che seguano adeguate cure e controlli non solo per il periodo della gravidanza ma anche per i due anni successivi al parto.

In Bolivia, però, esiste da secoli – per non dire da millenni – una questione sociale della massima importanza, cioè il rapporto con le popolazioni indigene (di cui il Presidente Morales, essendo Aymarà, è uno dei principali esponenti). Per mitigare le tensioni sociali tra indigeni e “resto della popolazione” è stata introdotta nella nuova costituzione, entrata in vigore il 25 gennaio dello scorso anno, una limitazione alla proprietà terriera che non può superare i cinquemila ettari, in modo tale che le terre in eccesso siano ripartite proprio tra le popolazioni indigene, eliminando al contempo anche l'annoso problema latifondista (e quello schiavista che ne deriva...).

Se già semplicemente queste poche righe dovrebbero farvi capire non solo che Evo Morales non è solo “l'uomo dai maglioni colorati”, come viene invece descritto da noi, ancor più “sconvolgenti” risulteranno i dati del Venezuela, che vede una crescita economica che dura da oltre venti trimestri (no, nessun errore: sono proprio venti trimestri), arrivando ad una crescita annua di 4,3 punti nell'ultima decade, per un totale di 18,2 punti di crescita totali. Per trovare un periodo di non-crescita (di stagnazione, per usare il gergo economico) dobbiamo tornare alla stagione 2002/2003, periodo noto ai venezuelani – un po' meno agli italiani – per essere stato il periodo del colpo di stato.
Tali livelli di crescita, peraltro, non hanno riguardato solo una parte della popolazione (di solito l'economia classista è una specialità tutta europea...). Se, infatti, della crescita ne ha beneficiato il settore pubblico, quello privato non può certamente addurre recriminazione alcuna, visto che proprio negli ultimi 10 anni il settore privato è cresciuto di più rispetto a quello pubblico arrivando ad un +258,4% del comparto finanziario-assicurativo passando per il +159,4% del settore delle costruzioni, il +151% del settore comunicazioni o il 98,1% del settore manifatturiero.

Come se non bastasse, è stato riconosciuto da tutti l'abbattimento della povertà, passata dal 54% dell'epoca del governo di Andres Perez al 26% sotto la “dittatura” chavista, portando la povertà assoluta da un 72% all'attuale 7% (anche qui nessun errore: sette per cento), costringendo tutti i commentatori internazionali, anche quelli contrari al Presidente venezuelano, a parlare di “cancellazione della povertà assoluta”.
Secondo il coefficiente GINI (uno strumento per misurare la disuguaglianza sociale in un Paese: quanto più è basso minore sarà la disuguaglianza) dal 1998 – anno dell'elezione di Hugo Rafael Chávez Frías a Presidente del Venezuela – si è passati da un dato di 46.96 a 40.99. Improponibile il paragone con la “democrazia modello” del nostro tempo - gli Stati Uniti - che, distraendoci con un'arma di distruzione di massa qua ed una “esportazione di democrazia” là passava da 40.3 a 46.9.

Veniamo così ad un aspetto che piace molto ai commentatori economici: l'inflazione.
Sotto il governo Perez questa si attestava – stando alla banca centrale – intorno al 44,2%. Nel 1998 l'attuale presidente si ritrova in mano un'inflazione del 30%, riuscendo nel giro di qualche anno a dimezzarla (arrivando al 12,3%), anche se questo successo è stato cancellato dalla crisi petrolifera del 2003, che ha fatto ripiombare l'inflazione venezuelana al 38,7% (oggi si attesta intorno al 24%), cosa che però non ha impedito l'aumento della spesa sociale passata dal 37% del 1998 al 59,5% del 2007, una media di più due punti percentuali in un decennio, possibile grazie agli storici livelli registrate dalle entrate fiscali ed agli introiti derivanti dalla vendita del petrolio, che hanno permesso al paese di investire nelle c.d. “missioni”, una rete di tutela sociale grazie alla quale si è potuta diminuire la mortalità infantile dai 21,4 bambini morti ogni mille nascite ai 13,7 attuali. Rispetto al 1998, inoltre, ben 4 milioni di venezuelani hanno avuto accesso all'acqua potabile (il 92% della popolazione), mentre ad altre latitudini questa possibilità viene negata grazie alle privatizzazioni...

Da quando Chávez è entrato per la prima volta a Palazzo Miraflores il lavoro nero è passato dal 42,8% della forza lavoro (con il 45,4% di forza lavoro impiegata nel lavoro regolare) al 40,4% (con un 51,8% nel mercato regolare). È inoltre estremamente interessante il nuovo modello socio-economico che si sta sviluppando in Venezuela, cioè quello delle cooperative: oggi sono più di 30.000 (nel 1998 erano 877), danno lavoro a 2,7 milioni di venezuelani (il 14% della forza lavoro) andando a rappresentare ben l'8% del Prodotto Interno Lordo, dato che, insieme a tutto il resto, ha reso possibile la diminuzione del debito pubblico, passato dal 30,7 al 14,3% del PIL stesso.

Staccandoci un po' da dati puramente economici, si potrebbe parlare dell'aumento dei medici di primo intervento, il cui numero è aumentato di ben dodici volte nel periodo 1999-2007, cosa che equivale a dire che un numero decisamente elevatissimo di venezuelani che prima non aveva la possibilità di ottenere cure per la mancanza di personale oggi possono essere curati. L'intero settore della spesa sociale pro-capite, d'altronde, si è triplicata nel periodo 1998-2006.
Tutto questo, peraltro, è stato possibile anche grazie ad una politica controtendente al volere del Fondo Monetario Internazionale (del quale ormai ben se ne conosce l'aspetto criminale). É interessantissimo peraltro – in particolare per noi italiani – notare addirittura un aumento del 2.300% (sì, avete letto bene: duemilatrecento per cento) alla voce “ricerca scientifica”, un aspetto su cui il “populismo” chavista ha evidentemente deciso di investire. Al contrario della “democratica” Italia...

Qualcuno potrà obiettare che questi dati sono frutto dell'informazione filo-governativa della Repubblica Bolivariana di Venezuela o dello Stato Plurinazionale della Bolivia, considerando che qui in Italia siamo abituati a parlare di abbattimento dell'indice di “fannullosità” della pubblica amministrazione con dati creati proprio dal ministero che se ne occupa (e che dunque puzzano alquanto di falso), ma mi piacerebbe vedere le facce di tutt* coloro che definiscono i presidenti di Venezuela e Bolivia dei “dittatori populisti” nello scoprire che i dati provengono per la maggior parte dal CEPR, Center for Economic and Polict Research, una agenzia non governativa che si occupa di ricerca ed analisi politico-economica con sede nientepopòdimenoché a Washington, dove Chávez e Morales di solito non prendono molti voti...

Prima che qualcun@ mi commenti che anche in Bolivia e Venezuela esistono problemi voglio ribadire solo il fatto che essendo queste delle nazioni comunque strutturate su di un sistema gerarchico che pone il governo al suo vertice i problemi continueranno ad esserci sempre. Ma, come abbiamo visto, ci sono alcuni governi che quanto meno tentano di ridurli al minimo.