Non so se negli Stati Uniti ci siano i centri sociali, quello che so è che Rachel Corrie muore nello stesso giorno di Dax, per colpa di quello stesso fascismo che, se in Italia uccide i propri figli, rei di non essersi "allineati" a Rafah - dove Rachel venne uccisa - permette da oltre un secolo che un popolo viva sotto assedio per una sorta di (in)giustizia storica verso gli occupanti.
Non so perché la storia di Rachel mi abbia sempre colpito più di altre, più di tutte. La sua come quella di Valerio Verbano la cui madre - Carla - combatte ancora oggi, a 30 anni di distanza, per sapere chi gli ha portato via quel figlio di 19 anni, con quella stessa tenacia che rivedo ogni giorno in Argentina, tra le Madres, le madri dei circa 30.000 desaparecidos che la dittatura argentina ha prodotto in quegli stessi anni in cui qui in Italia, se sbagliavi strada o quartiere, rischiavi di non tornare più a casa. Forse perché Rachel è l'unica ragazza in questo gruppo, forse perché decise un giorno di lasciare la sua città - Olympia, nello stato di Washington - per andarsene a migliaia di chilometri da casa ad aiutare il popolo della Palestina. O forse, più semplicemente, perché Rachel aveva 23anni, la mia stessa età, e a volte mi chiedo come sia morire schiacciati da un bulldozer a 23 anni.
Sono passati
esattamente 7 anni da quel giorno, quel giorno in cui Rachel divenne scudo del diritto alla vita dei palestinesi («abbattono le case anche se c'è gente all'interno, non rispettano niente e nessuno» diceva spesso ai suoi amici), ma nonostante questo il tempo non ha portato alcun consiglio, visto che l'opera di terrorismo quotidiano dei sionisti continua nella più totale impunità e con il beneplacito dell'opinione pubblica occidentale, quella stessa opinione pubblica che non proferisce parola quando i suoi figli, i suoi fratelli, vengono inviati alla guerra affinché l'Occidente possa continuare a fare la parte del mondo ricco. Ma questa è un'altra storia...
«In ogni caso, qui ci sono bambini di otto anni che hanno preoccupazioni sugli equilibri di potere del mondo, più di quanti io ne avessi pochi anni fa» aveva scritto il 7 febbraio del 2003, in una delle tantissime e-mail con le quali si teneva in contatto con la sua famiglia ed i suoi amici.
Non mi va, in questa sede, di riportare la biografia di Rachel, semplicemente perché non potrei aggiungere niente a quel che si può trovare già scritto - e ripetuto all'infinito - in rete. Non mi va neanche di considerarla "il simbolo del pacifismo", come è stata spesso definita semplicemente perché la vita di un'essere umano, di qualunque sesso, razza, religione, o cultura sia non ha niente di "simbolico". Può però essere un esempio. Un esempio per chi crede davvero che un giorno possa esserci quel mondo migliore che ormai da anni andiamo cercando, quel mondo in cui non servano nuove Rachel Corrie, quel mondo in cui la dominazione dell'uomo da parte dell'uomo sia solo una delle tante pagine della Storia, quella che si studia sui libri.
Da ateo non credo che Rachel, Dax, Fausto, Jaio, Carlo Giuliani e tutti gli altri siano in quell'indefinito qualcosa che qualcuno si ostina a chiamare "Paradiso", credo che però siano tutti insieme, oggi, a camminare tutti insieme lungo le vie di Stalingrado.
Per Rachel, per Dax, per Fausto e Jaio, Valerio Verbano e Carlo Giuliani. E per tutti gli altri che non conosco.