Cara Ilaria,
Ci ho provato per tutto il giorno a scrivere una biografia su di te, una biografia che mi aiutasse a spiegare chi eri a chi non ti conosce, o a chi mi chiede perché ti ho dedicato il mio blog. Ma niente: non ci sono riuscito.
Non ci sono riuscito per tanti motivi: perché è difficile scrivere qualcosa che non sia stato già detto senza poter contare su esperienze personali o cose che i tanti libri, i film e gli articoli non abbiano già detto e senza voler riscrivere per l'ennesima – forse inutile – volta del “caso Ilaria Alpi”, perché come al solito volevo scrivere qualcosa di originale, qualcosa che non fosse un semplice copia e incolla di date, nomi, luoghi che non conosco, ed ogni volta che le dita iniziavano a muoversi sulla tastiera e le parole, i concetti, le idee iniziavano a prendere forma sul video mi sembravano sempre troppo banali.
Anche perché come fai a spiegare a parole quello che rappresenta un mito, una di quelle persone che quando le incontri – fisicamente o in altra maniera – ti cambiano la vita, le prospettive ed i progetti per il futuro.
Perché a me è successo proprio così: ti ho “incontrata” un giorno, per caso, o forse dovrei dire per fortuna: avrei dovuto leggere “Guerra e Pace” di Tolstoj o “Il giovane Holden” di Salinger per le vacanze, ma nessuno dei due libri era disponibile. In uno scatolone però c'era un libro: “Ilaria Alpi. Un omicidio al crocevia dei traffici”, e non so cosa fu, se quell'immagine che ti ritrae con il velo bianco in testa che mi colpisce ancora oggi o chissà cosa. Sta di fatto che più leggevo, più scorrevo tutto quell'insieme di misteri che ancora oggi, nonostante oggi siano passati 16 anni esatti, avvolge la tua storia, e più mi chiedevo cosa fosse successo davvero, perché ti avessero uccisa e soprattutto perché. Ma in questo so di essere in buona compagnia, visto che fortunatamente non sono l'unico a pormi questa domanda.
Forse è anche per questo che non riesco a scrivere su di te. Perché per scrivere di Ilaria Alpi bisogna scrivere per forza dei mille intrecci, della Somalia e dell'Italia, di Siad Barre e della Garowe-Bosaso, l'autostrada delle scorie nucleari. Oppure scrivere di Giorgio Comerio, l'”imprenditore” nel campo dello smaltimento di rifiuti tossici che in una cartellina gialla possedeva il tuo certificato di morte. Oppure scrivere dell'intervista a Abdullahi Mussa Bogor, il “signore di Bosaso” di cui il mondo conosce solo 12 minuti delle 2 ore e 30 di girato. E non bisogna dimenticarsi la storia dei taccuini e delle cassette girate che ancora oggi non si sa in quali mani siano finite. Per l'esattezza: 3 taccuini e 5 videocassette che dopo la tua morte nessuno ha più trovato. Chi ce le avrà? Io sarei curioso di chiederlo a tanta, tantissima, gente. Iniziando da quel Giancarlo Marocchino che in Somalia faceva il bello ed il cattivo tempo per gli italiani e che fu il primo ad arrivare quando il c.d. “commando” sparò a te e a Miran. Gli chiederei per prima cosa perché, visto che tu eri ancora viva, non ti portò all'ospedale ma al porto, oppure perché non informò la vicina ambasciata. Era a soli 50 metri dal pickup bianco, quello stesso che non è mai giunto in Italia, visto che il dna rilevato su quello che riportarono insieme alle bare che contenevano il tuo corpo e quello di Miran non era il tuo. Chissà dove l'avranno pescato quel pickup. Poi chiederei a Taormina con quale coraggio si possa arrivare a dire che eravate in Somalia “in vacanza”, e che siete stati uccisi “per una rapina andata male” o che, no: “sono stati uccisi perché volevano intervistare Al Quaeda”, e si sa che ormai “la base” - nome del gruppo terroristico di Bin Laden che in italiano ha tutto un altro effetto – sta bene con tutto.
Forse è per questo: perché per scrivere una biografia di Ilaria Alpi non si può tralasciare niente, o meglio: io non posso tralasciare niente, e quindi mi servirebbero forse pagine e pagine e pagine per arrivare alla stessa conclusione a cui sono arrivati i giudici ed i parlamentari della commissione d'inchiesta, che ancora non riescono – o non vogliono? - rispondere alla domanda su chi ti abbia uccisa. Non materialmente: per quello dice siano stati 7 somali, uno dei quali è anche stato processato qui in Italia per questo. No, quella era solo la “manovalanza”, i prezzolati per fare il lavoro sporco. Io voglio sapere chi dette l'ordine, perché è evidente che un'esecuzione come quella che avete subito è partita dai piani “alti”, da quella gente che gioca a Risiko con le vite degli altri da dietro comode scrivanie al di qua del Mediterraneo. Tanto non sono loro quelli a trovarsi i rifiuti tossici sulla costa, giusto?
Vedi? Anche adesso, anche se provo ad elencare alcuni dei misteri sul tuo “caso” so che me ne dimentico almeno il doppio, se non il triplo.
Questa sera, mentre cenavo e in tv passavano le immagini dello speciale di “La storia siamo noi” che ti riguarda, mia madre ha detto che si ricorda, che ti ricorda, che sa quali sensazioni ebbe quel 20 marzo del 1994, quando vide i tuoi colleghi dare la notizia. Mentre lo diceva avvertivo una sensazione strana, di disagio. Forse perché nel 1994 avevo solo 8 anni, e non mi ricordo cosa successe quel 20 marzo. Non mi ricordo né sensazioni né pensieri. È una specie di senso di vuoto. E l'unico modo che conosco per colmarlo è riuscire, un giorno, a rispondere a quella domanda che da 16 anni avvolge la tua storia: «Chi ha ucciso Ilaria Alpi?»
Forse è per questo, per rispondere a questa domanda, che ho deciso di fare il giornalista. Anzi: senza “forse”.
Io non so se esiste un qualcosa, un posto in cui vanno le persone quando muoiono. Però, se esiste, spero che almeno lì ti permettano di fare il tuo lavoro: raccontare la Verità.
Lettera ad Ilaria Alpi.
Scritto da
Andrea Intonti
Pubblicato
3/20/2010 09:48:00 PM
In questo post:
ilaria alpi,
memoria,
miran hrovatin,
misteri d'Italia,
Somalia