Visualizzazione post con etichetta Gianni Minà. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Gianni Minà. Mostra tutti i post

La società civile entra in Rai. Ma per fare cosa?

foto: comune.sanpellegrinoterme.bg.it
Questo articolo lo trovate anche su InfoOggi.it http://www.infooggi.it/articolo/la-societa-civile-entra-in-rai-ma-per-fare-cosa/28820/

Roma, 24 giugno 2012 – In un dibattito tenutosi qualche anno fa a Ferrara, il giornalista, scrittore (ed un sacco di altre cose, tra cui quella di essere una delle più importanti voci critiche provenienti dall'America Latina) uruguayano Eduardo Galeano raccontava una storia: «L'altro giorno» - esordiva Galeano - «ho visto un cuoco che riuniva tutti gli uccelli...le galline, le oche, i fagiani e ho ascoltato quello che il cuoco stava dicendo a questo pollame. Il cuoco chiedeva con quale salsa volevano essere mangiati. Uno dei volatili, forse un'umile gallina, ha detto: “noi non vogliamo essere mangiati in nessun modo”. Il cuoco chiarì: “questo è fuori discussione, non c'entra niente”. Questa riunione mi è sembrata interessante perché è una metafora del mondo. Il mondo è organizzato in maniera tale che abbiamo il diritto di eleggere la salsa con cui saremo cucinati».
Cosa c'entra questo con l'argomento di questo articolo (che, da titolo, è la Rai)? Niente. O forse tutto. Ma procediamo per gradi.

Sto seguendo – in realtà non proprio come primo argomento – la vicenda legata a questa sorta di “rivoluzione” che si vorrebbe fare alla Radiotelevisione Italiana, dove si chiede l'abbandono della «lottizzazione surrettizia», come la definiva Gad Lerner in un recente post sul suo blog[1].
Si sono fatti in queste settimane alcuni nomi, tra i quali quelli Lorella Zanardo, Gherardo Colombo, Benedetta Tobagi, che sarebbero tra i candidabili di una strana aggregazione di persone chiamata “società civile”.
Già qui sorgono i primi dubbi. Non conosco i curriculum – un paio di centinaia stando a quello che ho potuto leggere – di tutti i candidati, né francamente mi interessa conoscerli. Perché a me sembra si stia commettendo un errore marchiano: nessuno, dei tanti candidabili scesi in quella che appare alla stregua di una vera e propria campagna elettorale, ha parlato di contenuti. Si è detto che “quest@” o “quell@” avrebbe le carte in regola secondo i curriculum (anche se nessuno, per ora, ha nominato eventuali criteri discriminanti), ma sui giornali non ho ancora visto lo straccio di un programma, per continuare ad usare il vocabolario elettoralista.
Che tipo di televisione dovremmo aspettarci dalla vittoria dell'una o dell'altro?
Credo importante non sia stabilire il “chi” ma il “come” della faccenda, e questi ultimi mesi ce lo hanno insegnato. Molte e molti italiane ed italiani scesero festanti in piazza, alla caduta del governo di Silvio Berlusconi, festeggiando un nuovo 25 aprile per poi rendersi conto in pochissimo tempo che pur cambiando gli «omini» siamo «nella merda più di prima», per dirla con Giorgio Gaber.

Le forme della dissidenza.

Immaginate questo scenario: immaginate che l'Europa sia una super-nazione sul modello degli Stati Uniti – più o meno quello che è diventata con il Trattato di Lisbona – e che l'Italia, nazione geopoliticamente strategica per gli equilibri dell'area, sia un atollo dissidente, che lotta da mezzo secolo per non essere assoggettata al volere degli Stati Uniti d'Europa. È inutile evidenziare la politica di questi ultimi nei confronti dell'Italia, fatta di restrizioni economiche, espulsioni dai grandi consessi sovranazionali e simili. Come facilmente immaginerete, la stampa filo-statunitensedeuropa non fa altro che ribadire come l'Italia sia un paese di terroristi, nei quali un folle dittatore campa sulle spalle di centinaia di migliaia di cittadini la cui apparente unica utilità – visto che non esistono elezioni libere nel paese – è quella di essere assegnatari delle “cure assistenziali” del regime. Orbene, adesso immaginate che un bel giorno, così: di punto in bianco, un/a giovane italian* apra un blog nel quale denuncia il paese definendolo “una immensa prigione, con mura ideologiche” dove “esseri delle ombre, che come vampiri si alimentano della nostra allegria umana, ci inoculano la paura tramite i colpi, le minacce, il ricatto” nei cui ospedali si muore più per fame che per malattia e, naturalmente,denuncia il regime che impedisce qualsivoglia forma di opposizione e contestazione al suo operato. Più che un Paese in cui vivere, l'inferno dantesco peggiorato cento volte.

Immaginate poi che quello stesso cyberdissidente riceva nel giro di un anno moltissimi premi internazionali tutti riconducibili ad organi di informazione che fanno capo a paesi od organizzazioni degli Stati Uniti d'Europa. Cosa vi viene da pensare? Che ci sia una stretta correlazione tra le due cose, giusto?

Bene, perché è esattamente quello che ci si chiede quando si parla di Yoani Sánchez, la bloggera cubana diventata paladina della democrazia occidentale.
Prima di entrare nei dettagli, però, devo ammettere che – come credo qualunque blogger – sono geloso del blog di Yoani, Generación Y. Perché un blog di una perfetta sconosciuta – come lei stessa si definisce e come ha confermato la gran parte dei cittadini cubani in un documentario di Gianni Minà – che in un anno, oltre a vincere una miriade di premi di solito attribuiti ai nomi più altisonanti della letteratura, riesce a trovare anche un certo numero di persone che rendano possibile la traduzione del medesimo in ben 18 lingue (e non c'entra niente il pessimo traduttore di google che uso io...)