Voci dal pluralismo catanese. Intervista a Claudia Campese

foto: CTzen.it
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Catania, 18 maggio 2012 – In Italia in questi ultimi anni si è spesso denunciata, nel campo dell'informazione, l'assenza di un vero pluralismo. A Catania, poi, con l'impero cartaceo-televisivo di Mario Ciancio Sanfilippo di quel monopolio se ne è fatto direttamente un laboratorio. Nei giorni scorsi ne abbiamo parlato con Antonio Condorelli[1]. Oggi, su quegli stessi argomenti, facciamo quattro chiacchiere con Claudia Campese, direttrice di CTzen.it.

Puoi raccontarci, brevemente, com'è la situazione dell'informazione a Catania e che sbocchi ci sono per una testata giovane e fatta da ragazzi come la vostra?

Da sempre Catania vive in uno stato di monopolio dell'informazione. «L'ho letto sul giornale», dicono i catanesi, senza bisogno di specificare il nome. E' ovvio per tutti che si tratta de La Sicilia di Mario Ciancio Sanfilippo, direttore-editore con diversi interessi in quasi tutte le tv locali e nell'edilizia cittadina. Altri fogli, come Il Giornale di Sicilia, nonostante vengano venduti in città, non fanno base nel capoluogo etneo. C'è poi il caso de La Repubblica che solo da pochi anni distribuisce anche a Catania l'edizione regionale palermitana. Un embargo frutto di un accordo tra gli editori: Ciancio, proprietario dell'unica rotativa etnea, faceva stampare la testata nazionale a Catania a patto che questa non venisse distribuita nelle sue province di competenza. Catania, Siracusa e Ragusa appunto. Nel passato, qualunque tentativo di contrastare questo monopolio ha fallito. Negli ultimi anni sono nate diverse testate, riconducibili però – a grandi linee - a due formule: aggregatori on line di agenzie e giornali di controinformazione. Noi di CTzen non abbiamo intenzione di sostituirci a nessuno. Crediamo che, come in qualunque città civile del mondo, debbano esistere delle alternative. Più occhi e più voci tra cui sono i lettori a scegliere. Se a Catania sei giovane, attento a certe tematiche o semplicemente stufo dello stato della città è più probabile che troverai le notizie che ti interessano - o trattate con un taglio che ti soddisfa di più - su CTzen che su La Sicilia. Anche senza tirare in mezzo motivi ideologici.

Quanto riuscite e siete riusciti a fare in questi mesi, in merito alla creazione del vostro spazio nella situazione informativa catanese e, nel caso abbiate anche riscontri da altre città, siciliana?

A giudicare dal numero di lettori sempre in crescita, dagli attestati di stima che riceviamo, dalle critiche anche severe al minimo errore avevamo ragione a pensare che a Catania ci fosse ancora uno spazio informativo vuoto.
Chi ci legge non lo fa solo da Catania. Sono spesso siciliani nel mondo, curiosi di sapere cosa accade davvero senza il filtro degli interessi. Lo sforzo della redazione è quello di trattare la notizia con un ragionamento o uno spunto fresco, al di là del nudo fatto in sé, reperibile in qualunque altro giornale. E di collegare Catania al resto del mondo, affinché non resti la città provinciale che è in questo momento storico. Questo ha fatto sì che, a volte, CTzen venga letto anche da non siciliani. Persone che hanno trovato utile un nostro video su come fare il compostaggio domestico o curioso che uno street artist venga multato per aver affisso in strada dei cartelli contro la mafia.

Voi siete una testata on-line. Credi sia possibile scardinare la particolare situazione dell'informazione catanese (cioè il quasi monopolio di Ciancio Sanfilippo) solo attraverso la rete? O è necessario che più voci inizino a tentare una via pluralistica anche nel settore cartaceo?

Se qualcuno si sentisse di investire nel cartaceo, per la città non potrebbe che essere un bene. Per CTzen però stare on line è naturale. Nel nostro caso non si tratta solo di una questione di costi. Tutto il gruppo redazione è giovane e ha iniziato la sua avventura professionale in Rete. Siamo convinti di non poter rinunciare in certi casi all'apporto informativo di un video, un audio o un bel set fotografico, senza limitazioni di spazio. Anche la maggior parte dei nostri lettori, del resto, è giovane: di età anagrafica o di mentalità, come piace dire a noi. Il vecchietto che legge La Sicilia al bar per vedere chi oggi è stato arrestato o è passato a miglior vita non leggerebbe comunque CTzen, nemmeno se fosse un giornale murario scritto a caratteri cubitali. Semplicemente perché magari non vi troverebbe quello che lo interessa, al di là del mezzo con cui è veicolato. L'importante, secondo me, è costruire una solida alternativa nei contenuti. E dare un occhio alle abitudini della gente. Da quest'ultimo punto di vista, il cartaceo oggi è ormai un rischio e non solo a Catania.

La redazione che oggi compone CTzen.it faceva parte anche del progetto Step1, interno alla Facoltà di Lingue di Catania. Puoi raccontarci innanzitutto il perché di questo passaggio e come è cambiato – se è cambiato – il vostro modo di lavorare? Rispetto al progetto Step1 vi sentite più liberi nel vostro lavoro (ed eventualmente quali erano i “lacci” a cui vi sentivate legati prima)? Quali sono le difficoltà a cui oggi dovete far fronte e che magari con Step1 non avevate?

Step1 nasceva all'interno dell'università come sbocco naturale dei numerosi laboratori giornalistici – e non solo – organizzati dalla facoltà di Lingue. Negli anni il progetto è cresciuto, fino a diventare un vero e proprio giornale on line, ad aggiornamento quotidiano, guidato da due tutor professionisti e apprezzato anche fuori dal mondo accademico e dalla stessa Catania. Durante quell'esperienza abbiamo ricevuto diversi premi e riconoscimenti della nostra professionalità, nonostante fossimo tutti degli studenti-apprendisti giornalisti. Finché della gestione del giornale si occupata la facoltà di Lingue, le cose sono andate discretamente bene. Avevamo pochi mezzi (un'aula, un telefono, pochi pc regalati da docenti sensibili al nostro lavoro), ma anche poche briglie. Non a tutti quest'ultimo aspettavo piaceva. E soprattutto non al rettore dell'Università etnea, Antonino Recca. Dopo diversi tentativi di mediazione, la frattura è diventata insanabile. Il progetto - senza prospettive di crescita e con il rischio di avere diversi “lacci”, come li hai definiti - rischiava di morire. Anche perché nel frattempo noi siamo cresciuti e non è stato possibile effettuare un ricambio generazionale. Così, la scorsa estate, abbiamo deciso di far evolvere quello che era Step1 e pochi mesi dopo è nato CTzen. Un giornale che ovviamente si occupa meno di questioni universitarie per fare spazio a tutto il resto. Ma il gruppo redazionale è lo stesso e l'approccio - quello di uno sguardo fresco ma severo alla città - anche. Di diverso, oggi, c'è che le bollette le paghiamo da soli. E che, in caso di errori, non abbiamo nessun alibi: non siamo più un progetto universitario, ma un giornale sul mercato. Questo significa anche maggiori responsabilità per ogni redattore e turni di lavoro più definiti.

Con il progetto Step1 vi siete occupati, tra i tanti casi, anche della facoltà di farmacia di Catania, che la cronaca ha ribattezzato la “facoltà dei veleni”. Puoi raccontarci un po' come coprivate quell'argomento (intendo proprio in termini di organizzazione e gestione)?

Credo che la frattura definitiva con l'ateneo si sia consumata proprio su questo argomento. Una facoltà che viene sequestrata, diversi impiegati e studenti che denunciano malattie a causa di come venivano gestite le cose lì dentro. Famiglie convinte di aver perso i loro cari per lo stesso motivo. Due processi in corso. Un giornale universitario non poteva non occuparsene. Ovviamente, però, le nostre risorse erano più limitate di un giornale di professionisti. Non avevamo agganci con chi conduceva le indagini e all'interno della stessa università non avevamo molti amici in ruoli di responsabilità. Reperire le informazioni non era facile. Non puntavamo allo scoop insomma, ma a coprire il fatto nel modo più puntuale e completo possibile. E' stato così che alcuni di noi hanno iniziato a frequentare le aule del palazzo di giustizia e a imparare come si fa la cronaca giudiziaria. Nel frattempo, abbiamo sondato gli umori degli studenti, dato voce alle loro paure e alle loro iniziative di protesta, convinto a parlare alcuni docenti. Tutte le parti coinvolte, insomma, anche le meno sensazionalistiche. Un lavoro lento ma costante, che ci ha portati a costruire un giro di fonti tuttora valide.

Come CTzen.it siete nati ufficialmente nel dicembre 2011. Come è stata, ad oggi, la risposta dei lettori?

Positiva, fin dal primo giorno. E, dobbiamo ammetterlo, non ce lo aspettavamo. Fare rete era quello che volevamo fin dal primo momento, ma non pensavamo sarebbe arrivato così presto. Fin dal giorno della messa on line del sito, invece, diverse persone ci hanno scritto. Semplici lettori che ringraziavano per aver deciso di provarci. Associazioni e gruppi che, per sostenerci, ci hanno offerto sinergie e contenuti. Il motivo è semplice: a Catania, per affossare un progetto, basta fargli terra bruciata attorno. Avere una rete con cui scambiare idee e materiali e con cui poter organizzare delle iniziative dà invece linfa vitale a tutti. E coinvolge la gente. C'è da dire però che i nostri lettori sono anche molto esigenti. Se un pezzo non li soddisfa o se contiene un'imprecisione, seppur piccola, te lo fanno notare subito. Ma a noi piace così. Diciamo sempre che abbiamo dei lettori intelligenti e con molte aspettative. Tocca a noi essere all'altezza.

Con lo spazio “Voci dal quartiere” tentate di coinvolgere i cittadini non solo nella fruizione delle notizie, ma anche nella loro diretta creazione. Che riscontro ha avuto questa vostra apertura e che tipo di contributi arrivano (nel senso: quanto i testi che vi vengono inviati si avvicinano ad articoli giornalistici)?

Dietro “Voci dal quartiere” c'è tutto un mondo. Nella nostra idea, quello spazio dovrebbe servire a far esprimere quanti non si rassegnano. Ci sono ancora infatti dei catanesi non del tutto abituati alla normalità del commerciante abusivo sotto casa - che magari blocca pure l'accesso ai garage - o alla condizione pietosa delle strade cittadine. Ci sono dei catanesi che non si sono ancora stancati di chiedere spiegazioni, anziché fare spallucce. Purtroppo, però, si tratta di una minoranza e intercettarla non è semplice. Noi abbiamo anche un altro spazio simile: “Agatino's corner”, destinato alle opinioni dei lettori, su notizie locali e non solo. Abbiamo notato che spesso le due cose si confondono: perché la gente è così stufa che, anche la via di casa propria dissestata, diventata l'occasione per un commento sullo stato della città o la mala politica. Ma in fondo va bene così. Noi, più che per gli articoli fatti e finiti, ringraziamo i lettori per le loro segnalazioni. Alcune finiscono sul giornale così come sono state inviate, spesso corredate da foto. Altre, la maggior parte, diventano degli spunti da approfondire e integrare con le risposte degli uffici competenti.

A questo punto, la domanda è d'obbligo: alla luce anche dell'avvento del citizen journalism, credi che il tanto dibattuto tesserino oggi serva davvero per separare chi fa giornalismo e chi non lo fa oppure, come sostiene qualcuno, per fare il giornalista le uniche “necessità professionali” sono la curiosità e saper scrivere in italiano?

Personalmente, nessuna delle due. Credo che le modalità di accesso alla professione vadano riviste. Al momento, considerata l'indisponibilità degli editori a formare praticanti, le scuole restano l'unica scelta. Ma sono costose e non è corretto far diventare il giornalismo un mestiere d'élite. La divisione tra pubblicisti e professionisti, inoltre, sta sempre più perdendo di senso: oggi la maggior parte dei pubblicisti è inserito di fatto nelle redazioni, mentre molti professionisti si dedicano anche ad altre attività. Dall'altro lato, però, penso che una certa professionalizzazione sia indispensabile. Il giornalismo on line non è più il futuro, ma il presente e già da un po'. I giornalisti italiani, anche giovani, sono in un tremendo ritardo. Se oggi è già importante, domani sarà fondamentale per un professionista dell'informazione essere autonomo nella produzione di contenuti audio e video, nella gestione di un giornale on line e anche nella diffusione dei contenuti sui social media. Certe cose - come tenere in mano una telecamera, usare un programma di montaggio, saper utilizzare gli strumenti della Rete – non si improvvisano. Vanno studiate. Anche se resto convinta che poi vadano provate per strada e non al chiuso: né delle scuole né dei desk delle redazioni.

Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.it/2012/05/il-giornalismo-e-il-libro-paga-dei.html