Dell'Utri. Dopo 18 anni arriva la sentenza che non c'è

Palermo, 10 marzo 2012 – Durante i giorni che precedevano l'udienza in Cassazione, gli organi di stampa avevano evidenziato come per l'ex senatore Marcello Dell'Utri l'arresto fosse più di un'ipotesi. Per questo, quando la corte ha espresso il suo giudizio per più di qualcuno la sorpresa è stata molta, dato che in pochi probabilmente si aspettavano che, come fosse una partita del gioco dell'oca, la Suprema Corte rimandasse tutto direttamente al via, riportando il processo ad un nuovo appello che dovrà celebrarsi con una nuova corte non oltre il 2014, anno in cui il reato andrà in prescrizione. I legali dell'ex senatore, comunque, assicurano di non volersene avvantaggiare.

Difesa e Accusa dalla stessa parte (più o meno). Il procuratore generale Francesco Iacoviello, già nei giorni precedenti alla sentenza aveva chiesto di accogliere il ricorso presentato dalla difesa di Dell'Utri - mettendosi così accusa e difesa dalla stessa parte - e rigettare l'inasprimento della pena richiesto dalla Procura di Palermo. La quinta sezione della Suprema Corte, dove molte sono state le polemiche legate al presidente Aldo Grassi, fedelissimo di Corrado Carnevale, detto “l'ammazza sentenze”, ha accolto in pieno la richiesta del procuratore, che ha basato quella che per qualcuno è diventata una vera e propria arringa difensiva sul fatto che descrivere Marcello Dell'Utri come il terminale politico di Cosa Nostra sia un buon modo per vendere giornali ma che «non significa nulla» in quanto nella sentenza d'appello non sarebbe precisato il «contributo specifico dato dallo stesso al sistema mafioso».

In attesa di conoscere il testo della sentenza, fugando così ogni dubbio, le ipotesi che hanno potuto portare a questa decisione – al di là dell'aspetto dottrinale sull'uso del reato di “concorso esterno in associazione mafiosa” - riguardano o un vizio processuale, cosa che impone un nuovo processo, oppure un difetto nella motivazione della sentenza del grado precedente, che impone il ritorno in Corte d'appello per un nuovo giudizio nel merito.

Mettendo in discussione non tanto lo specifico processo, ma soprattutto l'essenza stessa del concorso esterno, «un reato indefinito al quale ormai non crede più nessuno», potrebbe crearsi un pericoloso precedente per i tantissimi altri processi basati su questo reato, dando il via ad una sorta di vero e proprio “libera tutti”.

Il concorso esterno. «Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono eventualmente realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericoloso quanto più subdole e striscianti, sussumibili, a titolo concorsuale, nel delitto di associazione mafiosa». Fu con queste parole che nel 1987, data in cui si celebrava il processo maxi-ter a Cosa Nostra, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino crearono il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Nel tempo questa fattispecie è stata utilizzata nell'ambito un'infinità di processi ai “colletti bianchi” ed a quello che qualcuno definisce il “livello politico” di Cosa Nostra (processi a Giulio Andreotti, Totò Cuffaro o Raffaele Lombardo, per il quale – nell'ambito del processo “Iblis”[1] - qualcuno vorrebbe ripristinare il reato).

In merito alla sua applicazione al processo Dell'Utri, peraltro, l'ufficio del Massimario della Cassazione, preposto ad estrapolare dalle sentenze le linee-guida per i processi, si era espresso in maniera piuttosto chiara, definendo come non vi sia più alcuna «difformità interpretativa sull'argomento» fin dall'ottobre 2002, data della sentenza-Carnevale, che ha di fatto posto – come discriminante per l'applicazione del reato – che il favoreggiamento sia fatto essendo consapevoli dell'importanza del proprio contributo al perseguimento degli scopi dell'organizzazione criminale.

Più che la sentenza che porta il nome di Corrado Carnevale, l'ex presidente della prima sezione penale della Suprema Corte che, con la cancellazione per vizio di forma di centinaia di sentenze di mafia si guadagnò il soprannome di “ammazzasentenze”, ieri in aula ne è stata usata un'altra, quella che porta il nome dell'ex ministro Calogero Mannino – nei giorni scorsi nuovamente indagato dalla Procura di Palermo, che ha ipotizzato un suo interessamento per alleggerire il regime del 41bis[2] - la quale ha permesso di poter definire come la frequentazione con personalità mafiose di fatto non costituisca reato perché non sarebbe dimostrabile la volontà di favorire l'organizzazione. «L'accusa non viene descritta, il dolo non è provato, precedenti giurisprudenziali non ce ne sono e non viene mai citata la sentenza-Mannino che è un punto di riferimento imprescindibile in processi del genere» - ha evidenziato il procuratore generale nella sua requisitoria, smontando completamente il lavoro fatto in Corte d'appello dal pubblico ministero Nino Gatto, secondo il quale il “nesso causale” c'è ed è evidente e documentato.

Il ribaltasentenze. Un risultato forse non così imprevedibile, comunque, anche alla luce del curriculum del procuratore Iacoviello, con un passato nel Movimento per la Giustizia (movimento di sinistra della magistratura), che negli anni si è occupato di alcuni tra i più chiacchierati processi di questo paese, da quello sul proscioglimento di Silvio Berlusconi nel procedimento per il lodo-Mondadori a quello nel quale, circa quattro mesi fa – come scrive Antonio Massari oggi sul Fatto Quotidiano[3] - «gli parve difficile provare l'accusa di istigazione a falsa testimonianza legata all'inchiesta sui pestaggi nella Diaz», passando attraverso il processo inerente ai rapporti tra Giulio Andreotti e Cosa Nostra, dove secondo Iacoviello non c'erano prove che ne evidenziassero l'effettività ed il caso Imi-Sir, dove derubricò il reato di corruzione di Renato Squillante in semplice “intermediazione tra privati”.

Le nuove verità sulla strage di via D'Amelio, la spaccatura del fronte antimafia a Palermo in seguito alle primarie del centro-sinistra, con il rischio – ancora tutto da accertare – di eventuali brogli ed ora questa “non-sentenza” del procedimento Dell'Utri. È stata questa l'agenda dell'antimafia – siciliana, e non solo – dell'ultima settimana.
Tre vicende non collegate tra loro nella realtà ma che fanno parte del copione dello stesso film. Quello, cioè, del rapporto tra lo Stato e Cosa Nostra, che dimostrano ancora una volta come l'antimafia debba vedere nella soluzione giudiziaria solo l'ultimo passo della sua battaglia.

Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.com/2012/03/iblis-larresto-di-vincenzo-santapaola-e.html;
[2] http://senorbabylon.blogspot.com/2012/02/processo-mori-obinu-la-deposizione-di.html;
[3] G8, falsa testimonianza sulla Diaz.
La Cassazione assolve De Gennaro e Mortola