Caltanissetta, 8 marzo 2012 – È composto da 1670 pagine il primo passo del nuovo procedimento sulla strage di via D'Amelio, iniziato questa mattina con la notifica di quattro ordinanze di custodia cautelare da parte degli uomini della Direzione Investigativa Antimafia, firmati dal giudice per le indagini preliminari Alessandra Giunta della Procura di Caltanissetta.
Dopo aver scoperto il depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino nei mesi scorsi[1], la Procura si è basata sulle deposizioni di Gaspare Spatuzza, l'ex killer di Brancaccio che rubò la Fiat 126 su cui fu piazzato poi l'esplosivo. Grazie alla sua testimonianza, infatti, è stato possibile non solo scarcerare sei persone accusate inizialmente dell'esecuzione dell'attentato, ma anche riformulare alcuni dei punti fermi della ricostruzione fin qui nota.
Ad essere stati raggiunti dal provvedimento, questa mattina, sono stati Salvino Madonia, accusato di aver partecipato, nel dicembre 1991, alla riunione della Cupola in cui si decise di dare il via al periodo stragista ed indagato anche per l'omicidio di Libero Grassi e la bomba alla villa del giudice Giovanni Falcone all'Addaura, al boss Vittorio Tutino, che insieme a Spatuzza rubò l'automobile e Salvatore Vitale, che sarebbe stato il “basista” dell'organizzazione, abitando nello stesso stabile della madre del giudice Paolo Borsellino.
Provvedimenti sono stati presi anche nei confronti di Calogero Pulci, oggi pentito, accusato di calunnia aggravata perché con le sue dichiarazioni avrebbe dato riscontro alla ricostruzione di Scarantino.
Rimane indagato a piede libero Maurizio Costa, il meccanico a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni dell'autobomba, per il quale la Procura aveva chiesto l'arresto.
Ciancimino, l'inaffidabile. Il lavoro portato avanti in quest'ultimo periodo dal procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, dagli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, dai sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani in collaborazione con la squadra della Direzione Investigativa Antimafia guidata dal vice-questore aggiunto Ferdinando Buceti, ha innanzitutto definito come quella di Massimo Ciancimino – al contrario di quello che pensano a Palermo – sia una vera e propria “pseudo collaborazione”, volta più a tutelare i suoi interessi e quelli di Cosa Nostra che non quelli dello Stato. L'unico merito che gli viene reso, è di aver «contribuito a risvegliare la memoria di persone che, pur non direttamente chiamate in causa da lui, forse temevano che fosse a conoscenza di vicende inerenti la trattativa di cui essi erano stati testimoni privilegiati e che in precedenza non avevano mai rivelato ad alcuno».
Utveggio, il castello di carta. Altro punto che il team di Lari ha di fatto smontato riguarda l'”ipotesi-Utveggio”, cioè che il gruppo mafioso che avrebbe deciso ed eseguito l'attentato fossero appostati al castello, da dove la visuale su via D'Amelio è perfetta. Secondo il pentito Fabio Tranchina, infatti, il telecomando fu azionato da Giuseppe Graviano – già condannato per la strage – da «dietro un muro che delimitava la fine di via D'Amelio ed un retrostante giardino».
Il signor “Nessuno”. Secondo la ricostruzione di Spatuzza, quando il giorno prima dell'attentato questi portò l'auto in un garage di via Villasevaglios, dove fu caricato l'esplosivo, insieme agli uomini di Cosa Nostra c'era un altro uomo, non identificabile. Da qui il primo dei “nuovi” misteri: dando per poco probabile che quello fosse un uomo di qualche altra famiglia mafiosa – in tal caso sarebbe stata persona comunque nota – chi c'era in quel garage? I pm non escludono che possa trattarsi di un uomo appartenente ai servizi di sicurezza. O forse era quell'”amico” del giudice Borsellino che lo tradì?
La cena del tradimento. È questo, infatti, il vero “colpo di teatro” della nuova inchiesta. Secondo la ricostruzione fatta a Caltanissetta, infatti, sulla famosa agenda rossa prelevata nei minuti immediatamente successivi all'esplosione dell'autobomba il giudice avrebbe scritto dei primi contatti tra carabinieri del Reparto operativo speciale (il Ros) e Vito Ciancimino, all'epoca sindaco – con i voti di Cosa Nostra – di Palermo, come riferito anche dal magistrato Liliana Ferraro, che per un decennio ha collaborato, da Roma, con il giudice Falcone.
Secondo un altro magistrato, Alessandra Camassa – oggi a capo della sezione penale del Tribunale di Trapani – Borsellino qualche giorno prima dell'attentato era stato a Roma, dove aveva pranzato o forse cenato con degli alti ufficiali dell'Arma. Il giudice avrebbe incontrato lì l'”amico” che poi lo tradì. Forse proprio quel generale Subranni, attualmente indagato proprio dalla procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa, che oltre ad essere capo del Ros che in quel momento conduceva la “trattativa” era anche un “punciutu”, cioè un affiliato?
I magistrati non escludono, dopo il nuovo scenario configurabile con questa ricostruzione, che Cosa Nostra sia stata solo mera esecutrice di un omicidio voluto in altre stanze, laddove il giudice Borsellino era ormai visto come «un ostacolo alla prosecuzione della trattativa».
È da qui che riparte l'indagine, considerato il fatto che i procuratori non credono che, sul versante politico, la scelta fu fatta dal solo Giovanni Conso, all'epoca ministro della Giustizia. Nelle scorse settimane, è bene ricordarlo, un altro degli uomini dello Stato – Calogero Mannino – è stato iscritto nel registro degli indagati, a Palermo, per presunte pressioni fatte per alleggerire il regime del 41bis[2].
Che quel “livello occulto” di cui in molti, in questi anni, hanno parlato, stia finalmente per essere svelato?
Dopo aver scoperto il depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino nei mesi scorsi[1], la Procura si è basata sulle deposizioni di Gaspare Spatuzza, l'ex killer di Brancaccio che rubò la Fiat 126 su cui fu piazzato poi l'esplosivo. Grazie alla sua testimonianza, infatti, è stato possibile non solo scarcerare sei persone accusate inizialmente dell'esecuzione dell'attentato, ma anche riformulare alcuni dei punti fermi della ricostruzione fin qui nota.
Ad essere stati raggiunti dal provvedimento, questa mattina, sono stati Salvino Madonia, accusato di aver partecipato, nel dicembre 1991, alla riunione della Cupola in cui si decise di dare il via al periodo stragista ed indagato anche per l'omicidio di Libero Grassi e la bomba alla villa del giudice Giovanni Falcone all'Addaura, al boss Vittorio Tutino, che insieme a Spatuzza rubò l'automobile e Salvatore Vitale, che sarebbe stato il “basista” dell'organizzazione, abitando nello stesso stabile della madre del giudice Paolo Borsellino.
Provvedimenti sono stati presi anche nei confronti di Calogero Pulci, oggi pentito, accusato di calunnia aggravata perché con le sue dichiarazioni avrebbe dato riscontro alla ricostruzione di Scarantino.
Rimane indagato a piede libero Maurizio Costa, il meccanico a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni dell'autobomba, per il quale la Procura aveva chiesto l'arresto.
Ciancimino, l'inaffidabile. Il lavoro portato avanti in quest'ultimo periodo dal procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, dagli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, dai sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani in collaborazione con la squadra della Direzione Investigativa Antimafia guidata dal vice-questore aggiunto Ferdinando Buceti, ha innanzitutto definito come quella di Massimo Ciancimino – al contrario di quello che pensano a Palermo – sia una vera e propria “pseudo collaborazione”, volta più a tutelare i suoi interessi e quelli di Cosa Nostra che non quelli dello Stato. L'unico merito che gli viene reso, è di aver «contribuito a risvegliare la memoria di persone che, pur non direttamente chiamate in causa da lui, forse temevano che fosse a conoscenza di vicende inerenti la trattativa di cui essi erano stati testimoni privilegiati e che in precedenza non avevano mai rivelato ad alcuno».
Utveggio, il castello di carta. Altro punto che il team di Lari ha di fatto smontato riguarda l'”ipotesi-Utveggio”, cioè che il gruppo mafioso che avrebbe deciso ed eseguito l'attentato fossero appostati al castello, da dove la visuale su via D'Amelio è perfetta. Secondo il pentito Fabio Tranchina, infatti, il telecomando fu azionato da Giuseppe Graviano – già condannato per la strage – da «dietro un muro che delimitava la fine di via D'Amelio ed un retrostante giardino».
Il signor “Nessuno”. Secondo la ricostruzione di Spatuzza, quando il giorno prima dell'attentato questi portò l'auto in un garage di via Villasevaglios, dove fu caricato l'esplosivo, insieme agli uomini di Cosa Nostra c'era un altro uomo, non identificabile. Da qui il primo dei “nuovi” misteri: dando per poco probabile che quello fosse un uomo di qualche altra famiglia mafiosa – in tal caso sarebbe stata persona comunque nota – chi c'era in quel garage? I pm non escludono che possa trattarsi di un uomo appartenente ai servizi di sicurezza. O forse era quell'”amico” del giudice Borsellino che lo tradì?
La cena del tradimento. È questo, infatti, il vero “colpo di teatro” della nuova inchiesta. Secondo la ricostruzione fatta a Caltanissetta, infatti, sulla famosa agenda rossa prelevata nei minuti immediatamente successivi all'esplosione dell'autobomba il giudice avrebbe scritto dei primi contatti tra carabinieri del Reparto operativo speciale (il Ros) e Vito Ciancimino, all'epoca sindaco – con i voti di Cosa Nostra – di Palermo, come riferito anche dal magistrato Liliana Ferraro, che per un decennio ha collaborato, da Roma, con il giudice Falcone.
Secondo un altro magistrato, Alessandra Camassa – oggi a capo della sezione penale del Tribunale di Trapani – Borsellino qualche giorno prima dell'attentato era stato a Roma, dove aveva pranzato o forse cenato con degli alti ufficiali dell'Arma. Il giudice avrebbe incontrato lì l'”amico” che poi lo tradì. Forse proprio quel generale Subranni, attualmente indagato proprio dalla procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa, che oltre ad essere capo del Ros che in quel momento conduceva la “trattativa” era anche un “punciutu”, cioè un affiliato?
I magistrati non escludono, dopo il nuovo scenario configurabile con questa ricostruzione, che Cosa Nostra sia stata solo mera esecutrice di un omicidio voluto in altre stanze, laddove il giudice Borsellino era ormai visto come «un ostacolo alla prosecuzione della trattativa».
È da qui che riparte l'indagine, considerato il fatto che i procuratori non credono che, sul versante politico, la scelta fu fatta dal solo Giovanni Conso, all'epoca ministro della Giustizia. Nelle scorse settimane, è bene ricordarlo, un altro degli uomini dello Stato – Calogero Mannino – è stato iscritto nel registro degli indagati, a Palermo, per presunte pressioni fatte per alleggerire il regime del 41bis[2].
Che quel “livello occulto” di cui in molti, in questi anni, hanno parlato, stia finalmente per essere svelato?
Note |
[2] http://senorbabylon.blogspot.com/2012/02/processo-mori-obinu-la-deposizione-di.html