«Nessuno sa per chi andate a votare, però si può vedere. Alla fine delle elezioni» - continua Morales - «mi danno una copia dell'elenco di chi ha votato e per chi, questa lista è confidenziale, e se qualcuno qui ha votato per Javier saranno problemi». Rodríguez Rosales ha battuto il contendente del Prd per 33.000 voti, ottenendone in totale 329.000. Quanti di quei voti siano arrivati tramite pressioni di questo tipo rimarrà probabilmente un mistero.
Secondo un report della Secretería de Defensa Nacional (Sedena), dal 1 gennaio al 24 novembre scorsi le forze dell'ordine messicane hanno sequestrato 29.239 armi, il maggior quantitativo mai sequestrato sotto l'amministrazione Calderón Hinojosa, “battendo il record” - stabilito lo scorso anno – di 28.128.
Messico che peraltro – come denuncia Antônio Rangel Bandeira dalle pagine di Notirex.com[2] – ha negli ultimi anni soppiantato il Brasile, diventando uno dei principali fornitori di munizioni in America Latina e nel Caribe, in quanto «le munizioni messicane sono più economiche delle altre».
«Trattandosi di munizioni» - continua Rangel Bandeira, uno dei principali esperti internazionali in materia di controllo di armi e munizioni che lavora per l'organizzazione non governativa brasiliana “Viva Rio”- «è molto importante la loro tracciabilità. Questo perché è più facile seguire le munizioni che le armi. Due mesi e mezzo fa a Rio de Janeiro fu assassinato un giudice che investigava sulla corruzione tra le forze dell'ordine. Nessuno sapeva chi lo aveva ucciso, nonostante gli fossero stati sparati contro ventuno colpi.
Le munizioni rimaste sulla scena del delitto erano però marcate: erano state vendute ad una determinata caserma della polizia di Rio. È stato così possibile scoprire che il comandante era anche capo di una rete di corruzione nelle forze dell'ordine».
Ricordarsi delle vecchie amicizie. Come riportava due giorni fa il quotidiano Milenio nella sua versione on-line[3], negli ultimi cinque mesi le forze dell'ordine sono riuscite ad arrestare otto dirigenti dei “Los Zetas”. Per far fronte alle defezioni il cartello ha deciso un vero e proprio ritorno alle origini. Quattro esponenti delle forze dell'ordine colombiane – due capitani e due ufficiali dell'esercito, arrestati per violazione dei diritti umani in Colombia e rimessi in libertà nel 2005 – sarebbero organici al cartello da almeno sei anni. «Nel 2008 le autorità hanno iniziato ad avere sospetti su attività illegali nelle quali erano coinvolti anche soldati, che avevano rapporti amicali con i Los Zetas, ex soldati d'élite che hanno disertato» ha commentato Carlos Flores Pérez, investigatore del Colectivo para el Análisis de Seguridad Para la Democracia (CASEDE).
Tra i reati di cui potrebbero essersi macchiati i quattro colombiani ci sarebbero l'esecuzione di settantadue migranti nello stato di Tamaulipas nell'agosto del 2010 e l'incendio del Casino Royale di Monterrey – esattamente un anno dopo – nel quale morirono cinquantadue persone. Sono inoltre accusati, insieme a tutto il cartello, di aver perpetrato il massacro di contadini guatemaltechi a Petén (uno dei ventidue dipartimenti in cui è suddiviso il territorio del Guatemala) lo scorso 27 maggio.
Guatemala che, come riportava ieri El Universal, è stato nei giorni scorsi teatro della liberazione di un bambino messicano, identificato come Rony “N”, di 13 anni sequestrato lo scorso 18 ottobre in Chiapas.
Insomma: i tentacoli della piovra, nel continente, sono in piena espansione.
Note |
[2] México, el proveedor de armas de Latinoamérica, Notirex.com novembre 2011;
[3] En cinco meses han caído ocho jefes "zetas", Ignacio Alzaga 27 novembre 2011