In particolare è l'ultima frase – quel “with what effect” - che mi stuzzica la curiosità. «Con quali effetti» si comunica, si chiedeva il politologo statunitense nel secolo scorso. “Con quali effetti”, “a che scopo” sono modi alternativi di formulare la questione in maniera probabilmente ancor più diretta. Per farlo basta un'unica parola: perché?
Ma procediamo per gradi.
Questa è la pubblicità incriminata che si può vedere per le strade di Napoli. A parte la poca fantasia, come da più parti evidenziato, per stessa ammissione del responsabile lo stesso pay-off era stato utilizzato in precedente campagna pubblicitaria che differiva da quella in oggetto per un diverso contesto, senza che la cosa abbia fatto indignare femminista alcuna. Ora: non sono riuscito a trovare la vecchia campagna pubblicitaria, ma quel che mi chiedo – e che quindi, non potendo dissipare la questione, rimane sul piano dei dubbi – è se il non suscitare scalpore non sia stato dettato, nella precedente pubblicità, proprio dalla non associazione tra una frase dall'aulicità degna di una caserma e la ragazza presente nel cartellone. Ed è a questo punto, che si instaura la domanda che ci viene da Lasswell e che quindi torno a ripetere: perché? Perché, per pubblicizzare una macchinetta per fare il caffè bisogna metterci una ragazza vicino?
Il problema è, però, ben più esteso. Perché per pubblicità di scarpe, di pavimenti o di qualunque altra diavoleria vi possa venire in mente, bisogna infilarci dentro una ragazza, la cui figura deve, naturalmente, rispondere a determinati canoni?
Prendiamo proprio l'immagine della pubblicità del caffè: perché si è deciso di utilizzare una figura di giovane donna con quelle determinate caratteristiche fisiche? Non è neanche una delle immagini peggiori per la dignità femminile (ve ne posterò alcune proseguendo nella lettura che sono decisamente peggio), ma se la ragazza non è rilevante ai fini della promozione, perché utilizzare lei e non qualcun altr*? Non so, magari una bella signora di età avanzata, dal viso simpatico e sorridente, che avrebbe potuto sottolineare ancora di più la facilità di utilizzo della macchinetta. Oppure perché non un bel signore con pochi capelli e una bella panza voluminosa? In ambedue i casi, io credo, il messaggio, cioè la gratuità dell'oggetto in promozione, non sarebbe stato di minore forza ed anzi, forse più nel caso della scelta di una figura maschile, si sarebbe potuto dare ancor più risalto al pay-off, che non avrebbe certo fatto inferire – come invece è stato – allusioni sessuali di una estrema povertà intellettuale.
Prendendo a pretesto questa pubblicità, peraltro, è partita anche una campagna dell'UDI (Unione Donne in Italia) con lo scopo di contrastare le immagini lesive e gli stereotipi femminili ovunque, non solo nella pubblicità. Io non posso aderirvi ufficialmente, in quanto la campagna è aperta alle sole donne, per cui l'unica cosa che posso fare – oltre a farmi megafono della stessa – è invitare le lettrici del blog, di ReportOnLine e di Facebook ad aderire a questa campagna. Perché il problema è ben più importante di quel che si vuole far credere, anche se i problemi di rilevanza nazionale sembrano essere ben altri.
Permettetemi quindi una piccola digressione: il “caso” politico per cui il Paese intero si è fermato in questi giorni è la non ammissione di alcune liste che appoggia(va)no le candidature del PdL in Lombardia e a Roma e la firma del Presidente della Repubblica sul relativo decreto legge. Questo in realtà è un falso problema che, come tale, diventa l'unico argomento di discussione di un Paese che fa sempre più ridere a livello internazionale per la qualità della sua classe dirigente e – soprattutto – culturale. È un falso problema semplicemente perché le elezioni sono falsate ed illegali. Ancor prima di essere avviate: perché non sono realmente “libere e democratiche” come si vorrebbe far credere – basti pensare all'ormai annoso problema delle preferenze e delle liste bloccate – e perché esiste un documento che rende inutile qualsivoglia discussione a carattere nazional-elettorale. Questo documento è conosciuto come Trattato di Lisbona che, essendo stato fortemente voluto dai poteri forti che fanno girare il mondo, ha una valenza maggiore di qualsivoglia Costituzione nazionale, in barba alla c.d. “gerarchia delle fonti”. Come se non bastasse, mentre negli altri Paesi è stato fatto un referendum per chiedere alla cittadinanza se fossero favorevoli o contrari (motivo per cui gli irlandesi sono balzati agli onori della cronaca qualche mese fa...), in Italia non solo si è ratificato il Trattato nel silenzio più totale, ma oggi ad ergersi a difensore di una Democrazia umiliata c'è Antonio Di Pietro, che ha la pecca di aver accettato la ratifica di quel documento che, de facto, diventa la Costituzione degli Stati Uniti d'Europa. Per cui per me prima di tacciare qualcuno di “golpismo”, di “attentato alla democrazia” il leader dell'IdV dovrebbe guardarsi un po' allo specchio. Magari si renderebbe conto che l'unico motivo per cui ha diritto di parola è che l'Italia è un paese democratico. Checché se ne dica e se ne pensi.
Un'altra persona che ha diritto di parola solo perché siamo in democrazia – ritornando al filone centrale del post – è una delle “signore” presenti alla trasmissione a cui vi rimando con il link all'inizio. Sto parlando di Alda D'Eusanio, che non si capisce bene per quale motivo sia stata invitata, se non quello di pareggiare il numero di maschilisti presenti in studio, visto che uno dei due pubblicitari – quello che ha avuto la “genialata” - sembrava non avere facoltà di parola.
«(...)non si pensi che tutte le donne fanno bene alle donne. Ce ne sono di devastanti e deleterie per se stesse e per tutte noi. Ci sono donne sessiste che sfruttano i corpi delle donne tanto quanto gli uomini».
E la D'Eusanio è una di queste, basti guardare al fatto che le battute più triviali in quei 24 minuti di trasmissione vengono proprio da lei. Nel precedente post, ho definito questo tipo di comportamento “machismo mestruato”, termine con il quale indico tutte quelle donne che si comportano in maniera machista nei confronti del loro genere.
Chi sono? Sono tutte quelle donne che di fronte a cartelloni pubblicitari, trasmissioni televisive, pubblicità sui giornali in cui la donna viene rappresentata in maniera eccessivamente erotizzata per il contesto – come le “fantastiche 4” dell'Alma Mater, sulle quali tornerò in seguito – non si indignano ma, anzi, ne provano quasi piacere. Sono tutte quelle donne che accettano incondizionatamente la subordinazione, e dunque la sottomissione, al maschio ed alla cultura machista che egli rappresenta. Le stesse donne, molte delle quali frequentano i salotti televisivi, che quando si trovano invischiate in discussioni sull'ennesimo stupro difendono lo stupratore, avallando – spesso facendosene dirette emissarie – frasi dal chiaro stampo maschilista quali “se l'è cercata”, “vestita così cosa pretende?” e non c'è bisogno di aggiungere altri esempi.
- La pubblicità
Questa pubblicità, di cui non so – e non mi interessa – conoscere il committente (e ad essere sinceri neanche chi ha avuto l'idea) è solo una tra le migliaia di esempi che potrei portare per evidenziare il concetto di donna che si vuole per questa società. Perché i mezzi di comunicazione veicolano mode, stili e modelli sociali, e la pubblicità – in quanto mezzo di comunicazione – non è da meno. Anzi: è forse il miglior modo, perché la pubblicità è breve (qualora si parli di quella radio-televisiva) ed incisiva, quindi il messaggero – cioè la conformazione “estetica” della pubblicità (cioè come la pubblicità si presenta nel suo insieme visivo e/o uditivo) – deve “investire” il destinatario, più è d'impatto più avrà effetto nel breve periodo.
A differenza del resto del mondo occidentale, dove la donna è finalmente concepita in maniera non maschilista, nel nostro paese si possono evidenziare due figure di “donna da pubblicità”: quella della pubblicità comune, come quelle fin qui proposte, quindi una donna fortemente erotizzata, anche tramite l'utilizzo di un contesto con forti richiami sessuali, come nelle due immagini che seguono (la prima appartiene alla stessa campagna dell'immagine precedente):
Questo tipo di rappresentazione della donna – che potremmo quasi innalzare a vera e propria corrente di pensiero – è quella ben nota della donna-oggetto, nella quale la sua identità sociale è svilita e relegata al mero ruolo di oggetto (appunto) dei desideri di un ipotetico pubblico maschile. La sua caratterizzazione dunque deve rispondere a caratteri accettati da questo tipo di pubblico o, più probabilmente, deve dettare i caratteri accettati dal pubblico a cui fa riferimento. Basta guardarsi intorno per capire questo: oggi le adolescenti, cioè il soggetto sociale su cui più fa presa il concetto di riconoscimento nel modello sociale di riferimento – anche se non è raro che vi si conformino anche gli adolescenti – si rifanno al modello della “velina” per creare la propria identità sociale, cioè all'immagine della “donna da pubblicità“, perfetta – in modo naturale o grazie ad aiutini di varia natura - nelle sue fattezze fisiche, cioè alla “donna da pubblicità ”resa in carne ed ossa. La caratterizzazione di questo personaggio dunque, avrà forti richiami sessuali – pose, espressioni facciali – pur non avendo alcun legame con il contesto nel quale vengono ascritte.
Tale “corrente”, però, non riflette solo l'universo giovanile, basti guardare a come la pubblicità si pone nei confronti di due categorie anagrafiche diverse da quelle sinora prese in esame: donne anziane, a cui è sempre più legato il concetto di “immortalità”, e quindi tutto quell'insieme di rappresentazioni giovanili delle pubblicità a loro dedicate, e bambine, sulle quali è forse il caso soffermarsi un attimo.
Secondo il sociologo – e teorico della comunicazione – Neil Postman, la società odierna, che fa del consumismo uno dei suoi mantra, tende ad opacizzare le differenze anagrafiche tra bambin* ed adulti, inglobando ambedue sotto la più generica classe di “consumatore” (o consumatrice), e questo è ben visibile nelle pubblicità in cui protagonisti sono bambine e bambini – maggiormente le prime – a cui viene richiesto un atteggiamento non certo naturale per la loro età e che scimmiotta quello di età anagrafiche più elevate.
In una ricerca del 2006, Emma Rush e Andrea La Nauze dell'Australian Institute definiscono questo aspetto “Corporate Paedophilia”, in quanto – come è evidente – questo modo di progettare una pubblicità abusa di figure infantili per strizzare l'occhio agli adulti al fine di trarne vantaggi economici (cioè la vendita del prodotto commercializzato).
Se si pensa ai danni che un tipo di comportamento simile ingenera in chi ne è veicolo senza averlo scelto (cioè i bambini, che spesso nei primi anni vivono in base ai desideri di realizzazione dei propri genitori), si può quantomeno iniziare a capire da dove provenga la lolitizzazione delle adolescenti ed i casi di cronaca in cui molt* di loro si concedono fisicamente per raggiungere un profitto nel breve periodo (come può essere quello della ricarica per il telefono cellulare).
In contrapposizione alla “donna da pubblicità”, l'altra corrente di pensiero è quella della “donna-Mulino Bianco”: cioè di una donna che, seppur erotizzata in maniera meno evidente, risponde agli stessi canoni fisici della “donna da pubblicità”, dalla quale si differisce per la caratterizzazione del contesto nella quale viene inserita. Se da una parte, infatti, abbiamo l'esplicitazione della donna-oggetto, rimarcando molto l'aspetto fisico (che deve avvicinarsi anche in questo caso alla perfezione) e dunque la sua carica di desiderabilità fisica da parte del macho italico, la “donna-Mulino Bianco” rappresenta invece l'altro modo che in Italia si ha di concepire la donna: cioè donna come madre di famiglia, dove la figura femminile sarà caratterizzata con ruoli sociali più “forti” (donna in carriera e consimili), ma sempre nell'ambito del candore familiare, così da rimarcare il ruolo di moglie e madre-procreatrice – e dunque anche in questo caso di posizione subordinata al maschio – in cui la cultura machista italica la relega.
Manca, a mio modo di vedere, un terzo modello di donna: quello che io definisco “alla Anna Magnani”, cioè di una donna che non è fisicamente perfetta (basti pensare alla strenua difesa delle sue rughe che ebbe a fare con un truccatore, come viene evidenziato anche ne “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo) ma che risulta, proprio per questo, decisamente più vera e dunque più vicina alla donna (o alla ragazza) della porta accanto, quella che si può incontrare tutti i giorni al supermercato, che tiene più alla sua emancipazione – anche, e forse soprattutto, grazie alla cura del suo Io intellettual-culturale – che non al suo “involucro” fisico.
Ma, evidentemente, alla pubblicità – ed alla comunicazione in genere – la persona che rientra nei canoni della normalità non interessa, altrimenti come si spiegherebbe l'uso di richiami alla sessualità anche nelle campagne elettorali?
- La politica
Perché, almeno in politica, non si usa un modello di donna più veritiero? Perché, ad esempio, non vengono mai fatte campagne pubblicitarie con le effigi di una Nilde Iotti, o di Adele Faccio, o – per venire ad esempi più attuali – di una Margherita Hack?
L'unica risposta che mi viene in mente è che questo tipo di donna risponde non al modello di donna-oggetto, di subordinazione – e quindi di estrema necessità – che la donna dovrebbe avere nei confronti del macho-possessore (con tutto quel proliferare di “nostre” donne enunciato dalla retorica di destra, come se le donne fossero proprietà di qualcuno diverso da se stesse...) ma a quello che potremmo definire con le parole di Antonio Gramsci su “L'Ordine Nuovo”:
«Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo.
Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza.
Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.»
e questo il maschio “capo-branco” proprio non può permetterlo, altrimenti verrebbe meno la sua definizione all'interno della società: quella di padrone.
Per concludere, mi chiedo se davvero le donne vogliono essere rappresentate così. Davvero si preferisce che l'identità sociale passi attraverso il proprio corpo - cioè uno stato momentaneo ed artificioso del proprio essere - piuttosto che attraverso la propria interiorità, la propria cultura, la propria preparazione (e questo non solo per le donne)? Davvero, oggi, le donne e le ragazze si identificano più in una D'Addario o in Cinzia Gracchi (colei che ha fatto scoppiare il "Cinzia-gate" a Bologna) che non – appunto – in una Adele Faccio, o in quel variegato mondo del Femminismo – la maiuscola non è un refuso – degli anni '70 dal quale invece sembrano essere schifate?
- Documenti
- fallocrazia e corpi di servizio: [http://www.youtube.com/watch?v=DDZfPNtw7GE]
- fallocrazia e corpi al servizio 2:[http://www.youtube.com/watch?v=g4gteRuhJgw]
- l'erotizzazione dei bambini nella pubblicità: [http://www.oliverio.eu/anna/SESSUALIZZAZIONE%20BAMBINI.htm]
- "Il femminismo? Roba anni'70. Anche le ragazze lo rifiutano" [http://bologna.repubblica.it/dettaglio/il-femminismo-roba-anni-70-anche-le-ragazze-lo-rifiutano/1875881]