Dov'è la festa?

Quest'anno, per la prima volta, non ho fatto gli auguri a nessuna donna. Perché non c'è niente da festeggiare. E che nessuno spari quelle frasi pre-confezionate del tipo «le donne si festeggiano tutti i giorni» perché: a) è una delle più grosse cavolate che si possano ascoltare e b) mi sa anche tanto di paraculaggine filo-maschilista.

Oggi non ho fatto gli auguri a nessuno, perché gli auguri si fanno quando si festeggia qualcosa, quando c'è una festa. E l'8 marzo non è una festa.
Per chi non lo sapesse, l'8 marzo è – ufficialmente – la giornata mondiale della donna (e non la più volgarmente detta “festa”), istituita dalle Nazioni Unite che volevano in qualche modo ricordare, tra le altre, l'omicidio delle 129 donne che morirono nella fabbrica Cotton di New York nel 1908. Quindi, al massimo, sarebbe una ricorrenza.
Cosa c'è, dunque, da festeggiare? C'è da festeggiare per pagare l'obolo di uno Stato – e di una società – a conduzione androcentrica, maschilista e machista, in cui alla donna è relegato il misero spazio di una giornata? C'è da festeggiare per rimarcare ancora di più, tante volte ce ne fosse ancora bisogno, la discrasia tra il genere maschile e tutti gli altri? C'è da festeggiare per evidenziare la condizione di donna oggetto, che mercifica o fa mercificare il proprio corpo come strumento di riconoscimento sociale, e quindi si pone (o viene posta) in condizione di subordinazione al volere/desiderio maschile e/o maschilista?

Perché è questo, oggi, il clima in cui si “festeggia” la donna.
E dovremmo esserne content*? Lo scrivo proprio così, nella sua declinazione “no-gender”, perché per troppo tempo abbiamo lasciato che di questo tipo di discussioni – forse l'unico vero tema di una certa rilevanza intellettuale nel nostro Paese in questi ultimi anni – se ne occupassero solo le dirette interessate, perché troppo spesso “noi maschi” ci sentiamo avulsi da una discussione che ci sembra irrilevante, troppo “femminile”.
Gli unici argomenti femminili che interessano alla società androcentrica nella quale viviamo, e dalla quale dunque siamo tutti – indistintamente – investiti, riguardano sempre e solo i corpi delle donne, come ha magistralmente fatto notare Lorella Zanardo con l'omonimo video (tanto da riuscire, quantomeno, ad aprire un dibattito sul tema), la loro femminilità.
Anche concepire questa giornata come festa, oggi, si inquadra in quest'ottica: più che una festa “delle” e “sulle” donne è una festa “della” e “sulla” femminilità, da intendersi anche (e forse soprattutto) in maniera negativa.
Provocatoriamente potrei chiedermi – e chiedere – perché, nonostante si faccia un gran brusio nel ribadire l'eguaglianza, la parità tra i sessi (ma solo tra i due “internazionalmente riconosciuti”, per gli altri siamo ancora a concezioni medioevali), ci si indigna per un culo mosso in primo piano in televisione, ma nessuno ne chiede l'eliminazione? Perché, ad esempio, non esiste un “movimento per la bonifica della società dalla donna-oggetto”?
È una provocazione, naturalmente.
«Il cambiamento di un'epoca storica si può definire sempre dal progresso femminile verso la libertà, perché qui, nel rapporto della donna con l'uomo, del debole con il forte, appare nel modo più evidente la vittoria della natura umana sulla brutalità. Il grado di emancipazione femminile è la misura naturale dell'emancipazione universale».
A scriverlo non è Carla Lonzi, ma Karl Marx e Friedrich Engels ne “La sacra famiglia”, e questo dovrebbe far pensare su due aspetti della nostra società: innanzitutto quello dell'aver relegato – come scrivevo prima – la discussione sulle tematiche di genere (ripeto: una delle poche discussioni intellettuali in Italia a quest'oggi) solo alle donne, alle lesbiche, ai gay ed al movimento che più è soggetto ai problemi di genere. E questo perché anche in quegli uomini che dicono di appartenere alla sinistra («espressione poetica e suggestiva», direbbe Gaber) si sta instaurando una sorta di fascismo culturale che li vuole interessati esclusivamente a tematiche “mascoline”, escludendo da tali questioni tutt* coloro che – per credenza culturale o per convinzione personale – non sono all'altezza.
«..qui la donna è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi d'importanza minima. Come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di puttana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti.»
E questo è il secondo punto di riflessione. A scriverlo non è un comunicato stampa uscito da qualche riunione femminista ma Pier Paolo Pasolini, fine intellettuale - di cui oggi più che la mancanza si avverte la sempre più pressante necessità – e gay, aspetti molto più collegati e influenti l'uno sull'altro di quanto non si possa, e non si sia mai, immaginato prima.
È questa, secondo me, la grande sconfitta della società – almeno di quella a noi più prossima – attuale: non tanto quella di permettere quotidianamente il ritorno di un fascismo che diventa sempre più percepibile nelle forme e nella sostanza del nostro quotidiano, ma quello di aver creato un “machismo mestruato”, quello di tante donne e ragazze che oggi accettano e permettono il ritorno della concezione del corpo femminile in termini di subordinazione - sia sessuale che sociale - al “maschio”.

Ed è probabilmente alla luce di questo che non mi piace la nuova campagna anti-violenza promossa da L'Unità: perché – senza voler entrare in inutili discussioni di semiotica, sulle quali saprei pronunciarmi con precisione previa ri-lettura dei miei libri universitari – mi sembra ancora troppo pensata tenendo in considerazione la concezione maschile e maschilista della cultura. Preferisco decisamente di più quella delle Electro-domestiche.

In chiusura mi sono convinto che gli auguri vadano fatti: quindi li faccio a tutte le donne ed a tutte le ragazze imperfette, quelle che guardano le sculettanti soubrette senza arte né parte di cui sono infestati i mezzi di comunicazione e ne provano un senso di schifo, a tutte quelle che guardando un cartellone pubblicitario di scarpe si chiedono perché diamine debba esserci una ragazza mezza nuda a pubblicizzarle, a tutte quelle che quotidianamente lottano affinché non si pensi che il modello photoshopparo dei calendari sia “il” modello di donna per antonomasia. Buon 8 marzo alle donne vere, insomma.