In uno stesso palazzo, dunque, si trovano operai, infermieri, impiegati così da evitare che un lavoratore debba sobbarcarsi qualche ora di viaggio tra il luogo di lavoro ed il proprio appartamento. In Italia la situazione è diversa. Molto diversa.
Per capire com'è iniziamo con un esempio, e prendiamo una giovane coppia senza figli. Lui fa l'operaio – 5° livello, stipendio medio 1200 euro – lei sta cercando lavoro, ma dopo aver passato la vita sui libri tra università, master e corsi di specializzazione si sente ripetere che «è troppo qualificata e sarebbe sprecata», ma non avendo figli, per adesso, con il solo stipendio da operaio riescono in qualche modo a campare. Hanno cercato a lungo un appartamento in cui andare ad abitare per allontanarsi dalle rispettive famiglie. Dopo una lunga e faticosa ricerca, fatta di persone che o avrebbero concesso l'appartamento a patto che la coppia non facesse figli – perché i bambini portano solo guai e poi è più difficile cacciare una famiglia con dei bambini piccoli - di case che definire tali ci vuole uno spiccato sense of humor oppure di case che, ufficialmente, non potrebbero essere affittate hanno trovato un appartamento di 75mq a 600 euro mensili. Non sarà esattamente una reggia, ma almeno funziona tutto e ci sono l'acqua corrente, il gas e l'elettricità. Il proprietario della casa l'ha acquistata accendendo un mutuo a tasso variabile dell'importo esatto dell'affitto richiesto, così da poter coprire le rate del mutuo senza problemi. Ma si sa, i tassi variabili facilmente aumentano, e dopo un po' di tempo il proprietario si vede aumentare la rata del mutuo, che passa dai 600 richiesti a 800 euro. Con il solo affitto, dunque, il proprietario di casa non può più far fronte al mutuo, e quindi si vede costretto ad aumentare l'affitto, ristabilendo la situazione precedente all'aumento. C'è la crisi, però, e poi i nuovi mercati – India, Paesi in via di sviluppo – hanno una manodopera molto più conveniente: lavora di più e costa (molto) di meno. Per cui il nostro operaio viene messo in cassa integrazione a 960 euro (cioè l'80% dello stipendio mensile). Quindi il dilemma: pagare l'affitto o fare la spesa? Ci hanno provato a chiedere al proprietario di rivedere la rata, ma niente, quello da quest'orecchio proprio non ci sente. Non ci vuole rimettere un euro di tasca sua. Alla fine della fiera la giovane coppia si ritrova a fare richiesta per l'assegnazione di un alloggio popolare. Interrompiamo qui la nostra storia, ci torneremo in seguito...
Stando al rapporto degli edili CGIL del novembre 2008 – l'ultimo che sono riuscito a trovare – gli alloggi di edilizia sociale disponibili sono circa 950.000, a fronte di circa 2.500.000 famiglie (per cui il numero di “individui” come minimo raddoppia) che ne avrebbero pieno diritto.
L'articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita:
«Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia e in ogni altro caso di perdita di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà».È importante a mio avviso che in questo articolo si elenchino anche diritti “minimi” come il diritto al vestiario (che potrebbe far anche ridere alle nostre latitudini), o come il diritto all'abitazione. Nella nostra Costituzione – nonostante nell'Assemblea Costituente ci fosse un ampia schiera di politici le cui ideologie sarebbero a favore del popolo – non c'è scritto niente di tutto questo. Si parla di inviolabilità di alcuni diritti (libertà personale, art.13; della corrispondenza, art.15); della tutela del lavoro (art.35); dell'iniziativa economica e della proprietà (artt.41 e 42) ma niente, un articolo in cui esplicitamente si faccia riferimento al “diritto al tetto” - per citare una canzone del gruppo milanese dei “Ministri” - proprio non c'è. D'accordo che, come dice qualcuno, la carta costituzionale è un “ferro vecchio” che andrebbe rivisto, ma per come la vedo io il diritto alla casa è – dopo i diritti personali - IL diritto per antonomasia, ancora prima del diritto al lavoro. Perché se ho una casa (in affitto o proprietà fa poca differenza) so dove tornare la sera, dopo una lunga giornata di lavoro o di ricerca di lavoro, e quindi poi essere presentabile il giorno dopo davanti al capoufficio o a chi mi dovrà fare il colloquio di lavoro; mentre se ho un lavoro – ma non una casa – potrò arrangiarmi momentaneamente da amici e parenti o affittare una camera in qualche alberghetto economico, ma non può essere certo una soluzione definitiva.
Più guardo a quello che per ora considero il mio paese solo perché ci sono nato, e più mi rendo conto che sta diventando un paese per soli ricchi. È di qualche giorno fa l'articolo – pubblicato su La Stampa – dell'università che sta ricreando differenziazioni di classe, (ri)divenendo accessibile sollo alla classe borghese, mandando in soffitta l'egualitarismo sancito dall'art.3 della Costituzione e l'educazione di massa che ogni paese che si definisce civile e democratico assicura (certo: bisogna anche vedere se l'Italia è un paese “civile e democratico” - cosa su cui nutro forti dubbi – ma questa è un'altra storia...).
Il problema abitativo, inerentemente alla c.d. “edilizia sociale” è un altro degli indicatori che il Paese sia destinato all'uso e consumo della sola classe ricca. Rispetto agli altri paesi, infatti, l'Italia registra una percentuale di alloggi popolari del 4%, quando paesi come l'Olanda (36%) e Gran Bretagna (22%) sono addirittura al di sopra della media comunitaria, che si attesta intorno al 20%. Ciò vuol dire che, se in media in Europa una casa su cinque è costruita sotto regime di edilizia sociale pubblica, in Italia il rapporto è di una su venticinque.
Tutto torna, se consideriamo che ormai da tempo la vera politica della classe dirigente che continuiamo a legittimare con il voto è quella del disinvestimento totale e della sudditanza a banche e potentati vari, veri o presunti che siano (basti ricordare il tifo di alcuni dei principali esponenti dell'allora maggior partito di sinistra ai tempi della scalata alle banche dei c.d. “furbetti del quartierino”).
Ci sono due problemi, in ambito abitativo, da dover risolvere a stretto giro di posta, almeno rimanendo sul fronte dei compiti di uno Stato democratico (almeno sulla carta): poca edilizia destinata alle classi medio-piccole e – di contro – molte case costruite ma che risultano vuote. Insomma: tra le politiche sociali – altra cosa dismessa dalla classe politica – bisogna ricominciare ad inglobare anche l'edilizia economica e popolare.
Ma torniamo alla giovane coppia della nostra storia...
Li avevamo lasciati di fronte alla domanda per l'assegnazione di una casa popolare. Già: ma come si fa? E quali requisiti ci vogliono? E poi, domanda delle domande: in base a cosa dovrebbero scegliere proprio loro e non una delle tante, tantissime famiglie in condizioni simili o peggiori delle loro?
Stando al bando del comune in cui risiedono (prendo, riportandone i punti fondamentali, quello della città in cui risiedo – cioè Prato - anche se presumo i requisiti siano uguali per tutti i comuni), per l'assegnazione di un alloggio popolare può partecipare:
a) Chi sia in possesso della cittadinanza italiana o di uno stato aderente all'Unione Europea. Possono accedervi anche cittadini non europei in possesso di carta di soggiorno o di permesso almeno biennale; b) Chi abbia residenza anagrafica o presti attività lavorativa in uno dei Comuni della Provincia o chi ivi presterà servizio in nuovi insediamenti produttivi entro e non oltre l'anno in corso od il lavoratore emigrato all'estero che ha intenzione di tornare in Italia; c) Chi non risulti titolare di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare, nell'ambito territoriale a cui si riferisce il bando di concorso. Si considera “adeguato alle esigenze del nucleo familiare” un appartamento
- non inferiore a 30 mq per una persona;
- non inferiore a 45 mq per due persone;
- non inferiore a 55 mq per tre persone;
- non inferiore a 65 mq per quattro persone;
- non inferiore a 75 mq per cinque persone;
- non inferiore a 95 mq per sei o più persone.
L'ammissione al bando, però, sembra essere la cosa più semplice. Dopo il bando, infatti, c'è l'assegnazione del punteggio (anche in questo caso riprendo i dati del Comune di Prato), in pratica una vera e propria lotteria: A) Condizioni Soggettive a. Reddito pro-capite:
- non superiore all'importo annuo di una pensione sociale per persona (per il 2008 € 395,59.): punti 2;
- non superiore all'importo annuo di una pensione minima I.N.P.S. (per il 2009 € 458,20 )per persona: punti 1;
- superiore a 2/3: punti 1;
- pari al 100%: punti 2;
- residenza anagrafica in locale impropriamente adibito ad abitazione (baracche, stalle, soffitte, garages, dormitori pubblici, cantine, pensioni, alberghi e ogni altra unità immobiliare avente caratteristiche di assoluta e totale incompatibilità con la destinazione di abitazione): punti 5;
- appartamento avente barriere architettoniche tali da determinare grave disagio abitativo, qualora nel nucleo familiare vi sia un componente inabile grave non deambulante: punti 1;
- abitazione in un alloggio procurato a titolo precario dai servizi di assistenza del Comune: punti 3;
- convivenza anagrafica in uno stesso alloggio con altro o più nuclei familiari, ciascuno composto da almeno due unità; tale condizione deve sussistere da almeno un anno al momento della pubblicazione del bando: punti 2;
- due persone a vano utile: punti 1;
- oltre due persone a vano utile: punti 2;
- oltre tre persone a vano utile: punti 3;
- provvedimento esecutivo di sfratto da alloggi di proprietà privata con specifica indicazione che lo stesso non sia stato intimato per inadempienza contrattuale (in quanto questa non dà diritto a punteggio);
- provvedimento di separazione omologato dal tribunale o sentenza con l'obbligo di rilascio di alloggio;
- ordinanza di sgombero;
- verbale di conciliazione giudiziaria;
- provvedimento di collocamento a riposo o di trasferimento di dipendente pubblico o privato che fruisca di alloggio di servizio;
- preavviso di sfratto (art.608 c.p.c.) o notifica da parte della competente autorità della data di esecuzione di ordinanza, di sgombero, o del rilascio dell'alloggio di servizio: punti 1;
Per coltivare la speranza di un alloggio popolare la nostra coppia deve ottenere tra gli 8 e i 10 punti (che è il punteggio massimo), e ben si capisce in quali condizioni debba vivere la gente per ottenerli. Insomma: in questi casi bisogna essere fortunati anche ad essere abbastanza “poveri” da poter raggiungere un buon posto in classifica, altrimenti anche la casa popolare diventa un miraggio. Certo, non è detto che, una volta ottenuto un punteggio abbastanza alto, si ottenga automaticamente un alloggio di questo tipo – anzi, è molto molto difficile, basta guardare la puntata di Presa Diretta che ho proposto nel precedente post – e quindi si apre l'annoso capitolo di quelle che il sentire comune definisce come “occupazioni abusive” ma che, stando a quanto stabilito dal Tribunale di Foggia (per il quale l'occupazione non è reato se chi la compie versa in stato di bisogno in quanto «l'esigenza di un alloggio rientra tra i bisogni primari di una persona») ed alla luce delle peripezie che una famiglia deve fare per ottenere una casa “minima” a mio parere diventa l'esercizio di un diritto fondamentale: il diritto al tetto.