(dis)Onoriamo la camorra (e pure la mafia, la 'ndrangheta...)

Checché ne dicano personaggi come Confalonieri ed il suo datore di lavoro, che nel tempo perso fa anche il premier di questo scalcagnato paese, la rete – e quello “strumento del Demonio” che è Facebook – possono rivelare aspetti decisamente interessanti, visto quel che si può trovare (e che non si trova in tv). Ma procediamo per gradi...

Valzer con Bashir, Persepolis, Pace of Peace, Gigino e Totore. Questa lista, che ai più probabilmente dirà qualcosa solo nei primi due nomi, è una lista di cartoni animati. Cartoni animati che hanno un'aspetto che li accomuna tutti, seppur – come già i nomi fanno facilmente immaginare – diversissimi tra loro: sono cartoni “socialmente impegnati”, sono cartoni che non parlano di storielline dai buoni sentimenti come quelli di una decina di anni fa (quando li guardavo io...) o di roba strampalata importata dal Giappone (una domanda alle mamme, così, come curiosità personale: ma l'avete mai visto che robaccia fate vedere ai vostri figli? Poi non vi lamentate se a 20 anni avranno la mania delle bische clandestine!).

Valzer con Bashir, del regista israeliano Ari Folman ha come tematiche principali il conflitto in Libano dei primi anni '80 con focus particolare sui massacri dei campi profughi di Sabra e Chatila del 1982; Persepolis, tramite l'evoluzione della vita di Marjane – cioè dell'autrice, Marjane Satrapi – racconta dell'Iran del dopo rivoluzionione khomeinista e del “mondo occidentale”, cioè l'Europa, vista con gli occhi di un'adolescente costretta a scappare dal proprio paese (l'Iran, appunto). Pace of Peace, invece, non si occupa del passato, ed in effetti relegarlo a semplice “cartone animato” è quanto meno riduttivo. È il tentativo da parte di otto ragazzi israeliani di Raanana e di otto ragazzi palestinesi di Qalqilia di sfidare l'occupazione e quella cosa che nel mondo è conosciuta come “conflitto israelo-palestinese” lottando là dove ragazzi che come unica arma hanno deciso di imbracciare quella della pace possono fronteggiare il proprio avversario: la comunicazione, che invece, a livello di grandi media, è spesso mero strumento propagandistico per l'una o l'altra parte.

Il cartone su cui mi voglio soffermare, però, è il quarto della lista. Quello dal nome un po' più “particolare” e che forse meno si assocerebbe ad un cartone del tipo dei precedenti. Innanzitutto, per capire cos'è “Giggino e Totore” dobbiamo prendere la macchina del tempo e tornare – io andare, visto che nascevo esattamente 10 anni dopo – al 1976 a Terranisi, nel palermitano. A Terranisi troviamo un ragazzo, 28enne, che di nome si chiama Giuseppe, che tutti quanti – a Terranisi come a Cinisi, dove è nato – chiamano più semplicemente Peppino. Peppino s'è messo un'idea strana in testa. Combattere la mafia. Perché Peppino la mafia la conosce fin da quando è nato, visto che suo padre è uno dei tanti “uomini d'onore” che infestano la Trinacria – e l'Italia tutta – ormai da molti molti anni. Dev'essere proprio quel modo di dire che a Peppino non piace: “uomini d'onore”. Perché un mafioso, uno che fa ammazzamenti, che impone il suo dominio con la forza, dovrebbe essere “onorato”? Cosa c'è di onorabile in un mafioso? Quindi Peppino decide di fare una cosa: lui è un politico – si candiderà con Democrazia Proletaria – e un conduttore radiofonico. E da lì, dalla radio – RadioAut, si chiama – farà una cosa che fino a quel momento nessuno aveva mai osato fare: prendere per il culo i mafiosi. Togliergli l'onore facendo vedere – o per meglio dire ascoltare – alla gente che quei signori che vestivano “col vestito buono” erano uomini. Normalissimi uomini. Come lo erano i contadini delle masserie della periferia palermitana, come lo erano gli operai, come tutti, insomma. Peppino oggi sarebbe un kamikaze, perché si è messo a combattere la guerra alla mafia sul territorio più pericoloso. Perché ad un mafioso puoi fare tutto, lo puoi tenere in carcere finché non muore, gli puoi togliere tutti i possedimenti, ma non lo devi disonorare. Perché quello è un affronto che si deve lavare col sangue.

“Giggino e Totore” si pone esattamente su quello stesso filone, quello del dileggio ai “grandi uomini” della camorra. Certo, non ci sono i “Don Tano Seduto” (personaggio che faceva il verso a Gaetano Badalamenti, colui che aveva in mano le sorti proprio della Cinisi abitata da Peppino), ma personaggi come l'onorevole – pardon, il disonorevole – Latangente o Tonino Colluso del Pddl (Predatori Disonesti della Libertà) sono metafore del costume italico fino ad un certo punto. Perché in effetti nomi, fatti e personaggi sono facilmente riconducibili alla realtà.

«I protagonisti» dice Raffaele Marra, ideatore del cartone «sono due gregari di un'organizzazione criminale attiva nella provincia Nord di Napoli. Due camorristi stupidi ma senza scrupoli che non esitano a distruggere il proprio territorio per avere ricchezza e potere. I due sono comandati da don Vittorio, un avvocato che fa parte della Napoli bene, più spietato dei suoi gregari, con l'ambizione di avere il controllo di tutto il traffico e lo smaltimento dei rifiuti tossici».


In realtà anche in questo caso credo sia riduttivo parlare semplicemente di un “cartone animato”. Perché finché ci si limita a raccontare il passato – come nei casi di Valzer con Bashir e Persepolis – cioè raccontare qualcosa su cui non si ha potere di cambiamento, allora sì, si può parlare di cartone animato. Magari impegnato, ma pur sempre di quello si tratta. Giggino e Totore, invece, oltre ad essere un cartone si pone come non tanto celato obiettivo quello sì di sconfiggere la camorra (obiettivo scontato, se si decide di fare un qualcosa contro la criminalità organizzata,...) ma di sconfiggerla prima nella testa della gente, nella loro paura verso il boss di turno (“nun me faje paura”, non mi fai paura, è il ritornello della sigla di chiusura del film che è stato realizzato dalla strip). Perché per quanto si possano fare proclami, per quanto si possano creare leggi anti-mafia, finché le persone avranno ancora paura di denunciare chi va nei loro negozi a chiedere il pizzo, finché, passando di fianco al boss abbasseranno lo sguardo, la criminalità (che si chiami camorra, mafia, 'ndrangheta, sacra corona unita o come volete voi) continuerà ad essere in vantaggio in questa dura battaglia che è la battaglia per la legalità e per un paese migliore.

Ed è forse proprio perché tramite la rete può passare un simile messaggio di “ribellione” al sistema che politici e grandi potentati ci hanno creato intorno, che Confalonieri ed il suo padrone vogliono a tutti i costi zittire la rete, così, come hanno fatto in Iran, in Cina. E poi dice che a Berlusconi i comunisti fanno schifo...

La mafia non è affatto invincinbile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. [Giovanni Falcone]