Non si può parlare di bocciatura netta, senza appello. Ma poco ci manca. Nell'ultimo rapporto sulla libertà di stampa nel mondo, edito da una organizzazione libera americana il cui nome, qui in Italia, suona quasi come una beffa, il nostro paese si classifica 73° - a pari merito con Tonga – su un totale di 195 (ultimo paese la Corea del Nord, considerata ovviamente “non libera”).
La Freedom House – questo il nome dell'organizzazione che dal 1980 svolge questo studio annuale - affida la valutazione ad «un processo di analisi e valutazione condotto da un team di esperti e studiosi locali […] che ha coinvolto diverse decine di analisti, fra cui i membri del core team di ricerca con sede a New York». Valutazione che si crea tenendo conto di tre scenari principali:
- scenario giuridico:è l’esame di leggi e regolamenti «che influenzano il contenuto dei media e del governo nonché l’inclinazione a utilizzare queste leggi e le istituzioni giuridiche per fermare la libertà d’azione dei media».
- scenario politico:cioè il livello di controllo politico sui media, in particolare inerentemente al grado di indipendenza dell'editoria – sia pubblica che privata – l'accesso alle fonti di informazione la vitalità dei media e la diversità delle notizie disponibili all’interno di ciascun Paese; la capacità della stampa di coprire le notizie liberamente e senza pressioni o intimidazione da parte dello Stato o di altri attori»
- scenario economico: trasparenza, distribuzione delle risorse pubblicitarie e grado di corruzione.
Ora, leggendo questi tre parametri si potrebbe anche sostenere che in qualche modo ci abbiano voluto bene, visto il livello dell'informazione cui siamo soliti. Giornali i cui titoli sono praticamente identici, notizie date in maniera erronea o non date affatto sono solo due dei punti cui il lettore-medio va incontro quotidianamente. Stendiamo poi un velo pietoso per quanto riguarda la redistribuzione della proprietà editoriale e della pubblicità, tutta in mano a Berlusconi. La ricercatrice della FH Karin Karlekar spiega che la retrocessione è dovuta anche al secondo mandato di Berlusconi premier: «Il suo ritorno nel 2008 ha risvegliato i timori sulle concentrazioni di mezzi di comunicazione pubblici e privati sotto una sola guida». Aggravano poi la situazione la c.d. “legge Gasparri”, detta anche legge n. 112 del 3 maggio 2004 - "Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI - Radiotelevisione italiana S.p.A., nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione"; l'aver innalzato l'IVA a Sky e quella perla degna della dittatura argentina che risponde al nome di ddl Alfano che prevede il carcere per i giornalisti "ficcanaso". Certo, non che il nostro paese abbia mai rischiato di entrare nel “giro che conta” (dove, ai primi posti, nell'ordine: Islanda (1°), Finlandia e Norvegia, rispettivamente seconda e terza) visto che al massimo – sotto i due governi Prodi – siamo riusciti ad arrivare alla postazione numero 65, ma vederci sorpassare da paesi come Barbados, Micronesia e Cile – con tutto il rispetto – non è che sia poi una cosa così piacevole. Non trovate?
Cosa si può fare per una cosa del genere? Beh, innanzitutto svegliarsi e prendere coscienza che una cosa del genere è da considerarsi un vero problema, e non pensare – come siamo soliti fare – che c'è di peggio. E poi iniziare a fare una cosa molto molto semplice: informarsi. Eh, che cosa rivoluzionaria eh?! Però riflettiamoci un attimo. Anche qui, discorsi mai sentiti prima: nel nostro paese, come si suol dire, ci sono più scrittori che lettori. E non è una mera battuta. Ed i giornali più venduti sono spesso quelli sportivi. Il 25% degli studenti che escono dalla scuola media inferiore è da considerarsi praticamente analfabeta; alla laurea approda il 45% degli iscritti (la media Ocse è del 69%, nell'immagine di fianco sintesi dei dati storici relativi all'Italia nei Rapporti Freedom House). Sono cifre che non mutano granché di anno in anno. Perché questo? Perché i giovani sono cresciuti a pane&tv, e molto spesso il tubo catodico ne ha surrogato l'autorità genitoriale. Quindi il modello sociale che i giovani hanno in testa è quello espresso dalla televisione, un modello che non premia certo il cervello e la cultura. Questo porta – non sono certo io a fare cotanta scoperta – ad avere un paese di ignoranti. Termine inteso non tanto come offesa, ma proprio nel significato letterale del termine. Noi giovani – io mi ci metto dentro in quanto 22enne, pur ritenendomi con forse una punta di presunzione, un giovane mediamente informato – stiamo crescendo senza quel che potremmo definire “dovere di critica”, senza cioè quella conoscenza necessaria a passare dalla fase dell'infanzia all'età veramente adulta, cioè all'età del pensiero critico ed indipendente. E se pensiamo che in quelle percentuali sopra citate sono racchiuse le prossime leve del comando in Italia beh, io francamente inizio a preoccuparmi. Voi no?
Per chi fosse curioso, in questo pdf trovate la classifica completa della libertà di stampa nel mondo.