A.A.A. sfruttato cercansi


Questa immagine rappresenta l'esercito di terracotta, ed i suoi 8.000 guerrieri stanno a simboleggiare l'armata che unificò la Cina.
A me però queste sterminate colonne di uomini – seppur di terracotta – fanno venire in mente un'altra cosa. Ben più attuale. I call center!

Ce li avete presenti no? Quegli immateriali luoghi della mitologia contemporanea ai quali si chiama quando si ha qualche problema e dove chi ti risponde ovviamente non sa risolverti il problema. Ma non è colpa sua, è che spesso sta lì perché si deve pagare gli studi universitari o perché è l'unico lavoro che è riuscito a trovare – a 50 anni – dopo che la ditta nella quale lavorava prima ha delocalizzato tutto in Romania o in Cambogia.
Che poi, “lavoro” è un parolone.
85 centesimi – lordi - ogni 2 minuti e 40 secondi di telefonata, che è poi il tempo effettivo in cui ti pagano, perché dopo i 2 minuti e 40 lavori gratis (ecco perché dopo un pò inizia a cadere la linea...); turni dalle 16,30 alle 21,30 ma flessibili al 100% perché gli operatori call-center sono inquadrati come “liberi professionisti”, e come tali non hanno diritto a ferie, malattia e tutte quelle cose che differenziano il “lavoro” dalla schiavitù. L’unico elemento di retribuzione è il contatto utile, cioè ogni telefonata – effettuata o ricevuta, non fa differenza - chiusa positivamente. La definizione dell’utilità del contatto è decisa dall’azienda sulla base della durata della chiamata o delle risposte ricevute dal cliente. E questo non succede nel “profondo sud” del mondo. No no, succede – tra le altre - a Cinecittà 2, Roma, “civiltà” italica.
Questa è la situazione che da ormai 15 anni capita agli operatori di Atesia, call center più grande d'Italia (e tra i primi 10 in Europa), ma che può tranquillamente essere generalizzato a tutti i call center.
Entrare in quella che è una vera e propria “giungla” - quella dei call center, appunto – vuol dire diventare esperti di co.co.co., co.co.pro, contratti di inserimento e compagnia bella. E' questo, infatti, il mondo che si apre al primo giorno di sfruttamen...pardon, di lavoro, in questi luoghi. Non ci credete? Beh, chiedetelo ai 5.000 operatori di Atesia, letteralmente sfruttati dal sig. Tripi Alberto, presidente della stessa per conto di molte grandi ditte di questo paese (fino a poco tempo fa c'era anche la Telecom, che deteneva il 100% della proprietà di Atesia).
Una volta un uomo si sentiva realizzato quando aveva il “posto fisso”. Perché su quella sicurezza – stipendio garantito ogni mese eccetera eccetera – poteva basare la propria vita (accendere un mutuo per comprarsi casa, metter su famiglia...). Immaginatevelo oggi quel lavoratore “da posto fisso”. Impazzirebbe. Fai prima a trovare un politicante serio ed onesto che non un posto fisso. Perché oggi se hai poca istruzione non puoi aspirare a grandi prospettive, ma anche se sei troppo istruito non puoi mica avere troppe pretese. Devi essere "istruito q.b.": quanto basta. Come nelle ricette di cucina. Perché se sei troppo poco istruito quelli che ti fanno il corso di formazione ci mettono troppo tempo a spiegarti come si fa il tuo lavoro, diventi improduttivo, “rallenti” l'azienda e quindi ti licenziano. Se sei troppo istruito invece chiedi e pretendi i tuoi diritti – perché li conosci – e quindi non ti assumono perché gli rompi le palle con l'aumento salariale, la retribuzione della malattia, gli scioperi e tutte queste belle cose qua. Quelle che dovrebbero garantirti quei signori – anche questi ormai rari e mitologici – che si fanno chiamare “rappresentanti sindacali”. Perché oggi nemmeno quelli esistono più (salvo rare eccezioni), troppo presi ad andare a cena nella villa del padrone o a chiedere qualche poltrona in questo o quel ministero. Torniamo all'Atesia. Lì com'è la situazione sindacale? I sindacalisti Atesia hanno cantato vittoria per un accordo che prevede part-time a tempo indeterminato di 4 ore giornaliere, orario flessibile 9-24 su turnazione a discrezione dell'azienda e contratti che non vanno oltre i 4 mesi di durata. Qualcuno si chiederà: ma non erano contratti a tempo indeterminato? Sì, ma nella mente geniale di chi ha firmato e proposto quell'accordo, “indeterminato” vuol dire qualcosa del tipo: “noi decidiamo indeterminatamente come sfruttarti, e guai se ti lamenti...”. Se ti lamenti ti cacciano senza pensarci su più di tanto. Anzi no, non c'è nemmeno bisogno di cacciarti. Basta non rinnovarti il contratto. Com'è successo, nel corso del tempo agli aderenti al Collettivo PrecariAtesia. E se tante volte decidi di rimanere ti fanno firmare un foglio – una liberatoria - in cui dichiari che in quell'azienda tutto va bene e che ti trattano da persona e non da “risorsa umana”. Insomma, tutto quel che non succede nel variegato mondo della precarietà. Che sia essa da call-center, da contrattazione a progetto o da quella parola che a mia mamma fa venire in mente una malattia: l' interinalità.
Quando ci sono i grandi scioperi, quelli degli operai, dei metalmeccanici ti trovi i grandi leader sindacali e politici davanti a un microfono a dire che loro combatteranno per fargli avere delle condizioni di lavoro migliori. Quando invece ti trovi di fronte ai collettivi di precari, di quelli che non sai se il loro è davvero un lavoro o una semplice presa per il culo, non c'è alcun personaggio politico-sindacale che si fa vivo. E se si fa vivo lo fa in campagna elettorale, e senza dare a quelle situazioni troppa importanza. Al massimo ti trovi davanti Ascanio Celestini, di professione attore, per il quale evidentemente anche i precari hanno diritto ai loro diritti. Insomma, fa quel che un politico serio ed onesto farebbe. Forse è per questo che continua a fare l'attore.