Distrazione di fondi dalla cooperazione italo-afghana: Iannelli e Siringo uccisi per averlo scoperto

"Io pretendo che la storia giudiziaria nel mio Paese abbia i "punto" e gli "a capo". E non gli "omissis""
[Marco Paolini]

Stefano Siringo (a sinistra) e Iendi Iannelli (a destra);
foto: neversleep.it

Kabul (Afghanistan) - Milioni della cooperazione italiana scomparsi, due morti ed una verità che non arriva dopo anni di carte e procedimenti giudiziari. No, non è la Somalia del 1994, della “vacanza” di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ma l'Afghanistan degli 81 milioni di euro spesi tra il 2002 ed il 2010 per il “Programma Giustizia”, di Iendi Iannelli e Stefano Siringo che proprio in quel programma – volto alla ricostruzione del sistema giudiziario afghano – erano stati chiamati a lavorare finché non sono stati ritrovati morti, a Kabul, il 16 febbraio 2006.
In entrambi i casi ad uccidere è stata una domanda: che fine hanno fatto i soldi della cooperazione italiana?

Il giudice per le indagini preliminari che si è occupata del caso – Rosalba Liso, la stessa del caso di Stefano Cucchi – ha racchiuso in un “purtroppo” l'impossibilità di arrivare ad una verità giudiziaria sulla morte, scrivendo nel suo decreto di archiviazione di quell'«omicidio volontario del quale, purtroppo, è rimasto ignoto l'autore o gli autori». «Quel che rimane certo», si legge nel documento, «è che la morte dei due giovani merita chiarezza anche in virtù della necessità che la di loro memoria possa rimanere cristallina».

La scena del crimine per la droga sbagliata. Nei corpi di Iendi e Stefano vengono trovate tracce di eroina, talmente pura – all'89% - da far desistere persino un tossicodipendente in forte crisi di astinenza, a maggior ragione due ragazzi che nemmeno ne facevano uso.
I loro fisici, inoltre, portano una ulteriore conferma al fatto che i due siano stati «intossicati» con la droga da una mano esterna: Stefano, 32 anni, era infatti alto 168 centimetri per 66 chilogrammi; Iendi – ex pilone del Torvaianica Rugby – era invece alto 185 centimetri e pesava più del doppio di Stefano. La reazione fisica all'iniezione sarebbe stata diversa, e nessuno dei due avrebbe avuto il tempo materiale per sistemarsi sul letto, come invece sono stati ritrovati nella camera della Guest House dove Iannelli alloggiava.

Fin da quando i due vengono ritrovati, la mattina del 16 febbraio, si capisce che qualcosa non va. La scena del crimine, in qualche modo, si scontra con la personalità dei due ragazzi. Chi li ha conosciuti, come si legge nelle deposizioni rilasciate al pubblico ministero Luca Palamara, ha confermato con forza che nessuno dei due facesse uso di sostanze stupefacenti, nonostante queste siano state ritrovate in quantità notevole in tutta la stanza. “Piste” di eroina vengono infatti ritrovate sul televisore, su uno stipite, su un pacchetto di carta stagnola su un comodino e su un altro pacchetto posto dall'altro lato della stanza. «Solo un tossicodipendente da eroina all'ultimo stadio avrebbe organizzato un droga-party con tutta quella sostanza la sera precedente di un giorno lavorativo mettendosi a rischio di essere facilmente scoperto, ma se così fosse stato Stefano Siringo non poteva avere controllato le sue anomalie comportamentali mentre lavorava o intratteneva rapporti sociali» ha scritto nel suo parere tecnico-scientifico sulle cause della morte di Stefano Siringo il dottor Icro Maremmani, professore di Medicina delle Farmacotossicodipendenze all'università di Pisa. E lo stesso, stando agli elogi che ne vengono fatti, si può dire anche di Iendi Iannelli.
L'eccessiva quantità di eroina presente nella stanza, inoltre, dovrebbe costituire un altro indizio che quella situazione è stata, in qualche modo, costruita prima dell'arrivo di chi ha indagato (e probabilmente precedendo anche l'arrivo dei primi soccorritori). Il dottor Maremmani scrive, inoltre, che «i reperti ambientali dell'uso dell'eroina non sono tipici della modalità di assunzione dell'eroina bensì della cocaina. In altre parole, gli eroinomani in Occidente non usano l'eroina in abbuffate e lasciando la sostanza sparsa nel luogo dell'assunzione». L'ipotesi del dottore è che, dunque, la mano che ha costruito la scena fosse afghana.

La morte per overdose, però, fu solo il secondo tentativo di porre velocemente fine alla vicenda. Nelle ore successive al ritrovamento dei cadaveri si parlò infatti – come fece l'allora ambasciatore italiano a Kabul, Ettore Sequi – di morte per monossido di carbonio prodotto dalla stufa presente nella camera. Piccolo problema: la stufa c'era, ma era elettrica.

Infine, risulta difficile credere che ci si potesse drogare in maniera così evidente in un posto, la Guest House, in cui gli ospiti lavorano per servizi segreti o ambasciate e dove si può entrare solo dopo essersi fatti identificare. Inoltre, sia Iendi che Stefano lavoravano a stretto contatto quotidiano con dei magistrati del calibro di Samuel Gonzalez Ruiz, ex capo dell'unità antimafia in Messico, noto per la sua attività di contrasto ai cartelli messicani e Edgardo Buscaglia, che insieme hanno firmato vari articoli sui narcotrafficanti messicani ed una denuncia di «malagestione, piccoli episodi di corruzione e nepotismi» all'interno dello United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) per il quale entrambi lavoravano prima di essere chiamati a Kabul.
Insomma, l'alto profilo di chi tutti i giorni aveva a che fare con Iendi e Stefano pone una certezza: se i due fossero stati tossicodipendenti – e l'assenza di fori di siringa pone un altra frattura in questa ricostruzione – chi gli stava intorno se ne sarebbe accorto nel giro di poco tempo.

Oltre al pubblico ministero Luca Palamara – che ha da sempre escluso ogni altra ipotesi che non fosse la “morte sopraggiunta in conseguenza di altro reato“ e che non ha dato risposta alle nostre richieste di commento – a parlare apertamente di tossicodipendenza è anche Ivano Iannelli, fratello di Iendi e figlio dell'ex agente dei servizi segreti Gennaro. L'unico ruolo attivo nella vicenda dei familiari di Iendi è stato chiedere l'immediata cremazione del suo corpo. Nessuno di loro è mai stato ascoltato in sede processuale. Sarebbe interessante capirne il perché, così come capire perché un uomo possa infangare volutamente la memoria del fratello appena morto. Un comportamento diametralmente opposto a quello di Barbara, sorella di Stefano che fin da subito si è battuta e continua a battersi con invidiabile tenacia, affinché ogni ombra sul fratello venga cancellata.

A volerle guardare bene le dichiarazioni di Ivano, emerge un fatto curioso: in questa storia Ivano non interpreta solo il ruolo di fratello di una delle vittime ma di possibile protagonista proprio di quella indagine per la quale Iendi e Stefano sono morti.

[2 - Continua domani]

Già pubblicati:
[1 - "Voglio la verità sull'omicidio di Iendi Iannelli e Stefano". Intervista a Barbara Siringo; 6 agosto]