Cupula dos povos: a vida nao se vende, a vida se defende!

foto: asud.net
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Rio de Janeiro (Brasile), 20 giugno 2012 – Ci sarebbe una interferenza con i sistemi elettronici e le frequenze dell'aeroporto Santos Dummond, situato a due chilometri dall'Alterro do Flamengo dove si sta svolgendo il contro-vertice alla base del tentativo – fallito – dell'Anatel (l'Agenzia nazionale delle telecomunicazioni brasiliana) di chiudere Radio Cupula, la radio comunitaria che fa parte degli organi di informazione ufficiali della Cupula dos Povos, l'incontro dei movimenti sociali che si sta tenendo in questi giorni a Rio de Janeiro in contemporanea con “Rio+20”, il vertice delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo che, come raccontano molti commentatori, si rivelerà come il solito bluff di governi e grandi imprese[1].

Per rendere reale questa interferenza c'è però un problema tecnico: Radio Cupula, infatti, trasmette in bassa frequenza, e dunque le motivazioni vanno cercate da altre parti. Forse – come si lascia sfuggire un poliziotto – nel fastidio che la radio darebbe alla rete televisiva Globo, che si sarebbe voluta accaparrare i “diritti esclusivi” dell'evento.
Dare fastidio, comunque, è esattamente l'idea che i movimenti riuniti in questo tipo di eventi – ormai una tradizione dell'antagonismo mondiale, da Seattle in poi – si sono prefissati.


Gli “indigeribili” beni comuni. L'idea dei movimenti presenti in queste giornate è quella di arrivare a produrre un documento comune – che verrà discusso nell'assemblea plenaria di oggi - da presentare poi al vertice ufficiale delle Nazioni Unite di Riocentro, contenente la ricetta per uscire “dal basso” da questa crisi globale plurima (sociale ed ambientale prima ancora che economico-finanziaria).

Documento comune come i beni, per i quali non è più importante definire gli aspetti più prettamente teorici – cosa significa “bene comune” è entrato ormai da anni nel vocabolario di tutti i movimenti – quanto quelli pratici, relativi alla loro gestione quotidiana e nel lungo periodo.

La prima assemblea, tra le oltre mille iniziative che si sono tenute in questi giorni all'”atterraggio dei fenicotteri” (come è stato chiamato il parco affacciato sulla baia di Guanabara e sul Pan di Zucchero), ha visto l'articolaçao dos povoso indigenos do Brasil (detto anche spazio APIB), al centro del quale ci sono stati gli indigeni, che hanno denunciato sia la loro impossibilità di partecipare al vertice di Riocentro che la necessità di creare un fronte comune tra le varie tribù
– processo già avviato e che sembra stia dando già i suoi frutti – per chiedere sia il rispetto dei diritti umani che delle loro usanze. Da questo incontro, hanno detto i capi tribù, dovrà uscire anche la forte denuncia sull'illegittimità del vertice ufficiale, in quanto questo vuole – letteralmente – dettare legge sulle loro terre senza chiedergli il permesso.

Nel pomeriggio di sabato, invece, è stata la volta della “carta della terra”, uno «spartiacque nella storia essendo ormai condiviso da ventisei paesi» secondo Leonardo Boff, filosofo politico e teologo della liberazione tra gli ospiti più attesi dell'evento, che l'ha definita «indigeribile» per il capitalismo (o “finanzcapitalismo”, come è stato rinominato dall'assemblea). La doppia crisi ambientale-alimentare, ha evidenziato l'ex frate francescano, non può più considerarsi localmente riferita ma deve essere intesa ormai come una crisi globale. O glocale, come si sarebbe detto una volta.


Energia per tutt*, tranne le multinazionali. Trattandosi di vertici su ambiente e sviluppo non potevano mancare dibattiti sull'energia e sulle politiche dei governi che intorno ad essa ruotano, tanto che alla Cupula un tendone è dedicato esclusivamente alla questione. Ed è qui che si è svolta l'assemblea “Energia para que e para quem?” (Energia perché e per chi?), che ha posto come assunto di base l'impossibilità di considerare l'energia nucleare come una delle possibili vie d'uscita dalla crisi, sia per il fortissimo impatto ambientale – come la quantità necessaria di acqua, “bene comune” per eccellenza - sia per problemi di natura tempistica: dalla crisi bisogna infatti uscire il prima possibile, e l'energia nucleare vive di tempi medio-lunghi.

In questa sede è venuto fuori anche il problema della costruzione della centrale idroelettrica e della diga di Belo Monte (quest'ultima finanziata con 15 milioni di dollari di denaro pubblico), che secondo il governo brasiliano avrebbe più di un vantaggio, a partire dai costi dell'energia inferiori rispetto al nucleare – risorsa comunque non esclusa dalle autorità governative brasiliane tanto da voler terminare il reattore di ANGRA3[2] – fino ad arrivare all'inevitabile aumento (seppur temporaneo) dei posti di lavoro, relativo “sviluppo” annesso.
Un piccolo passo in funzione ambientale sembra essere stato fatto nell'ambito dell'estrazione del petrolio. Il governo brasiliano – come ha evidenziato Ricardo Bateilo di Greenpeace in un articolo di Clarissa Sant'Ana e Franco Carrassi di Art Lab Occupato e Francesca Stanca dell'associazione Ya Basta! per Globalproject[3] – sta tentando di mantenere il petrolio sottoterra e non si esprimerà sulla questione nucleare fino al 2021, tempo prezioso da sfruttare per i movimenti sia per lavorare sulle energie rinnovabili sia per tentare una maggior presa di coscienza – in Brasile e non solo – sulla pericolosità del nucleare.
Energia che è stata al centro anche della terza giornata, dove a parlare è stato, per bocca di Rogerio Paulo Hohn[4], il Movimento dos Atingidos por Barragens, il movimento delle vittime delle dighe brasiliano la cui sfida è quella di ridefinire una nuova forma di produzione, distribuzione e consumo di energia nella quale le risorse naturali appartengano alla gente e la cui gestione sia pubblica (un po' la teoria dei “commons” di Elinor Ostrom[5])

Durante questa terza giornata si è parlato anche di Italia. Non solo perché questo incontro era stato promosso da RIGAS (Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale) ma anche perché – grazie a Godwin Uyi Ojo della nigeriana Friends of the Heart[6] – è stato portato in assemblea il problema ambientale noto come “Ente Nazionale Idrocarburi” (l'italiana Eni), che dal 1957 estrae il gas nigeriano in una zona nella quale non arriva nemmeno l'elettricità.


Retromarcia anticapitalista. L'Amazzonia è stata uno dei temi al centro del dibattito della quarta giornata, dove è stata denunciata la necessità di un'ampia politica ambientale a difesa della foresta, che viene invece sempre più sfruttata – qualcuno userebbe il termine, forse migliore, di stuprata – dai megaprogetti governativi come quello della diga.

Si è parlato inoltre di educazione, con Shirley Diniz – insegnante che fa parte della Segreteria dello Stato di San Paulo nel settore educativo[7] – che ha spiegato come il sistema educativo brasiliano verta più sull'assistenzialismo che non su un programma «di vera e libera istruzione» tanto che gli stessi materiali di insegnamento vengono sostituiti ad ogni cambio di governo rendendo impossibile qualunque forma di continuità didattica. E sappiamo bene quanto l'educazione – e dunque anche l'erudizione – sia importante nel processo formativo della cittadinanza di una persona.

L'assemblea sull'economia solidale – settore che in Brasile coinvolge circa due milioni di persona – ha chiuso i lavori della quarta giornata, conclusasi parlando di solidarietà “dal basso”, come quella che viene fuori dalle comunità che abitano le favelas o da nuove forme bancarie sperimentate in Brasile e che molto sembrano aver mutuato dall'idea della “Banca dei poveri” ideata e resa famosa qualche anno fa dall'economista bengalese Muhammad Yunus.

Quello che è evidente è che il Brasile, oggi, non vive nel “paradiso-Dilma”, come qualcuno aveva raccontato il governo della Russeff ancor prima del suo insediamento avvenuto poco meno di due anni fa. Il suo busto – con tanto di motosega e distintivo da sceriffo “capitalista” - è stato il segno distintivo della cosiddetta “retromarcia”[8], come è stato chiamato il corteo tenutosi ieri che ha bloccato le strade di Rio per circa due ore e dove forti sono state le contestazioni anche per Sergio Cabral, governatore di Rio accusato di salvare le società private dal fallimento con denaro pubblico (tutto il mondo è paese, d'altronde...). Il corteo si è concluso con il ritorno all'Aterro, dove è risuonato forte lo slogan che, con ogni probabilità, diventerà il refrain di queste giornate: “a vida nao se vende, a vida se defende”. La vita non si vende, la vita si difende.

Note
[1] http://senorbabylon.blogspot.it/2012/06/rio20-e-cupula-dos-povos-in-brasile-si.html;
[2] Greenpeace a Milano protesta contro "banca nucleare" BNL, Greenpeace-gruppo locale di Milano, 23 ottobre 2010;
[3] Cupula dos Povos, seconda giornata: le diverse dimensioni della crisi ambientale di Clarissa Sant'Ana e Franco Carrassi (Art Lab Occupato - Globalproject Parma), Francesca Stanca (Ass. Ya Basta - Globalproject), globalproject.info, 17 giugno 2012;
[4] Rio+20. intervista a Rogerio Paulo Hohn, MAB, canale globaltvproject;
[5] Né mercato né stato ma commons di Enrico Grazzini, Il Manifesto, 16 giugno 2012;
[6] Rio+20. intervista a Godvin Uyi Ojo, Friends of the Earth Nigeria, canale globaltvproject;
[7] Rio+20. Intervista a Shirley Diniz, Segreteria dello Stato di San Paulo, settore educazione, canale globaltvproject;
[8] Rio+20.cupola dos povos.marcia a re' manifestazion, canale globaltvproject