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«Sono combattuto fra l'attesa di andare a Roma dove mi aspettano non solo un incarico importante allo Sco (il Sistema Centrale Operativo della Polizia di Stato, ndr) ma anche gli affetti familiari, e il dispiacere di lasciare il gruppo di lavoro che mi ha affiancato in questi anni». Ha voluto commentare così il suo trasferimento Renato Cortese. Pignatone, invece, ci ha tenuto a sottolineare che, finché la sua nomina non sarà effettiva continuerà a lavorare per Reggio Calabria. Dopo il voto unanime ricevuto dalla Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura – un evento molto raro e che dunque dà l'idea di come negli anni il procuratore abbia saputo svolgere al meglio i compiti di volta in volta assegnatigli – mancano ora il parere consultivo del Guardasigilli, Paola Severino, e la ratifica del Consiglio superiore. Pura formalità, salvo imprevisti dell'ultima ora.
Il motivo del loro trasferimento è chiaro: cercare di replicare il lavoro fatto contro la 'ndrangheta calabrese in questi ultimi quattro anni, quando tutte le 'ndrine della città sono finite nel mirino del duo, che ha messo a segno molti colpi importanti non solo nell'ambito delle indagini sull'ala militare ma anche sul versante dei rapporti tra le 'ndrine, la politica e l'economia più o meno legale, tra i quali il “re dei videopoker”, Gioacchino Campolo o l'arresto dell'ex assessore del Comune reggino, Giuseppe Plutino, operazione che ha di fatto dato il via all'iter per la richiesta dell'invio dei commissari[1] e, successivamente, per lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria, che potrebbe diventare il primo capoluogo ad essere colpito da tale provvedimento.
Il procuratore, soprattutto, è stato “attenzionato” dai clan, che gli hanno fatto rinvenire un bazooka vicino al Palazzo di giustizia (il 5 ottobre 2010) e più di un ordigno esplosivo nei pressi dello stesso edificio.
Il loro trasferimento, comunque, non significa certo che il lavoro a Reggio sia finito. Tutt'altro. «Non c'è una sola fetta sociale vergine e i rischi di contagio sono costanti» - aveva detto proprio il procuratore all'apertura dell'anno giudiziario - «Ciò è essenzialmente dovuto al crescente ruolo degli enti locali, agli appalti, alle assunzioni, alla fornitura dei servizi, nel quadro del controllo del territorio che le cosche perseguono. Interfacciarsi con i politici, per la 'ndrangheta, significa governare la clientela che aumenta il suo potere e il suo “riconoscimento sociale”».
È questa l'eredità (pesante) che Pignatone lascia al suo successore calabrese, sperando che possa solo migliorare. Sono in molti, peraltro, a vedere nella nomina anche un aspetto del lungo periodo: la successione del procuratore a Piero Grasso alla Procura nazionale antimafia. Ma questo avverrà solo nel 2013.
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