Palermo, chiusi i "ristoranti di mafia" mentre tornano gli scappati

Palermo – Quattro provvedimenti interdittivi, tre licenze per giochi e scommesse sportive revocate ed una richiesta di licenza rigettata per carenza di requisiti soggettivi. È questo il risultato dei blitz della Polizia avvenuti due notti fa in alcuni locali in odor di mafia. I provvedimenti sono stati notificati al titolare del bar “Franco Testaverde” di via Castelforte ed ai titolari dei ristoranti “Alla corte dei Normanni” di via Catullo e “Villa Pensabene” di via Patti, nel quartiere Zen. Notifiche inoltre per un distributore di giochi elettronici di via Mariano Smeriglio, al titolare di una sala giochi di via Tommaso Natale, al quale è stata inoltre revocata la licenza per l'istallazione di apparecchi terminali per le comunicazioni anche telematiche.

Segnalate inoltre altre sette persone per “intrattenimenti danzanti abusivi” nei locali “Primo” di via Cavour, “Le Terrazze di Cavour” di via Giovanni Lucifera, del “Cotton Club” - dove è stata segnalata una persona per aver falsamente attestato il corretto montaggio del palco per uno spettacolo organizzato dal Comune a Capodanno – ed il titolare di una sala giochi in via Sacco e Vanzetti per somministrazione abusiva di alimenti e bevande. Sequestrato infine un videogioco fuorilegge.

I ristoranti, nei quali gli accertamenti sono stati eseguiti nell'ambito dell'operazione “Araba fenice” con la quale sembra sia stato interrotto il tentativo di riorganizzare la Cupola, sarebbero stati nei mesi scorsi location per veri e propri summit mafiosi, come quello avvenuto – sotto stretta sorveglianza dei carabinieri – il 7 febbraio dello scorso anno al “Villa Pensabene” quando le telecamere ripresero tra gli altri Giulio Caporrimo, reggente del mandamento di Tommaso Natale, Giovanni Bosco, capomandamento di Boccadifalco-Passo di Rigano, arrivato con Alfonso Gambino, Ignazio Mannino e Matteo Inzerillo – la “dirigenza” del mandamento – insieme a Giuseppe Calascibetta del mandamento di Santa Maria di Gesù ed il gruppo di Brancaccio, composto da Giuseppe Arduino, Cesare Lupo e Antonino Sacco.
Inzerillo, Gambino, cognomi che riportano alla memoria l'epopea di sangue di Totò “'u curtu” Riina e che sanciscono, ufficialmente, il ritorno degli “scappati”[1], tornati – senza troppo clamore – una volta chiusa (o quasi) l'epopea dei corleonesi. Era dal 1981, l'anno in cui scelsero l'esilio oltreoceano, che gli appartenenti alla vecchia mafia non era permessa la partecipazione ai summit. Dopo trent'anni quegli stessi cognomi tornano da padrini nella nuova Cupola palermitana.

Proprio il riassetto degli equilibri di potere all'interno di Cosa Nostra sembra essere la lettura più accreditata dell'omicidio Calascibetta – condannato a dieci anni per la strage di via D'Amelio - avvenuto a settembre proprio nel suo feudo[2]. Dopo il summit di febbraio, peraltro, Calascibetta sembrò ricollocarsi in posizione più defilata nello scacchiere criminale cittadino. Che fosse quello – oltre alla definizione degli interessi economici, tra cui il maxi-centro commerciale di proprietà del presidente del Palermo Zamparini – il motivo del summit?

Note
[1] Seconda guerra di mafia, Wikipedia;
[2] L’omicidio del boss Calascibetta, “Segnale allarmante, era un capo”, palermotoday.it, 20 settembre 2011