«Giustizia è fatta!» si grida da più parti. Ma si può davvero parlare di “giustizia”? Si può parlare di “giustizia” quando il risarcimento per la tortura è un seppur alto (circa 10 milioni di euro solo il risarcimento che i ministeri dell'Interno, di Giustizia e della Difesa) compenso in denaro? Quanto “costa” una tortura? Quanto costa, ad esempio, la violenza fisica e psicologica perpetrata dall'assistente capo Massimo Pigozzi (condannato comunque a 3 anni e 2 mesi) ai danni di Giuseppe Azzolina, al quale divaricandogli le dita spaccò una mano, poi suturata senza anestesia? Quanto costano ore ed ore di panico per le ragazze, minacciate di essere ripetutamente violentate? Per la legge dello Stato, quello stesso Stato che in quei giorni dette carta bianca alle forze del cosiddetto ordine di fare quel che gli pareva, questo è quel che – ad oggi – può essere considerato un “costo accettabile”.
Sì, perché nel frattempo, nei nove anni intercorsi tra i “fatti” di Genova e la sentenza, tutti o quasi i reati sono caduti in prescrizione. Valgono davvero poche decine di milioni di euro le vite distrutte di ragazzi – no-global, anarchici, pacifisti e chi più ne ha più ne metta – che in quei giorni, a Genova, chiedevano un altro mondo possibile? È vero, sette dei quarantaquattro finiranno in carcere, ma si può davvero mettere la parola fine su quella che sicuramente rimarrà la pagina più nera della storia recente della nostra Repubblica?
No, non si può.
Non si può per tanti motivi.
D'accordo: la sentenza riguarda solo quel che successe a Bolzaneto, ma non si può dire “giustizia è fatta” perché ancora oggi, a distanza di nove anni, i fantasmi di Bolzaneto, della Diaz, delle botte in strada, dell'assalto alle tute bianche viaggiano ancora di pari passo con chi, a terra, si ritrovata sei, sette, otto uomini che “difendevano l'ordine” manganellandogli la testa. Non si può per quell'imputato che ha avuto il coraggio di urlare, a margine della sentenza, che «Avete voluto condannare tutti e basta, senza fare distinzioni». Mi verrebbe da chiedergli perché i giudici dello Stato avrebbero dovuto “fare distinzioni”, quando loro – dal primo all'ultimo, nessuno escluso – a Genova picchiavano donne e uomini, ragazze e ragazzi così: “senza distinzioni”. E poi non è vero che sono stati condannati “tutti”. Perché come al solito, sono condannati i burattini, i “pesci piccoli”. I burattinai, ad esempio i ministri che si trovavano in loco senza averne l'autorità. Perché possono anche essersi ripuliti l'immagine e spacciarsi da “uomini della Repubblica”, ma nella sala operativa della Questura genovese c'erano, nessuno sa ancora il perché.
E poi non si può accettare questa “giustizia” per lui: per Carlo Giuliani. D'accordo che questo non è il “suo” processo, ma quando in futuro morirà qualche “servitore” dello Stato provateci a buttare qualche banconota sulla sua bara al posto di quelle bandierine che mettete sopra la bara per attribuirgli ipocritamente l'effigie di «eroe». Provate ad andare dai suoi familiari a dire che «beh, se se ne stava a casa non succedeva» come tante volte hanno detto ai genitori di Carlo. Provateci, davvero. Poi guardatevi allo specchio e sputatevi in faccia. Perché anche una vita umana, per voi, ha un “corrispettivo in denaro”. Ed è questa, forse, la vera ingiustizia.
Ma d'altronde siamo in Italia, il paese in cui quando tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole.
Il messaggio dei giudici d’appello, con le 44 condanne per i maltrattamenti e le torture su decine di cittadini detenuti nella caserma-carcere di Bolzaneto nel luglio 2001, è chiarissimo e dev’essere colto immediatamente dalle istituzioni. Tutti i condannati nelle forze dell’ordine devono essere immediatamente sospesi dagli incarichi, in modo che non abbiano contatti diretti con i cittadini; gli Ordini professionali devono agire sui propri iscritti con la sospensione: non è più possibile restare nel terreno dell’ambiguità. Se la Costituzione è una cosa seria, se la tutela dei diritti umani e civili è davvero una priorità, lo Stato deve inviare ai cittadini e ai lavoratori delle forze di polizia un messaggio nitido: l’Italia ripudia i comportamenti che hanno condotto alle condanne di oggi e lo deve dimostrare con atti concreti. Se buona parte delle pene è caduta in prescrizione è solo perché l'Italia non ha una legge sulla tortura (reato che per la sua gravità non prevede prescrizione), nonostante l’Italia si sia impegnata oltre vent’anni fa ad approvarne una. Il parlamento ora non ha più scuse: la sentenza di oggi dimostra che abbiamo assoluto bisogno di quella legge.
Comitato Verità e Giustizia per Genova,
Genova 5 marzo 2010
Documenti:
- Il disordine delle forze dell'Ordine alla scuola Diaz [http://www.veritagiustizia.it/docs/diaz_pett.pdf]
- Il disordine delle forze dell'Ordine alla caserma Bolzaneto [http://www.veritagiustizia.it/docs/bolzaneto_pett.pdf]