L'educazione di un artista


La droga fa male. Siamo nel 2010, terzo millennio inoltrato già da un po', e c'è ancora qualcuno che ad ogni “micro-scandalo” deve ribadire un concetto tanto ovvio.
L'ultimo “scandalo” si chiama Marco Castoldi, in arte Morgan, ex cantante dei Bluvertigo e giudice nel programma musicale X-Factor, il quale ha ammesso di aver fatto uso di sostanze stupefacenti in una recentissima intervista al mensile Max riguardo alla sua ormai ex partecipazione all'edizione di quest'anno del Festival di Sanremo. Ora: se nell'immediata vigilia della kermesse intervisti un personaggio come Morgan, cioè un personaggio che fa dell'essere sopra le righe una prerogativa della “maschera” pubblica, a volerla leggere malignamente è abbastanza evidente che si ricerca quel pizzico di pepe utile per far parlare di un festival divenuto ormai il reparto geriatrico della musica italiana (e per questo lontano – fatte salve alcune eccezioni – dalla cultura musicale dei giovani). L'anno scorso fu la volta di Povia, contro il quale si scagliarono – giustamente – gli organi di informazione per la sua “canzone” in cui affermava, in maniera anacronistica, che l'omosessualità sia una forma di malattia; quest'anno, non potendo tornare di nuovo sul cantante dei bambini “che facevano oh” - presente con una canzone sulla vicenda di Eluana Englaro – quei mezzi di pseudo-informazione in cui tutto passa come in un tritacarne, si sono buttati su Morgan.
Per quale motivo, però, onestamente faccio fatica a capirlo. Ha confermato di aver fatto uso di droga. E allora? Dov'è lo scandalo?

Morgan non è sicuramente né il primo né l'ultimo a fare uso di sostanze psicoalteranti, lo fanno abitualmente manager, top-model ed artisti in genere senza che nessuno muova un dito. Ci si scandalizza solo quando uno di questi personaggi esce dal coro e dice: «Ehy, io mi drogo!». Perché in questa società che mira alla perfezione di facciata puoi fare tutto quel che vuoi, anche – e soprattutto – ciò che è illecito, a patto che tu non ti metta in vetrina, perché in quel caso diventi la pecora nera, il cattivo maestro di cui se ne poteva fare a meno per citare la Ministra della Gioventù Giorgia Meloni, finalmente svegliata dalla catalessi in cui ha riposato sinora.

Perché in questo paese del perbenismo ad intermittenza se non fai la dichiarazione “anti-droga” rischi che ti mettano ai margini del sistema, e questo non è bello, in particolare se la tua carriera si basa sulla visibilità all'interno di quello stesso sistema. Attenzione, però: non sto facendo qui un “libera tutti”, nel senso che siccome lo fanno tutti è giusto che nessuno paghi, anzi.
Prendiamo però un altro caso “eclatante” e scandaloso: Kate Moss, le cui foto che la ritraevano nell'atto di assumere droga fecero il giro del mondo. «Scandalo!» si urlò a destra. «È vergognoso!» si ribatté a sinistra. Poi i riflettori su di lei si spensero ed oggi è una delle modelle più ricercate. E qui mi chiedo: considerando che anche lei non è certo stata un modello “educativo” per i giovani, perché è stata riabilitata? E non sono stati i giovani – quelli cui cui più avrebbero influenza personaggi come questi – a riportarla tra le stelle, bensì quello stesso sistema (in questo caso della moda) che, per accettarla e farla diventare da semplice ragazza britannica a “Kate Moss”, cioè una delle principali modelle a livello planetario, le ha “intimato” gli sbagli che ha fatto.
Un mito da sfatare è poi quello dell'artista rappresentato sempre come l'eroe positivo. Anche qui, di nuovo, la solita domanda: perché? Perché un artista non può permettersi di essere quel che è prima di indossare la maschera pubblica, cioè un essere umano e quindi, per definizione, animale sociale dedito all'errore?
E si dice che l'artista deve "educare", deve avere una funzione pedagogica, come fosse clausola inderogabilmente contenuta nei contratti che firma.
Non ci sono già la famiglia e la scuola (non sempre – o quasi mai – in quest'ordine) a ricoprire il ruolo di educatori verso i giovani?
Già, la famiglia: quella stessa istituzione in cui sempre più spesso i primi a ricoprire ruoli negativi sono proprio i genitori, cioè le prime figure investite della funzione pedagogica e che oggi, invece, sono spesso troppo presi dall'affermazione del proprio Io, della propria posizione nel mondo, incuranti di quel che sta loro intorno, in particolare di quei giovani che sono chiamati – o quantomeno sarebbero chiamati – a guidare almeno lungo il primo tratto di quell'incongruente percorso che è la vita.

Poi c'è la scuola. E qui si apre un capitolo a parte, che probabilmente meriterebbe trattazione esclusiva. Si è sempre detto che il principale compito dell'istituzione scolastica non sia tanto quello di insegnare una manciata di nozioni di matematica, storia o italiano a ragazzi che le dimenticheranno ben presto in quanto non viene loro insegnato come studiare (o quantomeno come farlo in maniera critica, cioè come si dovrebbe), proprio perché oggi la scuola ha perso quella preponderante peculiarità di formazione dell'individualità del singolo (studente), ucciso sull'altare della concezione “mercatista” che vuole l'istituto scolastico fucina di giovani braccia senza pretese. Io in questo senso mi ritengo un privilegiato, in quanto ho avuto la possibilità di avere docenti che hanno saputo solleticare la mia curiosità (presentandomi personaggi come Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De André, dei quali mi sono innamorato successivamente – probabilmente perché a quel tempo non avevo la maturità “intellettuale” necessaria per comprenderli – ma che senza l'ausilio dei prof magari continuerei ad ignorare). Ma quel che mi chiedo anche e soprattutto alla luce della mia esperienza personale: oggi i docenti sono ancora capaci di assolvere la loro funzione educativa, oppure sono stati addestrati – in questo sia dalle politiche di destra che di sinistra – a creare quei “polli di allevamento” di cui sono piene le scuole oggi?

Ho gioco facile, qui, portando proprio ad esempio l'affaire Morgan: considerando che, in media, oggi sono più i giovani che sanno chi è Morgan di quelli che conoscono Socrate o i poemi omerici (per non parlare della Storia d'Italia, quella è ignota ai più) non sarebbe più stimolante, per un giovane, assistere ad una lezione sulla droga (ovviamente con l'ausilio di personale adeguatamente preparato), piuttosto che la “solita” lezione sui sistemi in matematica? Io credo di sì, anche perché in materie come questa, i giovani sono tutt'altro che gli angioletti sprovveduti e – per questo – traviabili dall'artista maledetto di turno.
Ma qui sorgerebbe probabilmente un altro problema: il perbenismo di facciata della nostra società saprebbe accettare lezioni tanto “sovversive” o si trincererebbe dietro al rispetto di programmi di insegnamento usati già ai tempi della Riforma luterana?