Grozny(Cecenia) – Brutto, bruttissimo affare la Russia, se di professione fai il giornalista. In particolare se fai quel tipo di giornalismo di denuncia della corruzione, dei traffici illegali e di tante altre zozzerie che nell'est europeo è ancora un modo di fare molto diffuso. L'Inguscezia, con questo nome particolare – ed anche un po' buffo ad esser sinceri – e la Cecenia sono zone le cui vicende difficilmente riusciamo a leggere sui nostri giornali. A meno che...
A meno che non uccidono l'ennesimo giornalista, com'è successo il 7 ottobre 2006 con Anna, il 19 gennaio di quest'anno con Anastasia – considerata l'erede di Anna - e ieri, con Natalia Estemirova. Nomi che qui in Occidente, in quel mondo che si dice esportatore di pace e valori, in pochi conoscono. Il perché, detto francamente, non l'ho mai capito. O forse l'ho capito fin troppo bene.
Io ho sempre ammirato i giornalisti russi, fin da quando – agli ormai lontani anni delle prime classi superiori – il mio professore di italiano (che non ringrazierò mai abbastanza...) mi fece innamorare delle parole e delle storie che si potevano raccontare. Ammiro i giornalisti russi, o comunque quei giornalisti che si occupano di Cecenia e tutto quel macro-cosmo corrotto e delinquenziale che intorno alle autonome repubbliche russe gravita. Perché li ho sempre visti come se avessero una marcia in più. Perché per fare quel tipo di giornalismo che io adoro, in Cecenia, ed in Inguscezia, devi avere le palle. E scusate il francesismo.
Natalia – che nel 2007 il Front Line Club di Londra aveva insignito della prima edizione del premio Anna Politkovskaja - in questi giorni aveva denunciato la fucilazione pubblica di un uomo sospettato di collaborare con i guerriglieri, il 7 luglio nel villaggio di Akhinciu' Borzoi, a 20 km da Gudermes, il feudo del presidente ceceno Ramzan Kadyrov, che ieri è stato esplicitamente accusato dalla Ong Memorial, per la quale lavorava da tempo Natalia. E proprio Kadyrov – per la serie “oltre il danno la beffa” - aveva pronunciato testuali parole: “Coloro che hanno alzato la mano su di lei non hanno il diritto di essere chiamati uomini e non meritano alcuna pietà. L'ergastolo è una pena insufficiente per gli assassini di Estemirova che devono essere giudicati come esseri disumani che hanno attaccato non soltanto una donna senza difesa, ma anche tutto il nostro popolo”. E qui lascio ogni commento all'intelligenza del lettore.
La sfortuna – se così la si può definire – di fare il giornalista nei territori ex-sovietici è che per tutto quel che neanche viene letto nel resto del mondo rischi di rimanere ucciso. Ed è proprio il caso dell'esecuzione (due colpi alla testa, modus operandi classico della criminalità...) di Natalia, tra le prime a denunciare, attraverso i suoi reportage, le violazioni dei diritti umani commesse in Cecenia a partire dal conflitto tra indipendentisti ed esercito russo all’indomani della caduta dell’Unione Sovietica.
"L'Occidente non può e non deve voltare le spalle al popolo ceceno. La Cecenia è parte dell'Europa, non potete dimenticarci".
Aveva detto la stessa Natalia al momento del conferimento del premio “Anna Politkovskaja”. Già, non possiamo permetterci il lusso di dimenticarci della Cecenia. Ma si sa che l'Europa “buona”, quella stessa Europa pronta a mettersi sulle tracce di un terrorista creato negli anni '80 dagli Stati Uniti, i panni sporchi che ha in casa tende a dimenticarli presto. Molto presto...