Piccoli Impastato crescono...


di Davide Pecorelli per NarcoMafie

La famiglia, l’onore, l’osservanza dei dogmi religiosi. La mafia vive anche grazie all'immagine che è riuscita a costruirsi attorno. Fa leva su questo elemento per far proseliti. Valori piegati ai propri interessi, dunque vissuti in modo distorto. Eppure la malavita è riuscita a ritagliarsi, oltre a fette considerevoli dell’economia legale e non, un posto d’onore tra i falsi miti del malcostume italiano. Timore reverenziale e sacralità vengono smontati da Giulio Cavalli punto per punto con picconate di ironia pungente e raffinata. Cavalli è autore e attore teatrale, nonché mente e voce narrante di Radio Mafiopoli, trasmissione radio-fonica diffusa via web. La satira è la sua arma. Uno sgarro mai digerito dalla malavita e pagato in prima persona dall’attore: minacce, intimidazioni e il peso di vivere sotto protezione. Il metodo stupisce per la semplicità con cui raggiunge l’ascoltatore-spettatore e per la capacità di raccontare i fatti, sempre ben documentati. Si parte dal dato, giudiziario o di costume, e lo si smitizza riconducendolo a un fenomeno umano. Portando in scena lo spettacolo “Do ut des”, prodotto dai comuni di Gela e Lodi, l’attore racconta la storia di Totò Nessuno, giovane non troppo sveglio alle prese con la ricerca di un lavoro. Totò vive a Mafiopoli e trova impiego nel campo “delle 5 lettere”, settore in cui poi farà carriera. La storia fantasiosa del protagonista si intreccia con la realtà che, a volte, risulta più assurda della finzione stessa. Due scenari opposti, palco e web, utilizzati da Cavalli per narrare la mafia in chiave fiabesca. Ma non sono favole prive di fondamenta. È solamente la cronaca della Repubblica di Mafiopoli. Eppure suona come una vera e propria novità.
Come sei nato artisticamente e quando hai focalizzato la tua attenzione su progetti antimafia?
Ho studiato teatro e ho avuto la fortuna di incrociare persone che mi hanno insegnato e dato tanto. Non ho mai scelto di fare antimafia, tutt’oggi non ho preso questa decisione. Ho invece deciso di credere nel valore della legalità come unica via percorribile per un sano e reale sviluppo economico-culturale del nostro paese. La mafia ne sta bloccando la crescita perché radicata, avvolgente, credibile politicamente. Opera un racket culturale ed è giusto che noi operatori culturali rispondiamo. Qualcun altro ha poi chiamato tutto questo mio essere e questo mio lavoro antimafia.
L’antimafia a volte viene strumentalizzata rischiando di assumere la forma dell’istituzione. Altro rischio della lotta alla mafia è quello di riempirsi di retorica. Credi che l'utilizzo dell’ironia possa aiutare ad aggirare questo ostacolo?
Non prendersi sul serio significa spolverare quella coltre, molto spesso costituita da fumo, che sta sopra i contenuti. Per farlo è necessario scoprirsi, rischiare moltissimo. Il problema è che esiste un’antimafia strumentalizzata dalla politica, quella utilizzata come un mercato delle indulgenze e quella che è diventata un marchio di mercato. Ma tutte queste dinamiche negative non sono proprie dell’antimafia. Evidentemente esistono delle pessime persone che hanno bisogno di utilizzarla. Non vedo quindi il movimento quello sano, quello pulito, quello reale colpevole di questa deriva verso la retorica. Infatti ho ricevuto un appoggio umano enorme da alcuni movimenti antimafia. Io vedo il movimento di contrasto alla malavita come un gruppo di persone che stanno insieme perché accomunate da valori e non certo perché si riconoscono per un logo su una maglietta, una tessera o per un tipo di pasta. L’istituzionalità, molto spesso, non è nient’altro che il cristallizzarsi di diritti acquisiti. Qualsiasi associazione, quando assume proporzioni importanti, ha bisogno di preservare sé stessa, togliendo di conseguenza energia alla lotta.
Cos’è Mafiopoli, quali sono i pilastri che la tengono in vita e quali caratteristiche hanno i mafiopolitani?
Mafiopoli è la città dove tutto è rovesciato e tutto è possibile. Una “città” silenziosa, diversa da quella degli anni Novanta, dove le “armi” costano meno e fanno meno rumore. La Costituzione ne impedisce l'utilizzo, ma i mafiopolitani sono proprio tutti coloro che riescono a utilizzarle aprendo una breccia nella democrazia. Possono così diventare degli eroi e come tali vivono di consenso e, a Mafiopoli, il consenso diventa un’incoronazione.
Come è nata l'idea di dar vita a Radio Mafiopoli?
Quando “Do ut des” è diventato portatore di eventi gravissimi, violentissimi che hanno coinvolto la mia persona abbiamo dovuto cercare d’urgenza un sistema per arrivare a tutti. Una rete in Sicilia mi ha appoggiato e ha creduto in me, mentre internet è stato scelto perché è il mezzo più fruibile e accessibile. Radio Mafiopoli ha centrato l’obiettivo che c’eravamo posti in quanto non è altro che quello sbuffo del camino dopo lo spettacolo che, in realtà, contiene molto più dello spettacolo stesso. Naturalmente è nata in onore di Peppino Impastato, dipinto da molti come un comico che ha scontato la sua ironia con la vita. Una falsità: Peppino era un militante e con la comicità ci ha insegnato che non è necessario prenderci sul serio.
Peppino Impastato utilizzava il canale della radio per produrre un’informazione critica e libera. Oggi tu utilizzi internet. Credi sia il web il veicolo adatto per raggiungere un vasto pubblico?

No, credo sia il mezzo per spingere la gente ad avere un contatto diretto. Molto è cambiato, la localizzazione dell'informazione e soprattutto l’intimità della comunicazione sono diventate il vero valore aggiunto. Internet è un ottimo canale per comunicare l’appuntamento privato e intimo di lotta autentica contro la mafia. Non si potrà mai sostituire al nostro lavoro. Il mio è un lavoro fatto di facce, alito, sputacchi addosso alle prime file, puzza di piedi e aspetto tattile. Il mio mondo rimane sempre e comunque il teatro. È proprio questo che fa loro paura. Al contrario, il web spersonalizza ed è per loro molto meno pericoloso. La criminalità organizzata è terrorizzata dal messaggio di Scarpinato che ha l’originalità di ripetere con forza un concetto, per me innovativo e da molti considerato abusato e vecchio, come quello dell'educazione alla legalità nelle scuole. La battaglia per la legalità deve partire dal pensiero di Pippo Fava che non è vecchio e non ha bisogno di essere sostituito. La rottamazione della memoria è una delle più profonde ferite di un’antimafia che vuole prostituirsi al marketing.
Nel tuo spettacolo è evidente il puntuale riferimento a fatti di cronaca. Che rapporto hai con la notizia e l’informazione?
Io sono al servizio dell’informazione. Non potrei fare il lavoro che faccio se non avessi un rapporto simile con la notizia. Mi auguro di non cadere mai nel delirio di onnipotenza che mi convinca di poter essere in grado di creare notizia. Non è il mio lavoro, non lo so fare e sarebbe una castrazione delle mie dinamiche. Il mio lavoro è raccontare la realtà in modo diverso, sul binario teatrale, garantendo l’onestà intellettuale della notizia.
Che cos’ha la satira in più rispetto all'informazione pura e semplice?

Sono due cose complementari, ma la satira non si può sostituire all’informazione. La satira è un modo di fare informazione. Io credo in uno stato democratico libero in cui ci sia un’informazione pluralista e una satira artisticamente e culturalmente valida. Questo tipo di ironia, che pone le basi sull’informazione, procura un prurito insopportabile alla mafia perché la gente ride di pancia, ma questa risata ha il merito di dar vita a un piccolo cambiamento. Il pubblico ride di Matteo Messina Denaro che viene chiamato Matteo Messina Soldino, raccontato mezzo strabico con i Rayban fuori moda. Questa è sì massa, magari non informata, ma è una massa che può favorire il cambiamento. La mafia vive sull’onore e la risata uccide l’onore. Credo in una risata figlia di una informazione intellettualmente onesta. Proprio per questo tutti i miei spettacoli sono scritti con l'ausilio di giornalisti e magistrati.
Qual è il percorso che segui per riuscire a ironizzare sulle dinamiche della mafia?

Raccontandoli senza rispetto, sono ridicoli di loro. Hanno una forma ridicola, hanno una mentalità medioevale, un grado culturale imbarazzante e, soprattutto, hanno intorno delle sovrastrutture che cercano goffamente di rivenderci come miti. Il re è completamente nudo. Ha ragione Scarpinato quando definisce la mafia come un fenomeno osceno, nel senso che è fuori scena, per cui se prendiamo l'osceno e lo mettiamo sul palco, presentando Provenzano per i suoi pizzini, l'oscenità diventa reale. Si riesce in questo modo a presentare al pubblico una vera e propria sagra dell'ignoranza.
Recentemente sei stato oggetto di minacce di chiaro stampo mafioso. Ti aspettavi una reazione di questo genere? Cosa si prova a vivere con l'angoscia di essere un possibile bersaglio della malavita e hai mai pensato di smettere di denunciare?

Non mi aspettavo potessero essere così pittorescamente banali. La sensazione che si vive è banalissima paura, la vera violenza è rappresentata dallo stupro della tranquillità, elemento fondamentale per chiunque lavori usando la testa. Nonostante le difficoltà, non ho mai pensato di fermarmi perché non avrebbe alcun senso dato che porto in scena uno spettacolo in cui chiedo alla gente di non prostituirsi alla paura. E non è un peso, né sento l'obbligo di continuare a farlo, ma ne provo piacere con la vertiginosa sensazione di non aver mai pensato di poter provare una soddisfazione così sofferente.
Le minacce ti sono arrivate a Lodi, piccola provincia lombarda, considerata dai più tranquilla e lontana dalle logiche mafiose. Ti ha stupito ricevere minacce proprio dal Nord?

Certo che no. Lodi è regina della mafia finanziaria. Non vedo nulla di diverso della mafia della cicoria del sud. Strano è invece che, in una città dalle radicate dinamiche mafiose dei bonifici a più zeri, tema discusso a messa e dal parrucchiere, ci sia ancora qualche barbaro incontrollato in giro, probabilmente di un'altra stirpe e di tutt'altro timbro, capace di gesti del genere. Me lo aspettavo perché la mafia d'aperitivo, quella del “sentito dire”, ferisce molto di più di quella delle minacce esplicite. Lodi, come tutte le città del Nord,è assolutamente favorevole alla mafia. Questa cittadella lombarda è come Partinico. Anzi, è peggio, perché in Lombardia ci sono persone che si possono permettere di negare l'esistenza della malavita, quando in Sicilia affermazioni di questa portata sono impensabili da almeno trent’anni.
Quali sono le differenze tra Mafiopoli del settentrione e quella del meridione?

Al Nord la stanza dei bottoni si installa sempre lontano da dove c'è rumore. Meglio: nel piano regolatore approvato da tutti i partiti intelligenti che appoggiano queste dinamiche. La Sicilia è rumorosa, nel bene e nel male. Il grave peccato del Nord è quello di essere presuntuoso. Ma questa è una guerra che pretende unità.
Cos'è per te il teatro civile?

Non esiste perché non esiste quello incivile. Qualsiasi forma d'arte e di cultura, o qualsiasi gesto che abbia una tensione verso un obiettivo è un gesto civile. C'è stato il bisogno di dargli questa etichetta perché c'è promiscuità tra civile e incivile. L'unico vero teatrante civile era colui che smascherava il re 500 anni fa essendo quasi certo di rimetterci la testa. Siamo tutti dei privilegiati, ci pagano per fare una cosa che prima rappresentava una condanna a morte certa.
Perché hai deciso di non portare più in scena “Do ut des”?
Il motivo è da ricercare nella definizione che mi hanno dato di teatrante antimafia. Questa etichetta porta ai miei spettacoli persone interessate alla tematica e non la massa. Io vorrei raggiungere il maggior numero di persone per portare avanti il messaggio dell'antimafia.
Progetti in cantiere?
Sto portando in giro uno spettacolo con Gianni Barbacetto che è una ninna nanna per svegliare il Nord dalla presunzione che qui la mafia non esista. Uno spettacolo che non girerà in ambienti teatrali, ma che sarà un'orazione civile pensata come era nelle agorà. Ho invece un progetto prettamente teatrale con Carlo Lucarelli e Cisco dei Modena City Ramblers. La prima è in cartello per ottobre, racconteremo uno dei processi più chiacchierati degli ultimi anni di politica in Italia:”L'innocenza di Giulio”.E Giulio non sono io.