In questo paese, alle volte, succedono delle cose strane. Molto strane.
In questo paese, alle volte, quelle cose strane rimangono tali per molto molto tempo.
In questo paese, alle volte, quelle cose strane oltre ad essere strane di per sé, sono fatte da tante storie. Storie di uomini e donne che – da una parte o dall'altra – scrivono, ognuno a modo proprio, i capitoli che compongono quelle stranezze.
In questo paese, alle volte, molte di quelle persone che si ritrovano invischiate in quelle storie, diventano personaggi scomodi, pericolosi. Ma non perché commettono delle cose brutte. Tutt'altro. Diventano scomode e pericolose perché svolgono il loro dovere.
Come in tutte le storie, anche in quelle strane ci sono i protagonisti ed i comprimari, quelli di cui sui giornali leggi vita, morte e miracoli, e quelli di cui non si sa praticamente niente ma che magari svolgono un lavoro molto prezioso per i protagonisti.
In entrambi i casi, che tu sia protagonista o gregario, in questo paese se ti avvicini troppo a “certe verità” rischi di non arrivare a fine giornata. Fino a 14-15 anni fa, quando diventavi un uomo pericoloso ti sparavano in strada o ti mettevano del tritolo nella macchina parcheggiata di fianco alla tua o su un tratto autostradale che sapevano che avresti percorso.
Oggi è un po' diverso. Perché oggi, quegli stessi apparati che mettevano le bombe hanno imparato a fare un “servizio pulito”. E quindi usano altri metodi, come farti passare per quel che non sei o mettendo in giro voci totalmente false, con le stesse modalità utilizzate dalla camorra. Ma quel che sta avvenendo a Gioacchino Genchi non ha niente a che fare con la camorra. Quel che sta accadendo a Gioacchino Genchi ha a che fare con un'ombra, una strana – e pesante – ombra che, a voler guardar bene, fa parte di questo stato più o meno dagli anni '60.
Per capire perché il dott. Genchi è considerato un personaggio scomodo dobbiamo fare un viaggio. Nello spazio e nel tempo, perché torniamo alla Palermo di 17 anni fa. E' il 19 luglio 1992, sono passate appena 2 ore dalla strage di via D'Amelio con la quale si è interrotto il lavoro compiuto – sui mandanti dell'omicidio del giudice Giovanni Falcone, avvenuto il 23 maggio dello stesso anno – dal giudice Paolo Borsellino (e poco tempo è passato dalla sottrazione della borsa contenente la “famosa” agenda rossa del giudice, mai più rinvenuta). Genchi individua, incrociando dei tabulati telefonici, il luogo da cui sarebbe stato azionato il radiocomando dell' esplosivo utilizzato per la stage nel castello di Utveggio, Monte Pellegrino dal quale si sovrasta via D'Amelio (quindi ottimo punto di osservazione per la strage). Secondo Salvatore Borsellino (fratello del giudice) in quel castello si sarebbe celata una base del Sisde. Da quel luogo partono strane telefonate che s'incrociano con il cellulare clonato di un boss di Cosa Nostra, Giovanni Scaduto. Con gli uomini che in quel periodo “abitavano” il castello aveva collaborato anche Bruno Contrada, numero 3 dello stesso Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, lo stesso Contrada che verrà poi condannato per i suoi rapporti con la mafia (quindi fare 2+2 non è una cosa così avulsa dalla realtà no?).
In questo lungo arco di tempo il dott.Genchi abbandona la divisa (è in aspettativa, per altro concessa anche da quegli stessi organi istituzionali che oggi lo attaccano) per andare a rinchiudersi in un bunker sotterraneo dal quale fa “parlare” i tabulati telefonici delle inchieste che via via gli vengono affidati. Si occupa di moltissime inchieste importanti sulla mafia, la 'ndrangheta, i rapporti tra mafia e politica (ed anche quelle per la scomparsa della piccola Denise Pipitone). I suoi nemici così diventano molti, come ogni qual volta che un fiero servitore dello Stato si scontra con i poteri del “para-Stato” (o anti-Stato, che dir si voglia) e che oggi sono nella sala dei bottoni dello Stato “regolare”, di quello stesso Stato che il più delle volte nell'eterna lotta alla criminalità organizzata non solo si è sempre chiamato fuori, ma spesso ha combattuto dalla parte di quello che avrebbe dovuto essere il nemico da estirpare e spesso ne ha armato direttamente la mano.
Come sappiamo, quando qualcuno si “imbatte” in determinati poteri, in poteri criminali e/o massonici, indipendentemente dall'ideologia che perseguono gli uomini che a questo potere hanno prestato giuramento, esso invece che disintegrarsi si ricompatta. Si ricompatta contro l'uomo che tenta di disintegrarli. Ce lo ha spiegato anche Roberto Saviano in quello splendido speciale da Fazio di qualche tempo fa: chi persegue quel “sistema” facendo solo il proprio dovere viene isolato ed impossibilitato nel procedere nel proprio lavoro. E' così anche con il dott. Genchi, sul quale – seguendone le vicende tra organi d'informazione e internet – si può leggere una florida letteratura mistificatrice e diffamatoria, che vuole che lo stesso abbia effettuato qualcosa come 350.000 intercettazioni. Sono parole del premier, forse dimentico che il dott. Genchi non si occupa di intercettazioni, ma di ciò che si fa con quelle intercettazioni, cioè incrociarle al fine di risolvere le indagini (motivo per cui è stata fatta la legge sulle intercettazioni). Così come, in quell'opera di demolizione del "public enemy" non si è certo tentata ogni via per demolire la figura del dott. Genchi, se è vero – come è vero ed accertato – che forti spifferi dalle procure arrivavano ai giornali; Panorama e Libero – due organi di stampa non certo idiosincratici con il premier - hanno infatti spifferato delle indagini su Prodi e Mastella portate avanti da Luigi De Magistris. Che sia solo un caso? Come ci avvisò a suo tempo proprio il premier il “caso Genchi” sarebbe stato lo scandalo più grande della Repubblica Italiana. Ed i suoi adepti...pardon, i suoi “collaboratori”, possono anche portarlo avanti questo scandalo, ma poi dovranno aspettarsi una risposta. E non credo che quella risposta sia per loro tanto piacevole. Parlando proprio dell'ultimo caso in cui si è trovato a lavorare Genchi, cioè le inchieste dell'ex pm De Magistris si può sentire il rammarico per aver de facto posto fine alla carriera del sostituto procuratore – oggi candidato alle elezioni europee per IdV. Quello stesso rammarico provato dal maresciallo della finanza Silvio Novembre nel collaborare con Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore nella seconda metà degli anni 70 della Banca Privata Italiana appartenuta a Michele Sindona. Quello stesso Ambrosoli che gestì l'incarico affidatogli con estrema professionalità e correttezza e che per questo pagò con la vita: venne ucciso l'11 luglio 79 da un killer di Cosa Nostra assoldato dallo stesso Sindona, il quale volle vendicarsi del fatto che Ambrosoli mantenne sempre la schiena diritta, anche quando si scontrò con i “poteri forti” di questo paese. Ma il “sistema” alle spalle del bancarottiere volle anche dare un esempio: nessuno si azzardi più a comportasi come Ambrosoli. Di fronte a certi interessi bisogna piegarsi, altrimenti si paga con la vita.
Ma qual'è il reato contestato al dott. Genchi?
A Gioacchino Genchi vengono contestate delle interrogazioni all'anagrafe tributaria inerenti all'identificazione di codici fiscali, denunce dei redditi ed intestazioni telefoniche non riconducibili alle indagini che svolgeva. Peccato che non vi sia alcuna prova incontrovertibile di ciò. In ogni caso dell'affaire Genchi se ne sta occupando la Procura della Repubblica di Roma. Quella stessa procura che vede tra i suoi frequentatori alcuni degli uomini finiti nelle cuffie del dott. Genchi. Perché in questo paese succedono cose strane. E chi viene colpito da esse non può rimanerne immune. In un modo o nell'altro.
La verità è spesso là, dove i più non la cercano.
Scritto da
Andrea Intonti
Pubblicato
4/21/2009 06:23:00 PM
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