Gran Bretagna e Francia contro l'Unione Europea per armare i ribelli siriani

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Parigi – «Non possiamo accettare che ci sia questo squilibrio con da un lato l'Iran e la Russia che forniscono delle armi a Bashar al-Assad e dall'altro lato dei ribelli che non possono difendersi. Levare l'embargo è uno dei soli mezzi che restano per far avanzare politicamente la situazione». A parlare così, alla radio France Info, è Laurent Fabius, ministro degli Esteri francese. Se durante la riunione della prossima settimana con i suoi omologhi dei 27 Stati Membri, necessaria a definire una strategia comune sull'embargo in scadenza a fine mese, l'Unione Europea dovesse decidere all'unanimità di confermarlo, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato che armeranno da sole i ribelli. Fino a quella data, come ha evidenziato anche il premier britannico David Cameron, entrambe faranno pressione sugli altri paesi per eliminare le sanzioni ed usare i canali legali per l'invio delle armi.
«È nostro dovere aiutare la Coalizione, il Free Syria Army e i loro leader con tutti i mezzi necessari», ha ribadito Fabius al quotidiano Libération.
A mettersi di traverso al fronte anglo-francese è però arrivata Angela Merkel, che ha motivato la sua opposizione sostenendo come l'invio degli armamenti europei sarebbe utilizzato da Iran e Russia come giustificazione per aumentare il flusso di armi verso il governo di Damasco. La Cancelliera tedesca ha inoltre chiesto una posizione comune dell'Europa sull'embargo, la cui conclusione farebbe seguito alla decisione del mese scorso, presa in sede europea, di allentare le condizioni per la fornitura di equipaggiamento “non letale” - come i giubbotti antiproiettile - e l'assistenza tecnica all'opposizione. Londra starebbe inoltre pensando ad un programma di 13 milioni di sterline (circa 15 miliardi di euro) composto da aiuti umanitari e logistici a cui starebbe pensando Londra.

Tra le “cause” che portano la Francia a chiedere di poter vendere direttamente le armi ai ribelli, le rassicurazioni date dal Consiglio Nazionale Siriano (l'opposizione in esilio) di essere in grado di controllarne il flusso. François Hollande ha inoltre evidenziato come la prosecuzione degli scontri potrebbero radicalizzare il conflitto allargandolo a paesi limitrofi quali Libano e Turchia (attraverso quello stesso processo di infiltrazione nei campi profughi che abbiamo conosciuto con la guerra in Rwanda?).
Dall'altro lato della Manica, Cameron ha sostenuto come una soluzione politica sarà possibile solo quando il CNS verrà considerato dalla gente come una “forza credibile”.

L'Unione Europea – che nei giorni scorsi ha dovuto assistere all'omicidio di Ahmad Shihadeh, vittima di un lancio di razzi nel sobborgo di Deraya, vicino Damasco, mentre consegnava aiuti umanitari – tramite l'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Catherine Ashton ha chiesto alle parti di fermare le violenze, che hanno già provocato «oltre centomila vittime innocenti e oltre un milione di rifugiati». 

Mentre l'Europa si interroga sulle modalità di armare i ribelli, Save The Children pubblica il rapporto “Bambini sotto tiro”, che evidenzia come siano ormai due milioni i bambini che di questo conflitto stanno subendo gli effetti, tra malnutrizione, violenze, torture sessuali sia per femmine che per maschi di 12 anni che hanno visto le loro scuole – fino allo scoppio della guerra la Siria aveva la più alta percentuale di scolarizzati dell'intero Medio Oriente – trasformarsi in rifugi, con i banchi utilizzati per riscaldarsi.

Secondo funzionari delle Nazioni Unite, sono oltre 4 milioni i siriani costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e a trasformarsi in veri e propri “migranti di guerra”, e cercare rifugio in altre zone del paese o nei campi profughi di Giordania, Libano, Iraq e Turchia. «Una migrazione forzata che ha una forte e preoccupante ricaduta sociale nei Paesi confinanti», come ha dichiarato il presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca, in Giordania per valutare nuovi interventi a favore della popolazione.

Intanto il regime di Assad minaccia il vicino Libano, che oltre ad ospitare quasi un quarto dei rifugiati continua ad essere uno dei confini dai quali si registra il flusso più ampio di armi trafficate – da e verso entrambi i paesi - come già a maggio denunciavano le Nazioni Unite. Armi che, è stato accertato, arrivano anche dalla Croazia, sfruttando triangolazioni e finanziatori sauditi. Come scriveva il New York Times,  - poi ripreso dal quotidiano croato “Jutarnji list” - tra novembre 2012 e febbraio sarebbero stati 75 i voli civili che, partiti dalla Turchia e dalla Giordania, avrebbero trasportato attraverso il territorio croato circa 3.000 tonnellate di armi – per lo più cannoni e lanciarazzi – provenienti dagli armamenti utilizzati durante la guerra nei Balcani degli anni Novanta o dalla Gran Bretagna. Stando alla ricostruzione del quotidiano croato, sarebbe stato Josko Paro, ambasciatore di Zagabria negli Stati Uniti, ad accordarsi con questi ultimi per la vendita di armi all'Arabia Saudita, che avrebbe dunque il doppio ruolo di “mediatore economico” e paese terzo grazie al quale eludere le sanzioni dell'Unione Europea. Non certo la pubblicità che la Croazia sperava di avere alla soglia dell'ingresso nell'Unione.

L'embargo si è reso necessario, tra le altre, anche per evitare che le armi finissero nelle mani sbagliate. Nella fattispecie in quelle della rete jihadista Ahrar al Sham ("Uomini liberi della grande Siria"), un gruppo che pur combattendo contro il regime, mira all'instaurazione di un governo islamico che sostituisca il governo di al-Assad. La minaccia di volersi affidare alla protezione di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti se gli Stati Uniti non decideranno di armare ai ribelli siriani, pone la necessità dell'Europa di mettere un "cappello" ufficiale ai ribelli attraverso la fornitura legale di armamenti sotto una luce molto diversa.