Roma, finita la pax di "Cosa Nuova"?


foto: nottecriminale.wordpress.com

ROMA - Dicono che Roma non sia Palermo. Ed è un po' come quella vecchia storia che la mafia, in certi posti, è solo un'invenzione dei media. Eppure a Roma, nel 2011, ci sono stati più morti che a Palermo, a Napoli o a Reggio Calabria. Trentatré morti violente. Trentatré morti ammazzati. Troppi per una città che, dicono, sia semplicemente una città allo sbaraglio, una città che – con il passaggio politico da Veltroni ad Alemanno – ha perso in sicurezza. Trentatré morti ammazzati li trovi nei resoconti dei telegiornali da posti come Baghdad, Kabul o il Kosovo degli anni Novanta. Ma quelli sono – o sono stati – paesi in guerra. In tempo di guerra trentatré morti ammazzati basta un attentato per farli. Ma in tempo di pace no, in tempo di pace è più difficile.
Eppure quei trentatré morti ammazzati ci sono. Come ci sono stati a Palermo, a Napoli e a Reggio Calabria. Ma quelli nemmeno erano tempi di pace. Anche Palermo, Napoli e Reggio Calabria hanno conosciuto le loro guerre. “Faide” le chiamano, come se ammazzarsi tra clan sia meno importante. Anche perché, lo abbiamo sentito dire tutti almeno una volta, «finché si ammazzano tra di loro...».

È proprio in quei momenti, quando iniziano ad “ammazzarsi tra di loro”, che bisogna alzare il livello di attenzione, ancor più di quanto non si stia attenti nei periodi in cui la criminalità organizzata si siede ad un tavolo a trattare e non sceglie la via delle armi. Dato il livello di penetrazione dei clan in molti settori dell'economia legale, comunque, l'attenzione – giudiziaria, giornalistica, civile – è evidentemente ancora troppo bassa. Perché quando quel tavolo salta e piuttosto che gli stradari cittadini con cui si spartiscono le città qualcuno inizia a posarci sopra un kalashnikov o una pistola vuol dire che qualcosa di lì a poco cambierà. È successo con le vecchie famiglie siciliane e i Corleonesi, con la guerra tra i cutoliani e la Nuova Famiglia prima e con quella tra i Casalesi e gli Scissionisti dopo a Napoli o con i Libri-Tegano e i Condello-Serraino a Reggio Calabria. “Guerra di mafia” scrivevano i cronisti a Palermo, a Napoli o a Reggio Calabria quando in redazione arrivava la chiamata che ce n'era stato un altro, di morto ammazzato.
E ad ogni morto ammazzato per le strade siciliane, campane o calabresi c'era qualcuno – da qualche altra parte – a cui tremavano i polsi. Come i parlamentari comprati a suon di voti scambiati a Roma, ad esempio. O come tutti quei piccoli o grandi imprenditori che, a Roma come a Milano come a Reggio Emilia, con la criminalità organizzata ci hanno sempre campato, e anche bene.

Capita, però, che anche in queste altre città si facciano dei morti ammazzati. Forse ha ragione Luigi De Ficchy, procuratore capo di Tivoli, sul fatto che dietro ad ognuno di quei trentatré morti ammazzati nella capitale non ci debba per forza essere la criminalità organizzata. Eppure ad andare un po' più in profondità, a grattar via quella patina da “semplice città insicura” che media e politica hanno scelto per Roma, si può leggere una storia un po' diversa. Una storia che, da Palermo, da Napoli, da Reggio Calabria così come dall'estero porta – memore di quel vecchio detto – nella capitale. Insieme alla via della droga, delle armi e del denaro da lavare.
Qualcuno lo sarà davvero un omicidio “casuale”. Ma capire che oggi, a Roma, si assiste ad una nuova guerra di mafie – al plurale, e non è un refuso – può essere il primo passo per bloccare l'ascesa dei nuovi corleonesi, dei nuovi scissionisti o della nuova 'ndrangheta. Perché, è evidente a volerlo leggere, con la caduta di un sistema di potere – quello berlusconiano – non è solo il sistema degli equilibri politici che si sta riorganizzando. C'è anche, e soprattutto, il riequilibrio di quel sistema criminale che, con il voto, mette propri afferenti in Parlamento, nei consigli regionali o in quelli comunali.

È alla luce di queste considerazioni che credo utile provare a raccontare – in maniera comunque non definitiva, dato che mentre scriviamo per le strade della capitale si continua ad uccidere, rapinare e gambizzare - proprio quella storia che in pochi, ammaliati dai riflettori del governo tecnico e delle polemiche che si porta dietro, sembra vogliano (o abbiano la possibilità di) raccontare.
Perché per qualcuno – a livello politico e mediatico – Roma oggi è semplicemente preda di un gruppo di “cani sciolti” che si sono messi a sparare. Senza apparente motivo. Per qualcun altro, invece, a Roma da un po' di tempo è stato aperto un laboratorio. Il “laboratorio Cosa Nuova”.