"Siamo persone perbene". Poi baciano i boss


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Napoli, 27 settembre 2011 – Nelle scorse settimane il grido d'allarme era arrivato dall'arcivescovo di Reggio Calabria monsignor Vittorio Mondello, che aveva evidenziato come sempre più spesso le feste religiose stiano diventando «proprietà di gruppi alle volte mafiosi»[1]. Ma quello che è successo domenica scorsa per le strade del quartiere Barra, forse, non lo aveva immaginato nemmeno lui.

L'immagine che si è presentata ai cittadini nella mattinata di domenica scorsa assomiglia a quelle scene dei film americani in cui il politico in trionfo gira per le strade della città in mezzo ad auto di lusso, cittadini festanti, palloncini e coriandoli. Nel quartiere Barra, alle pendici del Vesuvio, invece, la sfilata l'ha fatta Angelo Cuccaro, capo dell'omonima famiglia arrestato nel 1993 per omicidio (stando all'accusa, infatti, avrebbe ucciso un affiliato che si opponeva alla tregua con l'organizzazione rivale dei Minichini) e scarcerato nel 2010.

Quella dei Cuccaro non è la camorra degli Schiavone o quella dei Mazzarella, anche se i clan sono ben inseriti nel traffico d'armi e di sostanze stupefacenti come nel racket e nelle rapine ai tir. Non è la camorra dei grandi libri o delle prime pagine dei quotidiani, ma le regole che valgono per gli Schiavone o per i Mazzarella valgono anche se ti chiami Cuccaro. In particolare quelle del potere simbolico.

Il contesto in cui si svolge la sfilata del boss – accompagnata dalla classica musica neomelodica che ne elogia le gesta criminali – è la festa dei Gigli, festa che nel quartiere si celebra fin dal 1822. E che da qualche anno serve a celebrare la potenza del clan. L'anno scorso era toccato ad Arcangelo Abete, tra i fondatori degli Scissionisti che hanno insanguinato le strade napoletane tra il 2004 ed il 2005. Quest'anno, sul sedile posteriore di una Rolls Royce bianca c'era proprio Angelo Cuccaro.
Ad aprirgli la strada suo padre Antonio, prodigo nello stringere mani e nel baciare in bocca, gesto che nella semiotica criminale indica la totale appartenenza alla famiglia e che è diventato uno dei marchi di fabbrica proprio degli Scissionisti.

La festa religiosa, dunque, diventa il principale strumento (insieme a veri e propri inni neomelodici come la canzone “'O Rre”) per rimarcare il potere sul territorio e sulla “loro” gente, dove il boss – lungo quel leit-motiv in cui i criminali diventano eroi e gli eroi diventano criminali ormai di moda da qualche anno – diventa il benefattore che dà lavoro, assistenza e divertimento al suo popolo. Un potere che non viene scalfito neanche dal potente potere ecclesiastico, dato che tutti i parroci del quartiere, negli ultimi anni, hanno benedetto la festa ed il festeggiato. D'altronde i tempi di don Peppe Diana o del siciliano don Pino Puglisi sono lontani.

E mentre nel quartiere Barra si festeggiava, a Scampia veniva ucciso Ciro Nocerino, 45enne pregiudicato con precedenti per associazione camorristica, traffico d'armi e spaccio di droga e ritenuto uno dei nomi storici degli Scissionisti. Sedici colpi di pistola di una calibro 9x21 che hanno lasciato a terra il terzo morto di camorra negli ultimi due mesi. Sedici colpi di pistola che, forse, indicano l'inizio di una nuova guerra per i nuovi equilibri tra i clan.


Note
[1] http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/Riprendiamoci-le-feste-religiose.aspx