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Palermo, 20 settembre 2011 – Era considerato il fedelissimo di Bernardo Provenzano, tanto da carpirgli più d'una confidenza. Poi una crisi mistica lo ha portato al pentimento. Stefano Lo Verso, 49 anni, ex reggente della famiglia mafiosa di Ficarizzi, nel parlermitano, si presenta l'11 febbraio 2011 alla locale caserma dei carabinieri. Da quel momento è un fiume in piena.
«Bernardo Provenzano mi riferì di accordi politici con Dell'Utri, dopo le stragi del '92-'93, che costituirono la base su cui la mafia decise di appoggiare Forza Italia». Come contropartita al nuovo movimento politico, il mantenimento della latitanza di “zu Binnu”.
Le dichiarazioni di Lo Verso sono state depositate oggi dal pubblico ministero Nino Di Matteo davanti alla quarta sezione del Tribunale nel quale si svolge il processo a Mario Mori, l'ex generale dei carabinieri accusato di favoreggiamento aggravato insieme a Sergio De Caprio (il “capitano Ultimo”), già assolti “con formula piena” nel 2006.
All'interno del profluvio di dichiarazioni, Lo Verso ha dato spazio anche a nuove accuse per Saverio Romano, ministro per le Politiche agricole in quota “Responsabili”, il partito nato per salvare il governo lo scorso marzo. Già prima della nomina era indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Queste ultime rivelazioni sono state inserite all'interno del procedimento contro Totò Cuffaro, l'ex governatore attualmente in carcere dallo scorso gennaio con una condanna a sette anni nell'ambito del procedimento “Talpe in Procura”.
«Nel 2003» - racconta Lo Verso - per risolvere un problema burocratico con il Comune di Villabate andò a parlare con Nicola Mandalà, capomafia di Villabate che ha curato gli ultimi anni della latitanza di Provenzano ora al 41 bis, che gli promise di interessarsi al problema, tranquillizzandolo sugli agganci politici del clan, dato che Saverio Romano e Totò Cuffaro erano uomini nelle mani del clan.
Romano è accusato di avere «consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento dell'associazione mafiosa Cosa Nostra, mettendo a disposizione il proprio ruolo così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione, tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi».
«Sono cose già note e già riportate dai media, inutili ma ricorrenti ad orologeria». Ha commentato il ministro. «Dopo otto anni che la mia vicenda è sui giornali in tanti “hanno sentito dire che”, non solo Lo Verso».
Quanto saranno decisive le nuove dichiarazioni, comunque, sarà il tempo a deciderlo.
«Bernardo Provenzano mi riferì di accordi politici con Dell'Utri, dopo le stragi del '92-'93, che costituirono la base su cui la mafia decise di appoggiare Forza Italia». Come contropartita al nuovo movimento politico, il mantenimento della latitanza di “zu Binnu”.
Le dichiarazioni di Lo Verso sono state depositate oggi dal pubblico ministero Nino Di Matteo davanti alla quarta sezione del Tribunale nel quale si svolge il processo a Mario Mori, l'ex generale dei carabinieri accusato di favoreggiamento aggravato insieme a Sergio De Caprio (il “capitano Ultimo”), già assolti “con formula piena” nel 2006.
All'interno del profluvio di dichiarazioni, Lo Verso ha dato spazio anche a nuove accuse per Saverio Romano, ministro per le Politiche agricole in quota “Responsabili”, il partito nato per salvare il governo lo scorso marzo. Già prima della nomina era indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Queste ultime rivelazioni sono state inserite all'interno del procedimento contro Totò Cuffaro, l'ex governatore attualmente in carcere dallo scorso gennaio con una condanna a sette anni nell'ambito del procedimento “Talpe in Procura”.
«Nel 2003» - racconta Lo Verso - per risolvere un problema burocratico con il Comune di Villabate andò a parlare con Nicola Mandalà, capomafia di Villabate che ha curato gli ultimi anni della latitanza di Provenzano ora al 41 bis, che gli promise di interessarsi al problema, tranquillizzandolo sugli agganci politici del clan, dato che Saverio Romano e Totò Cuffaro erano uomini nelle mani del clan.
Romano è accusato di avere «consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento dell'associazione mafiosa Cosa Nostra, mettendo a disposizione il proprio ruolo così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione, tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi».
«Sono cose già note e già riportate dai media, inutili ma ricorrenti ad orologeria». Ha commentato il ministro. «Dopo otto anni che la mia vicenda è sui giornali in tanti “hanno sentito dire che”, non solo Lo Verso».
Quanto saranno decisive le nuove dichiarazioni, comunque, sarà il tempo a deciderlo.