Intervista ad Annamaria Rivera, antropologa e attivista antirazzista (da AlbaniaNews)

di Migena Proi per Albania News [qui l'articolo originale:http://www.albanianews.it/italia/migrazioni/item/1196-intervista-annamaria-rivera]

L'antropologa Annamaria Rivera
Annamaria Rivera, antirazzista e antropologa, è docente di etnologia ed antropologia sociale all'università di Bari. È da sempre fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani. Fra i suoi campi di studio vi è l'analisi delle mutevoli forme dell'etnocentrismo e del razzismo nelle società contemporanee. È autrice e curatrice di numerosi volumi, tra i quali "L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave" (2001), "la guerra dei simboli. Veli post-coloniali e retoriche sull'alterità" (2005) e "Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo" (Dedalo 2009)


Il suo antirazzismo non si limita all’attività saggistica e giornalistica. Lei ha attivamente partecipato a organizzazioni e/o eventi nati con l’obiettivo di contrastare il razzismo, come ad esempio lo sciopero degli stranieri del 1° marzo. Questa sua determinazione e intenso coinvolgimento è stato determinato da un suo percorso personale?

Sì, certamente, come ogni scelta d’impegno sociale e politico. Fin dalla giovinezza, ho coniugato l’impegno intellettuale con quello sociale e politico: ho partecipato al movimento del ’68, poi all’esperienza della nuova sinistra e al movimento femminista. Penso, in particolare, che fra il femminismo e l’antirazzismo ci sia una continuità, simmetrica e opposta a quella che lega il sessismo e il razzismo. In questi giorni sto portando a termine un libro, che uscirà a breve, in cui analizzo, appunto, questa continuità. Comunque, due eventi specifici sono stati decisivi: l’assassinio, nel 1989, del rifugiato sudafricano Jerry A. Masslo, che inaugurò la lunga teoria di violenze razziste, ma segnò anche la nascita del movimento antirazzista italiano; e i grandi sbarchi di profughi albanesi nei porti di Brindisi e Bari nell’estate del 1991.

Allora, oltre che insegnare all’Università di Bari (dove insegno tuttora), ci abitavo anche. Potei quindi osservare anche da vicino lo svolgimento di quei fatti. E ciò che mi colpì fu il repentino cambiamento dell’atteggiamento delle istituzioni, della politica, dei mass media e, di conseguenza, dell’opinione pubblica nei confronti dei migranti albanesi. Il mutamento della politica governativa e quindi dell’orientamento dei mezzi d’informazione, il trattamento riservato agli albanesi, segregati in uno stadio di Bari che sembrava divenuto quello di Santiago del Cile, contribuirono alla nascita del pregiudizio e dell’ostilità popolari. Insomma, si manifestò allora il classico meccanismo che lega il razzismo di Sato a quello popolare tramite l’opera svolta dai media.



Ha senso oggi, a suo avviso, parlare di “razzismo” o è preferibile usare termini come “xenofobia”? Che definizione darebbe del razzismo?

Io ritengo che non sia esagerato parlare, a proposito dell’Italia, di una situazione razzista. E’ riduttivo sostenere che si possa parlare di razzismo solo in presenza di un’esplicita dottrina delle gerarchie razziali, in senso biologico. Nel discorso neorazzista, categorie come “etnia”, “cultura”, “differenza” possono essere sostituite a “razza”, con lo stesso significato e funzione.

E nella realtà di oggi è questo che succede: in Italia, certe minoranze (i rom, soprattutto) e certe categorie di migranti sono considerate e trattate come se appartenessero a razze inferiori. Qualunque gruppo può essere “razzizzato”, indipendentemente dalle reali differenze somatiche o culturali: basta pensare alla storia dell’antisemitismo. Nell’Italia dell’ultimo ventennio, di volta in volta sono stati “razzizzati” gli albanesi, gli “slavi”, gli “islamici”, i rumeni, i rom…, di conseguenza additati e trattati da capri espiatori. Si può ridurre a xenofobia -cioè a paura dell’estraneo- la politica sistematica di discredito, discriminazione, quasi-persecuzione che il governo attuale e certe istituzioni conducono ai danni dei migranti e dei rom?

Se dovessi abbozzare in sintesi una definizione di razzismo che ne includa tutte le espressioni, storiche e attuali, direi che è: un sistema di idee, discorsi, simboli, comportamenti, atti e pratiche sociali che attribuisce a certi gruppi umani differenze naturali o quasi-naturali, o comunque essenziali, generalizzate, definitive, per giustificare, legittimare, realizzare ai loro danni comportamenti, norme e pratiche di svalorizzazione, stigmatizzazione, discriminazione, inferiorizzazione, subordinazione, segregazione, esclusione, persecuzione o sterminio.

Nella premessa al suo ultimo libro “Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo” lei afferma che il razzismo non è semplicemente riconducibile a quelli che ormai sono diventati luoghi comuni, quali l’ignoranza e la paura del diverso. Secondo lei dietro il razzismo italiano si cela anche il “rimosso del passato di emigranti”. Ci vuole illustrare meglio questo concetto?

Sì, il razzismo italiano attuale, un sistema che si è sedimentato nel corso del tempo, ha radici anche in certi rimossi, non solo quello dell’emigrazione italiana. C’è anche il rimosso delle varie forme di razzismo che hanno accompagnato la storia italiana. Il mito degli “italiani, brava gente” è servito a coprire un passato vergognoso segnato dall’antigiudaismo cattolico e dall’antisemitismo fascista, dal pregiudizio antimeridionale e antizigano, e dal razzismo coloniale.

Ritornando all’ostilità verso i migranti albanesi, se in quel lontano 1991, da essere stati definiti da un famoso giornalista “fratelli della comune patria adriatica”, nel giro di un mese gli albanesi diventano i devianti per eccellenza, forse è anche perché c’è una storia coloniale italiana mai elaborata, quindi mai messa in discussione. Pochi ricordano che nel 1939, durante il regime fascista, l’esercito italiano invase l’Albania, che fu trasformata in una colonia italiana e rimase tale fino al 1943.

Allo stesso modo, il colonialismo italiano in Africa, fra i più brutali e feroci, con tutto il suo corredo di pregiudizi contro i “negri”, mai è stato elaborato e ripudiato collettivamente. Quanto al rimosso del passato di emigranti, io ipotizzo che una delle ragioni dell’ostilità verso i lavoratori e le lavoratrici immigrati/e risieda nel fatto che essi ricordano agli italiani un passato di miseria, di esodo obbligato, di duro lavoro, di razzismo subìto che si vuole dimenticare.


Quali secondo lei sono i fattori che hanno determinato la “saldatura pericolosa tra razzismo istituzionale e razzismo popolare” ?

L’opera di costante e sistematico discredito dei migranti, “clandestini” e non, condotta attraverso la propaganda, le norme discriminatorie, le dichiarazioni di massimi esponenti del governo e delle istituzioni ne hanno fatto i capri espiatori ideali. In più la legge 40, cioè il Testo unico che disciplina l’immigrazione e la condizione dello straniero, progressivamente peggiorato nel corso degli anni, ha reso più fragile la condizione giuridica e sociale dei migranti e delle migranti, e quindi li ha resi più vulnerabili e attaccabili.

A sua volta, l’opera di denigrazione e di inferiorizzazione delle persone immigrate condotta dal razzismo di Stato è stata amplificata dal ruolo svolto dai media, molti dei quali si sono prestati volentieri a condurre campagne allarmistiche. Tutto questo ha contribuito a sollecitare le peggiori pulsioni, il senso comune più degradato, le paure, verosimili o presunte, della “gente”, quindi l’ostilità, che spesso arriva fino all’aggressione, all’omicidio, al pogrom. Se poi si aggiungono la debolezza del senso civico italiano, lo slabbramento del tessuto sociale, gli effetti della crisi economica, si possono cogliere le ragioni di eventi come l’omicidio di Abdul Guiebre, il pogrom di Ponticelli contro i rom, la strage di Castel Volturno, la caccia ai braccianti africani di Rosarno…


Lei considera gli “imprenditori politici del razzismo”, come ad esempio la Lega Nord, una peculiarità italiana…

No, non penso che la presenza di partiti razzisti di estrema destra sia una peculiarità italiana: ce ne sono in molti paesi europei. La specificità italiana è che la Lega Nord in Italia non è riconosciuta come un partito di estrema destra. Eppure se si comparassero i programmi, i discorsi, le retoriche di questo partito con altri, rubricati sotto l’etichetta di “estrema destra xenofoba”, si troverebbe, per esempio, che il Front National francese, che in Francia è considerato di estrema destra, è più “moderato” della Lega Nord. La peculiarità italiana è che un partito, autentico imprenditore politico del razzismo, eserciti un condizionamento pesante sul governo in carica, ne condizioni l’agenda politica, contribuisca a de-tabuizzare discorsi e lessici razzisti, rendendoli socialmente pronunciabili da chiunque, da persone comuni come da rappresentanti delle istituzioni. Per dirne una, il lessico leghista ha influenzato perfino il vocabolario: la parola “badante”, pronunciata in pubblico per la prima volta da una bocca leghista, e certo non con intenti elogiativi, alla fine è entrata nei dizionari della lingua italiana. Quel che è abbastanza specifico dell’Italia è che nessuno si scandalizzi, per esempio, se il leghista Salvini dice che i rom sono peggiori dei topi…


Cosa risponde a chi ritiene l’antirazzismo demagogico al pari della propaganda razzista?

Rispondo che è sciocco o in malafede, oppure entrambe le cose. Non capisco cosa voglia dire “demagogico” nel caso dell’antirazzismo. E’ demagogico difendere lo stato di diritto, i principi costituzionali, i diritti fondamentali della persona? Gli uni e gli altri sono sanciti da carte e convenzioni internazionali. Chi sostiene una tale idiozia politica dovrebbe di conseguenza considerare demagogico l’atteggiamento di tutti quegli organismi europei e internazionali, a cominciare dall’Onu, che non fanno che stigmatizzare l’Italia per la costante violazione dei diritti dei migranti e delle minoranze, e non fanno che richiamarla al loro rispetto.

Forse si vuol dire che sarebbe demagogico chiamare col nome di razzismo la discriminazione sistematica e la quasi-persecuzione che si verifica in Italia contro queste categorie di persone, e la violenza razzista che arriva a uccidere in pochi giorni ben sette persone di origine africana? Mi riferisco, ovviamente all’omicidio di Abdul Guiebre e alla strage dei braccianti africani di Castel Volturno, a settembre del 2008. “E’ un’esagerazione” è una strategia che conosciamo bene: è quella che condusse al fascismo e al nazismo. Del resto, a una tale idiozia si potrebbe rispondere usando le parole non di qualche antirazzista scalmanato, ma di Innocenzo Cipolletta, ex direttore generale di Confindustria. In un articolo del “Sole 24 Ore”, pubblicato il 7 marzo 2009 a commento del pacchetto-sicurezza, denunciava senza mezzi termini la deriva “al limite del razzismo”, che minaccia “la capacità di crescita civile ed economica” dell’Italia: in un “contesto politico populista”, aggiungeva, quelle misure finiscono per legittimare “comportamenti xenofobi o razzisti”.


Gli ultimi sondaggi mostrano una “popolazione immigrata” con preferenze elettorali tese verso partiti che non si sono di certo distinti per il sostegno all’integrazione. Io stessa ho cercato di individuare le cause di questa propensione in un mio articolo. Lei come spiegherebbe questa preferenza ?

Ho letto e apprezzato il suo articolo . E condivido in gran parte la sua analisi. La Lega Nord ha esercitato ed esercita una “pedagogia di massa” che arriva a influenzare anche una parte dei migranti. Ed è vero quel che lei dice, cioè che i più influenzabili sono fra le file di coloro che provengono dai paesi dell’Est. Per la semplice ragione che il loro radicato anticomunismo spesso non fa distinzione fra i defunti regimi del socialismo reale e gli attuali orientamenti di sinistra, anche libertaria. E perciò la fobia del “rosso” può spingerli a scegliere anche il “nero” mascherato da verde.

Poi ci sono ragioni che riguardano più in generale la condizione dei migranti e la dialettica vittima-carnefice. La migrazione mette in crisi il senso di sé, a volte spinge verso il conformismo, verso il tentativo di somigliare ai propri detrattori o persecutori pur di non giocare più il ruolo di vittime. Inoltre, ci sono i piccoli privilegi conquistati dai migranti arrivati prima, che temono la concorrenza di quelli che, arrivati più recentemente, stanno più in basso di loro nella scala sociale. Lo ho scritto molte volte: il razzismo non è un’attitudine intrinseca a questa o quella categoria sociale. E’ invece un fenomeno a geometria variabile, in cui i ruoli e i bersagli cambiano continuamente: chi ne è stato vittima può a sua volta, in certe condizioni storiche, diventarne complice o attore.


Ha in progetto un nuovo libro? Se si, ci può anticipare qualcosa?

Come ho accennato, in autunno uscirà un mio nuovo saggio, su sessismo e razzismo, pubblicato dalla Ediesse. Nel libro cerco di illustrare e analizzare la continuità, le analogie, gli intrecci che ci sono fra i due sistemi di inferiorizzazione, discriminazione, dominio. Ne analizzo anche le contraddizioni e i paradossi. Per esempio, oggi in Italia, paese in cui, come ci dicono studi e statistiche, la discriminazione delle donne è grave in ogni campo, dall’accesso al mercato del lavoro ai salari, fino alla scarsissima presenza nelle istituzioni e ai vertici di ogni professione, le donne “native” possono conquistare una parziale autonomia solo sfruttando il lavoro malpagato, spesso servile, delle donne migranti.

Sempre in autunno, le edizioni Dedalo pubblicheranno il mio primo romanzo, Spelix. Storia di gatti, di stranieri e di un delitto. Racconta, in forma di giallo, una storia ambientata in un quartiere romano. E, come si intuisce dal titolo, suggerisce la simmetria fra la crescente “gattofobia”, fenomeno finora inedito a Roma, e l’altrettanto crescente xenofobia, in una città che un tempo era caratterizzata da “tolleranza” e apertura agli altri.

La ringrazio.