Io (non)so. Però ho gli indizi e le prove…

Il 14 novembre del 1974, come ormai sappiamo tutti, Pier Paolo Pasolini scriveva il famoso articolo "Cos’è questo golpe? Io so”, nel quale sosteneva di conoscere i nomi dei responsabili – conosciuti ed occulti – della strategia della tensione che in quegli anni imperversava in Italia.
Parafrasando quell’articolo, potrei dire che anch’io so. O meglio: io non so, però – a differenza di Pasolini – io ho gli indizi, e dunque ho anche le prove in merito al “golpe” – per usare le stesse parole pasoliniane - su scala continentale al quale stiamo assistendo in questi tempi. Ma andiamo con ordine.
Partiamo dalla Polonia, e precisamente dal momento in cui lo stato polacco è stato decapitato – letteralmente – dei propri vertici. Io non ho mai avuto ammirazione per i fratelli Kaczyński, considerando la spesso antitetica posizione su molti temi. Ma su una cosa mi trovavano d’accordo: l’essere scettici verso quella che ci ostiniamo a chiamare “Unione” europea.
In rete circola un video – sul quale però ho parecchi dubbi – in cui si vedrebbe una scena descritta come l’esecuzione, da parte di forze militari presumibilmente russe, di alcuni dei superstiti dell’incidente aereo in cui, ricordiamolo, oltre a quello che fino ad allora era il Presidente polacco – Lech Kaczyński – sono morti anche il capo di stato maggiore, Frantiszek Gagor, il viceministro degli Esteri, il governatore della banca centrale, 13 ministri, l'ex presidente Ryszard Kaczorowski, alcuni deputati, il candidato conservatore alle prossime presidenziali Przemyslaw Gosiewski e il vescovo cappellano dell'esercito. Particolarmente colpite le forze armate, che hanno subito la dipartita oltre che del già citato Gagor, anche del capo delle forze sul campo, Bronislaw, del capo dell'Aeronautica militare, Tadeusz Buk, e di quello dell'esercito, Andrzej Blasik; del capo delle forze speciali, Wojciech Potasinki, e del vice ammiraglio Andrzej Karweta. In pratica quello che era il gotha, la catena di comando polacca, non esisteva più. Cancellata nel giro di pochi secondi.
Se ci pensate un attimo, difficilmente si può definire con il termine “casualità” un incidente che in un colpo solo spazza via l’intero vertice di un paese. Tutto il vertice tranne un uomo: Donald Franciszek Tusk, l’attuale Primo Ministro. Per ora congeliamo la sua posizione e andiamo avanti.
 
C’è una giornalista, Jane Burgermeister si chiama, una giornalista irlandese/austriaca che, alcuni mesi fa, con un suo articolo iniziò a sostenere quel che alla fine anche i media mainstream sono stati costretti a dire:
il virus della cosiddetta influenza suina – il famigerato A/H1N1 – non solo era un bluff, ma – si evidenziava nell’articolo – doveva essere considerato come un metodo con cui le lobby ed i potentati che comandano davvero la politica mondiale stessero attuando un’opera di decremento demografico su scala mondiale (cosa che, naturalmente, non avete né letto sui giornali né ascoltato nelle famose trasmissioni che si ergono a “opposizione” né dalle parole di Travaglio&Co.). Cosa c’entra questa giornalista con l’incidente polacco? C’entra – e molto – per almeno due motivi: a) la Polonia è stata l’unica nazione – grazie alla ministra della Sanità Eva Kopac – a non accettare le vaccinazioni di massa contro il bluff suino, avvalorando così la tesi di chi non credeva alla versione ufficiale; b) la nuova inchiesta della Burgermeister si occupa proprio dello strano caso dell’incidente polacco.
Iniziamo da una piccola considerazione: non so come siano abituati in Polonia, ma non credo siano così ingenui da mettere tutte le alte cariche dello Stato sullo stesso aereo, fornendo così un boccone troppo ghiotto a chi vorrebbe vedere un nuovo corso politico nel paese che, visto quanto scritto sopra ed il fatto che i polacchi sono stati gli unici a non rivalutare la moneta locale ai tassi di cambio con l’euro - cosa che ha portato il paese a non vivere la recessione dovuta alla crisi – ho seri dubbi sul fatto che dietro al presunto incidente ci siano, come sembra evincersi dalla ricostruzione, i russi.
Certo, ci sarebbe poi un’altra domanda da porsi: siamo sicuri che tutta quella gente era presente sull’aereo? In una delle tante ricostruzioni che sono state fatte – ricostruzione piuttosto attendibile, visto che riguarda il contatto audio tra l’aereo e la torre di controllo – lo stesso pilota afferma che a bordo, escluso lui, c’erano altre quattro persone. Sissignore, avete letto bene: c’erano solo altre quattro persone (la cui identità, al momento, non ci è dato sapere). Questo vuol dire una sola cosa: dove sono andate a finire tutte le altre 190 e più vittime? A meno che non si sia assistito ad una resurrezione di massa – tipo quella che Ascanio Celestini racconta in “Scemo di guerra” – all’appello manca più o meno il 90% delle vittime.
Dall’analisi della scatola nera, poi, si apprende un’altra cosa: l’aereo, al contrario di quel che era stato detto nelle ore immediatamente successive a quello che ormai difficilmente si può chiamare “incidente”, era fornito di una particolare strumentazione - terrain awareness warning system si chiama – mediante la quale il pilota veniva avvisato se l’aereo si stava avvicinando troppo al terreno.
Le ipotesi a questo punto rimangono tre: o il pilota si è volontariamente schiantato al suolo – per motivi che però non ci è dato sapere – o si è assistito a quello che ormai da più parti viene definito come l’”11 settembre polacco”, con – ipotizzo io – magari la presenza di un qualche dirottatore suicida a bordo (che però ci porterebbe nel campo di una cospirazione fanta-politica, che come vedremo si discosta troppo dalle verità ufficiose…) oppure – come la ricostruzione controinformativa ci dice – il pilota è stato ingannato, e gli è stata mostrata una pista laddove questa non c’era. Voi quale delle tre piste seguireste?
La più attendibile sembra proprio quest’ultima, e per un dato particolare e per certi versi inquietante: due giorni prima dell’incidente, non se ne capisce bene il perché, la struttura radar dell’aeroporto di Smolensk (una cittadina nella Russia europea, situata a 362 chilometri a sud di Mosca) viene smantellato.; e già così ci sarebbe abbastanza materiale per lo meno per avere qualche dubbio. Ma, naturalmente, c’è di più. Tale sistema, infatti, viene smantellato dopo la visita del Primo Ministro russo Putin e – udite udite – proprio del suo pari polacco Tusk, l’unico ad essersi salvato dall’incidente. Fortuna, cospirazione o cosa?  
Quella degli incidenti aerei, come più volte ho avuto modo di scrivere sul blog, è una pratica che il Potere – quello che solitamente si maschera dietro alle (comunque poco) rassicuranti facce dei politici nazionali – usa consuetudinariamente da ormai molto tempo. I primi casi conosciuti – grazie a John Perkins ed al suo “Confessioni di un sicario dell’economia”- sono stati i casi del presidente ecuadoregno Jaime Roldós Aguilera nel maggio 1981 e di Omar Torrijos, uomo forte della Panama di quegli stessi anni che, come Roldós, venne ucciso grazie ad un incidente aereo nel luglio dello stesso anno. Ma per non arrivare fino in America Latina, basti ricordare l’”incidente” di Bascapé (Pavia) che nel 1962 uccise il presidente dell’Eni Enrico Mattei, colpevole di aver rifiutato la logica delle c.d. “sette sorelle” (cioè le principali compagnie petrolifere del tempo) e di aver di fatto stravolto l’ordine geopolitico precostituito aiutando – da ex partigiano – molti degli eserciti di liberazione nazionale sparsi per il mondo.
Tutto questo, però, non mi sarebbe venuto in mente se venerdì scorso un incidente aereo non avesse coinvolto Nigel Farage, presidente dell’UKIP (United Kingdom Independence Party, Partito per l'indipendenza del Regno Unito) tra i più accesi euroscettici che si siano mai visti. Basti dare un’occhiata ai video reperibili in rete (li trovate a questo indirizzo: http://www.youtube.com/results?search_query=nigel+farage+italiano&aq=0).

Ci sono troppe coincidenze, in questo periodo, per non iniziare a sentire odore di bruciato. Coincidenze che servono, tra le altre cose, anche a risistemare l’assetto geopolitico internazionale dopo la prova fatta con la Grecia.
  • Il nuovo corso politico: si prospetta l’asse Washington-Berlino?
«Washington Berlino: l' asse del futuro. Un solido rapporto  con la Germania costituirà la base della politica USA in Europa». A scriverlo, nel 2005, è l’ex presidente yanqui Richard Nixon, uno sicuramente informato sui fatti. Ma anche in questo caso congeliamo la situazione e spostiamoci sul “fronte caldo” dell’Europa, cioè la Grecia.
Dati noti ci dicono che anche in questo caso siamo di fronte non tanto all’incapacità di una classe politica intera, ma ad un piano – mirato e preparato nei minimi particolari – che, utilizzando lo stato ellenico come banco di prova vuole testare la tenuta politica ed economica dell’intera Unione Europea. I media ci dicono che i paesi ad essere nei guai sono la Grecia, appunto, la Spagna, il Portogallo – le cui popolazioni farebbero bene a prendere l’esempio di quella greca e tradurlo in spagnolo e portoghese – e, se non stiamo attenti, l’Italia. Anche se, come ci viene detto da più parti, noi abbiamo una situazione migliore rispetto agli altri “porci”. Sarà tutto merito del “fiuto” di Tremonti, come tutti i media nazionali, di destra e di sinistra, ci dicono o c’entra qualcosa l’Aspen Institute?
Il cittadino mediamente informato, o almeno quello che ha una buona memoria storica, sa che problemi come quelli che oggi si registrano in Grecia erano per noi la quotidianità, e che proprio per questo non dovrebbero essere considerati problemi così esorbitanti. Basterebbe fare come facevamo dieci, venti anni fa: immettere più moneta sul mercato. D’altronde è esattamente quello che fanno gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ed il Giappone, paesi che hanno situazioni simili – come nel caso degli States – o addirittura peggiori della situazione ellenica. Tanto per fare un esempio: il rapporto debito-PIL (uno degli indici utilizzati per controllare la salute economico-finanziaria di un paese) della Grecia è attestato sul 110% quest’anno (e 120% il prossimo), quello dell’Italia si aggira intorno al 118% (dato ormai cronico) e quello del Giappone – udite udite – si attesta sul 200% (lo riscrivo anche in lettere onde evitare errori: duecento per cento)! Se fosse uno stato europeo altro che intervento dell’Unione e del Fondo Monetario Internazionale, ci vorrebbe l’intervento divino – per chi ci crede – direttamente!
Ma, naturalmente, il Giappone non è uno stato europeo, e non deve fare i conti con la moneta unica. Perché il problema è tutto qui: il Giappone, così come Stati Uniti e Gran Bretagna, non si considerano un problema proprio perché possono emettere moneta senza chiedere il permesso a nessuno. È esattamente quello che noi europei non possiamo più fare dal momento in cui abbiamo deciso – o meglio: dal momento in cui i nostri governanti hanno deciso – che era cosa “buona e giusta” farci entrare tutti in regime di moneta unica, così che i destini economici di uno stato fossero legati a quelli di tutti gli altri stati aderenti. Qualcuno potrà chiedersi perché non si fa la stessa operazione, cioè l’immissione di moneta sul mercato, con la moneta unica. Non si fa proprio per quel che dicevo poc’anzi: il destino di uno (Stato) è legato a quello di tutti gli altri, quindi se – per ipotesi – si decidesse di immettere maggior moneta per salvare la Grecia, questo influenzerebbe anche i paesi trainanti l’Ue, cioè Francia e – soprattutto – Germania. Proprio quella Germania che, stando a quel che si dice in giro (non ricordo dove l’ho letto, altrimenti posterei l’articolo…) sembra essere diventato il nuovo cavallo su cui puntare per l’America, che sembra voler riposizionare la Gran Bretagna a ben più miseri ruoli, in particolare se al governo dovesse arrivare – come sembra – David Cameron.
Cosa c’entrano i rapporti geopolitici statunitensi con l’euro? C’entrano nel momento in cui si guardano i rapporti monetari non tanto in puri termini economico-finanziari, ma soprattutto come rapporti di forza geo-economica: un euro troppo forte, come è capitato più di una volta, non sarebbe utile e tantomeno farebbe piacere ai partner economici oltreoceano, perché un rapporto dollaro/euro in cui è il primo a fare la parte della moneta debole porterebbe ad una maggior difficoltà in termini sia di esportazioni che di importazioni, dove le prime subirebbero un deprezzamento e le seconde un incremento, andando così ad influire su uno degli indici della bilancia dei pagamenti (la passività o l’attività della bilancia commerciale) che sono tra i più considerati quando si deve stabilire la solidità economica – e dunque la forza geopolitica – di uno stato. Figuriamoci dunque quando questo problema interessa il paese che da decenni si considera egemone ad ogni latitudine! Per cui un euro debole – dovuto anche a quell’idea di ”Europa a due velocità” di cui la Germania è tra le più ferventi sostenitrici – non farebbe altro che consolidare la tenuta egemonica degli Stati Uniti, che dunque hanno tutto l’interesse a vedere l’”Unione” barcamenarsi (ma non scindersi) tra le tantissime anime di cui è composta.

Ed è dunque proprio sotto questo aspetto che si inquadrano i due strani incidenti aerei di cui abbiamo visto all’inizio: mettere fuorigioco le voci critiche dell’Ue, quelle cioè che potrebbero convincere le popolazioni ad un ritorno all’egemonia degli Stati-nazione su loro stessi per avere un doppio cappio al collo di tali paesi: da un lato quello legato alla moneta, che dunque permette di avere discrasie di forza (economica) dei paesi aderenti e quello di non permettere la dissoluzione dell’”Unione” (operazioni come il Trattato di Lisbona e la nomina da parte del Bilderberg group di Herman Van Rompuy a Presidente del Consiglio Europeo vanno esattamente in questa direzione), rendendo così il magma europeo ancor più disomogeneo di quanto non lo sia già per conformazione naturale.

Io, come dicevo all’inizio, non sono come Pasolini.
Non credo di avere doti predittive così perspicaci come evidentemente erano le sue. Però, a differenza del suo articolo del 1974 io (non) so, però ho sia gli indizi che le prove…


Documenti: