Genova (Italia) - «Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale di arresto dei 93 no-global, le bugie sulla loro presunta resistenza. Né si può dimenticare la sistematica e indiscriminata aggressione e l'attribuzione a tutti gli arrestati delle due molotov portate nella Diaz dagli stessi poliziotti».
Con queste parole il procuratore generale Pio Machiavello, ribaltando la sentenza di primo grado, aveva chiesto oltre centodieci anni di carcere per i responsabili di quella che lo stesso Michelangelo Fournier – uno degli indagati a quel tempo vice di Vincenzo Canterini, capo del settimo reparto della Mobile di Genova – aveva definito “macelleria messicana”, e che è passata alla storia del nostro paese come “la notte della Diaz”.
Con una premessa del genere mi aspettavo chissà quale schiacciante vittoria per la Giustizia e la Democrazia in Italia, ma – come al solito – devo svegliarmi dall’illusione che questo sia un Paese quantomeno normale e guardare alla ben misera situazione che ci si trova davanti nonostante questa sentenza. Non sono tanto le pene – da un minimo di 3 anni e otto mesi con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni ad un massimo di quattro anni – a lasciarmi perplesso, quanto il fatto che sì, è vero: i vertici delle forze dell’ordine sono stati giudicati colpevoli, ma anche loro – come i loro sottoposti – sono stati solo burattini nelle mani di qualcun altro. E quel qualcun altro rimane – e rimarrà – ancora impunito. Perché sul banco degli imputati mancava quel tal ministro – che oggi si chiede chi gli abbia potuto pagar casa – che, candidamente, ammise di aver dato l’ordine di sparare a qualunque cosa si muovesse intorno alla famosa Zona Rossa, quell’area di Genova in cui tra il 19 ed il 22 luglio 2001 – come ebbe a scrivere Gianni Minà sul numero 75 della rivista LatinoAmerica – «i famosi sette grandi più la Russia(…) stanno per sancire infatti l’indiscutibile diritto di esistere solo al 20 per cento dell’umanità, a scapito del rimanente 80 per cento. Anzi, il mondo che non ce la fa sarà per sempre indicato come il vero pericolo dell’umanità, il terrorismo contro cui lottare». Oppure quel tale – che oggi viene quasi osannato da quella parte di “sinistra” italiana che ha svenduto l’anima per la poltrona – che allora era vice-Presidente del Consiglio e se ne andò, senza motivo apparente, nella sala operativa della Questura genovese.
Loro no, non vengono nemmeno sfiorati dalla Giustizia. Perché il Potere – si sa – non si processa.
Quello stesso Potere che, oltre a promuovere gran parte di quelli che indossavano la divisa in quei giorni, si è affrettato a dire che nessuno di questi “servitori” dello Stato verrà sollevato dall’incarico, perché «una sentenza di secondo grado non vuol dire nulla». Naturalmente la cosa non ha sollevato alcun clamore in un Paese ormai definitivamente assopito su tematiche abbastanza inutili – una su tutte l’ennesima bagarre Michele Santoro-Resto del mondo – ed anzi, i principali media si affannano nell’evidenziare il glorioso passato di uomini come Francesco Gratteri (l’uomo che ammanettò Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca) o Gilberto Caldarozzi (che ha arrestato Nitto Santapaola e coordinato l’arresto del “capo dei capi” Bernardo Provenzano). E allora? Usando lo stesso metro di giudizio dei media – ad esempio – un chirurgo dal glorioso passato che sbagli un’operazione, uccidendo il paziente, non potrebbe essere giudicato perché - in passato – ha fatto grandi cose?
Parlare dei fatti di Genova – così come parlare dei grandi misteri di questo paese – significa addentrarsi in un percorso in cui ancora, nonostante siano passati decenni, la nebbia è fitta. L’unica certezza è che, ancora una volta, questo paese va a dormire credendosi Italia, anno 2010, risvegliandosi Cile - o Argentina - anni ‘70.
Genova burns…again
Scritto da
Andrea Intonti
Pubblicato
5/21/2010 12:52:00 PM
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