«Non è con il proibizionismo che si combatte l'uso di droga, ma con la cultura e con le alternative ai giovani. Se un giovane c'ha milioni di alternative nella sua vita, dal parco sotto casa a locali a posti dove si stimola la sua capacità di sviluppare cultura, questo giovane probabilmente avrà più remore ad andarsi a cacciare in una merda come l'eroina o come la cocaina perché ha delle alternative che gli danno di più e che gli costano anche meno. Farsi di eroina o cocaina non è "essere liberi", perché entrambe danno dipendenza. Io penso che il proibizionismo comunque non paghi, anche perché stiamo pieni di tossici». [Luca “'O Zulù” Persico]Spesso, quando scrivo, mi capita di citare la 99 Posse e – ovviamente – Luca Persico, come in questo caso. Probabilmente perché oltre ad essere cresciuto con la loro musica, ho sempre considerato il loro modo di farla un qualcosa che non sia solamente musica (il loro modo come quello di tanti altri, basti pensare anche solo alla biografia artistica dello stesso Zulù), ma come qualcosa di altro, qualcosa che molto spesso è più vicino alla politica che non alla musica propriamente detta. Diciamo che ho imparato di più da “Curre curre guagliò”, da “Stop that train” - ma potrei citare tutta la loro discografia – che non dai comizi di quegli stantii parrucconi che oggi ci infestano i telegiornali (o quel bollettino del Potere che spacciano per “telegiornale”) tentando di convincerci che il loro operato è fatto per il bene del popolo e non per il bene dei gruppi di potere (e circa 20.000 euro al mese).
Voglio però partire proprio da una dichiarazione di uno di questi parrucconi: Maurizio Saia – PdL, tra i fondatori, a suo tempo, di Alleanza Nazionale – si è schierato a favore dell'abolizione di uno dei più grandi tabù della nostra retrograda società: l'uso della cannabis per scopi terapeutici (ha infatti avuto un'esperienza diretta con la moglie del fratello Roberto, medico e chirurgo): «In politica, a volte, ci si dimentica di vivere emotivamente – più che ideologicamente – certe questioni. Io sono stato uno dei quattro che ha votato contro il ddl Calabrò sul testamento biologico e mi rendo conto che a dominare sono ancora i condizionamenti ideologici. In temi come la cannabis terapeutica e il testamento biologico lo Stato non può scegliere al posto del paziente e dei suoi familiari».
Prima di continuare, una precisazione: chi scrive si vanta di essere completamente astemio e di non aver mai fumato (per cui commenti come: “un post scritto da uno che abitualmente fa uso di sostanze stupefacenti” è completamente inutile e lontano dalla realtà. Lo specifico tante volte si trovasse a passare dal blog Giovanardi, la cui dichiarazione della tossicodipendenza come questione genetica rimarrà nei secoli dei secoli).
Parto proprio da questo, dalla tragica esperienza di Stefano Cucchi, Aldo Bianzino e tanti altri per ribadire quella stessa domanda che pone Luca Persico nel commento con cui apro questo post: se il proibizionismo è l'unico strumento di lotta contro le droghe, perché – nonostante siano ormai molti anni che viviamo in società proibizioniste – continuiamo ad essere pieni di tossici?
È evidente, basta guardarsi intorno, che proibire non solo non ha alcun effetto deterrente verso l'uso di queste sostanze – proprio il proibire sviluppa, al contrario, commercializzazioni parallele – ma è altresì estremamente costoso per le casse di uno Stato.
Il nostro paese, notoriamente retrogrado e culturalmente poco evoluto – basti vedere il successo di certi reality show, che a me danno la stessa impressione di chi va a fare un giro allo zoo – nel 2007 si è concesso un piccolo strappo e, con il decreto ministeriale del 18 aprile, ha definito possibile l'uso di sostanze cannabinoidi nella terapia farmacologica per combattere malattie come la sclerosi multipla (dove le medicine tradizionali sembrano non avere alcun effetto). Visto che una concessione totale, però, sarebbe stata da paese troppo civile, si è ben pensato di lasciare questa concessione solo sulla carta, così da lasciare invariate le difficoltà di quei malati ai quali è concesso l'utilizzo di questo tipo di cure. La prima difficoltà che si incontra – per un blocco culturale e mentale sui diritti civili – si ha “alla fonte”, cioè in un personale medico poco informato e che quindi rende impossibile la prescrizione dei cannabinoidi come medicine palliative. Se il personale fosse istruito in merito saprebbe, ad esempio, che gli stessi sono da preferire agli oppioidi – ben più di moda nel mercato farmaceutico – in quanto hanno minori effetti collaterali e minor tasso di mortalità.
Noi non lo capiamo, mentre all'estremo opposto – in Olanda – nel 2003 c'è stata addirittura la creazione di un ufficio del Ministero della Salute che segue la coltivazione e la produzione di cannabis, commercializzandola ed esportandola (il Bureau voor Medicinale Cannabis). Ma d'altronde, in un paese che – grazie alle ingerenze culturali di Santa Romana Chiesa – crede ancora che la preghiera sia il miglior metodo anti-concezionale c'è da aspettarsi anche questo...
Eppure proprio noi, prima che si abbattesse la scure proibizionista, eravamo grandi coltivatori della canapa, tanto da essere il secondo esportatore a livello mondiale. Poi arrivarono gli americani – che la rendevano illegale nel 1937 con il Marijuana Tax Act – e tutto cambiò, perché ovviamente quel che dice Washington diventa legge per l'umanità intera (perché ¼ di essa è sotto il dominio cultural-ideologico imperialista e i restanti ¾ ne subiscono gli effetti).
Il proibizionismo non genera alcun vantaggio, dicevamo. Perché se una cosa è proibita esisterà per forza qualcuno che la desidera – e qui si può fare qualunque esempio di sostanza illecita, lecita o “ex-illecita” (nel XVI e nel XVII secolo sostanze come il caffé e il thè erano considerate sostanze illecite ) - e, come ci insegna l'economia se c'è una domanda qualcuno si adopererà per creare l'offerta che la soddisfi. Essendo però illegale la commercializzazione, gli offerenti – i produttori, o come volete chiamarli – avranno dei costi di produzione decisamente alti (tra spese per la produzione e spese “extra” come gli avvocati per i processi contro chi viene arrestato durante lo smercio della sostanza illecita), quindi non potremo avere tra i produttori piccoli ladri di galline, ma avremo personaggi – od organizzazioni – potenti (come le organizzazioni criminali) le quali, oltre ad essere monopolizzatrici nel settore, potranno offrire un prodotto di qualità non certo eccelsa, tanto essendoci solo quello in commercio i consumatori saranno invogliati ad acquistarlo ugualmente. Lo chiamano “mercato”, che frutta al lato offerta (parliamo del mercato illecito) qualcosa come 400 miliardi di dollari annui, equivalenti al 6% del commercio globale.
Ed a proposito di mercato, commercializzazioni e divieti mi chiedo come mai si porti avanti ormai da decenni la campagna proibizionista contro la cannabis, ma non si applichi lo stesso trattamento a sostanze notoriamente più nocive quali le sigarette, l'alcool o alcuni medicinali (spesso creati – insieme alle malattie che dicono di risolvere – solo per rimpinguare le mai povere tasche delle case farmaceutiche). Che c'entri qualcosa che, almeno nel primo caso (le sigarette) essendo esse monopolio statale, lo Stato non può auto-incriminarsi?
La risposta borghese a questa domanda potrebbe essere che, siccome la legge dice che le sigarette non sono illegali e la cannabis sì, è normale che chi si occupa del mercato della seconda vada a finire in carcere, mentre nel caso del commercio delle sigarette ciò non è logico perché le sigarette sono perfettamente legali. Al che mi chiedo: cosa c'è di più illegale di un soggeto istituzionale – a livello nazionale o sovra-nazionale – che con una mano ti punisce perche ti sei “sballato” (e qui si può allargare il discorso all'alcol, alle droghe pesanti e a tutte le altre sostanze “alteranti la condizione psico-fisica di un individuo”) e con l'altra non solo ti fornisce tutto ciò che ti serve per “sballarti” ma che ti crea attorno una società per la quale hai identità sociale solo se ti “sballi”?
In Italia la coltivazione di cannabis è vietata (artt. 28 e 73 DPR 309/90), ma quello stesso sistema repressivo che incarcera – ed in alcuni casi uccide, come nel caso di Aldo Bianzino – chi viene beccato con le mani su Marianna, permette che sul suo territorio circolino quotidianamente quintali e quintali di sostanze ben più tossiche come l'eroina e la cocaina. Ma si sa che la repressione si fa sempre verso i deboli, e tra un coltivatore di cannabis e l'organizzazione criminale che importa le droghe pesanti la scelta è presto fatta. Per non parlare, poi, di un altro mercato totalmente legale e che è ancor più nocivo del mercato delle droghe pesanti, cioè quello delle armi, per il quale vige la stessa regola: essendo i produttori di armi lobby ben più potenti di un semplice coltivatore di marijuana, la repressione si abbatterà solo su uno dei due...
C'è solo un unico modo per risolvere tutto questo, dunque; un modo che permetterebbe anche di fare uno smacco a quella criminalità organizzata che tanto i nostri cari parrucconi dicono di combattere; un modo che è uguale in Italia come negli Stati Uniti, come in Sud America, come in qualunque parte del mondo, civilizzato e non: legalizzazione!