Avevano programmato il suo omicidio. Parla il sindaco di Gela. La sua candidatura in quota Pd alle europee ha rischiato di saltare. «Quando Cosa nostra vede che il vuoto si crea attorno a te, colpisce. Non va a guardare le sottigliezze tecniche della politica».
Di Pietro Orsatti per Left
Volevano uccidere Rosario Crocetta. Si sapeva da tempo che il sindaco eretico di Gela era obiettivo dei clan per la sua attività politica e istituzionale. E non solo. Il cambiamento che in sei anni ha avviato nella capitale della Stidda è stato epocale. Crocetta ha infatti aperto il capitolo di “alleanze” fra la mafia e l'impresa nella Sicilia occidentale, divenendo il precursore di quel meccanismo che ha portato Confindustria Sicilia ad aprire una fase di taglio netto con processi omertosi se non complici con la criminalità organizzata. Lo rintracciamo telefonicamente alla fine di un pranzo in una trattoria, sosta nei suoi innumerevoli viaggi per l'Isola. Si lamenta di dover applicare una deroga a se stesso per quanto riguarda il fumo nei locali pubblici. «Sono costretto a fumare qui, dentro il ristorante, perché mi è vietato dalla sicurezza farlo all'aperto. Comunque, non c'è più nessuno e nessuno me ne vorrà». Ride, il sindaco della trasformazione, e poi continua «Sono andato al corteo del 25 aprile, come ogni anno. Una bellissima manifestazione di popolo. Ci sono andato nonostante tutto, con la giacca ben aperta per mostrare che non avevo alcun giubbotto antiproiettile sotto». E poi un'altra gar risata. Non è facile fare il sindaco a Gela, terra di alleanza fra “stiddari” e Cosa nostra. Non è facile soprattutto se lo fai, per due mandati, facendo il nome dei mafiosi e dei complici e rivoluzionando regole e convenzioni. Non è facile, soprattutto, se ti chiami Rosario Crocetta e ti rifai alle tradizioni sindacali e politiche della sinistra storica siciliana, quella di Rizzotto e La Torre. Oggi è candidato del Pd alle europee e rappresenta, anche nel partito, un punto di discontinuità nelle tenute dell'apparato. Eretico era, eretico rimane.
Sindaco, da anni vive sotto scorta. Quando sono iniziate le minacce nei suoi confronti, vicenda approdata oggi anche a una serie di arresti all'interno degli affiliati al clan Emanuello?
Immediatamente, già nel 2003, appena ho vinto il ricorso sulle elezioni amministrative. Già quella vicenda delle elezioni era chiara. Avevo perso, faccio il ricorso, e i voti ricompaiono. La prima intimidazione arrivò subito, e io, caso unico per un amministratore fino a quel momento, andai a denunciare quello che era avvenuto. Da quel momento ho iniziato a fare nomi e cognomi pubblicamente e da subito ho iniziato a toccare le regole del Comune e degli appalti pubblici. Togliendo tutto quello che era mafioso dalla macchina del Comune.
Non l'hanno presa bene. Dopo è arrivato il suo intervento sul petrolchimico e il gioco ha iniziato a farsi ancora più pericoloso. In che modo?
Venne da me un imprenditore, una bravissima persona, che era stato minacciato e intimidito perché si facesse portavoce di un messaggio della mafia. Mi raccontò tutto e poi mi comunicò quello che voleva la mafia da me. “Non ti occupare degli appalti al petrolchimico perché si muore”. E io sono andato, ovviamente, a occuparmene, scoprendo che era in gran parte in mano alla mafia e facendo saltare, in particolare, un grosso appalto di 20 milioni l'anno gestito da un boss, poi morto nel 2007 in uno scontro a fuoco con la polizia, Daniele Emanuello. Poi seguì un altro episodio, ancora più nitido, l'8 febbraio del 2008, direttamente collegato agli arresti di questi giorni con l'emersione dello stato di penetrazione dei clan anche nel Nord Italia.
Poi la rielezione
Con più del 60% dei voti. Gela è cambiata, molto. Si sono liberate tante energie, non solo nel mondo economico ma anche e soprattutto nella gente di popolo, nei tanti giovani che hanno deciso di schierarsi attorno e per un progetto.
E alla fine il suo ingresso nel Pd e la prima richiesta di Veltroni di candidarsi. Poi l'intoppo. La candidatura sembrava saltare: ciò ha contribuito a metterla a rischio?
La mafia, quando vede che ti si crea il vuoto attorno, colpisce. Non sarebbe stata la prima volta. Chiariamo una cosa. Io mi sono avvicinato al Pd senza un'idea precisa di un incarico. Probabilmente si rendeva conto del livello di esposizione di rischio. Successivamente sembrava che potesse saltare per ragioni tecniche di incompatibilità relative al regolamento del partito. E' partita una campagna dei miei amici, del tutto spontanea, con migliaia di firme, siti internet, petizioni e appelli. Ma la mafia non va a vedere le “sottigliezze” tecniche della politica. Credo che la leggesse come un “isolamento”mio e del mio progetto. Ma, oggi, con la deroga fatta nel mio caso, il segnale è stato comunque forte e importante. Non credo che ci sia stata una chiusura nei miei confronti sulla candidatura, forse una sottovalutazione all'inizio ma che è subito rientrata grazie a un gruppo dirigente che ha capito sia le potenzialità che i rischi di una mia non presenza in lista.
Per il suo impegno sulla legalità, anche da sinistra è stato accusato di “giustizialismo”?
Cosa significa giustizialismo? Ma non scherziamo. Chi chiede che si rispetti la legge viene liquidato come “giustizialista”. Vorrei ricordare a chi fa queste semplificazioni, da sinistra, che chi si batteva qui in Sicilia per la legalità, subito dopo la liberazione, non erano tanto magistrati e poliziotti ma i braccianti, gli operai, i sindacalisti. Placido Rizzotto, Turiddo Carnevale e Licausi che è stato “sparato” a Villalba. Propri da Villalba, da lì, voglio iniziare la mia campagna elettorale. Perché i simboli contano. E le origini anche. E poi Pio La Torre, mandato letteralmente a morire. Ci siamo liberati dal fascismo ma la liberazione non è stata completa e ora dobbiamo liberarci dalla mafia, che è una forma di oppressione. Io questo impegno, questa storia, le ho dentro.
Il suo impegno contro le mafie proseguirà anche in Europa?
Quando la ordinatissima e tranquillissima Germania si è svegliata una mattina con il massacro di Duisburg è stato chiaro a tutti che ormai il fenomeno mafioso è globalizzato. La mafia occupa spazi, inquina imprese, si trasferisce. Una volta si diceva che “la mafia si sopporta perché comunque con la mafia si lavora”. Ma la mafia ti dissangua e poi investe altrove. Esternalizza pure lei. Un ulteriore abominio della globalizzazione. L'impegno di un progetto, la richiesta della legalità e della trasparenza, la sicurezza sul lavoro e sui diritti. Sono temi che ho portato dentro la mia storia da sindaco. Con alleati importanti, mettendo in relazione non solo strumentale lavoro e impresa. Sono temi che non sono siciliani, gelesi. MA fondamentali anche sul piano nazionale ed europeo. Può essere una bella sfida.
Il partigiano antimafia: Rosario Crocetta
Scritto da
Andrea Intonti
Pubblicato
5/14/2009 09:50:00 AM
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