Il piano anti-rifiuti del neo-sindaco napoletano Luigi De Magistris era partito nel migliore dei modi, almeno nelle intenzioni. La realtà, infatti, si è dimostrata ben diversa, ed oggi il sindaco - in attesa di avere una città completamente "verde" - rischia di doversi rivolgere agli stessi operatori che da tempo gestiscono la "miniera d'oro" dei rifiuti: la criminalità organizzata. |
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Monica Biancardi La Madonna della Monnezza, 2008 |
Napoli – Era partita nel migliore dei modi la carriera di Luigi De Magistris come sindaco di Napoli: «In quattro, cinque giorni la città e la provincia di Napoli saranno liberate dalla spazzatura». Ma come spesso capita, la realtà si è dimostrata ben diversa dalle intenzioni disegnate da proclami e conferenze stampa, ed oggi – a quasi due mesi di distanza – l'immondizia rimane esattamente là, dov'era ai tempi di Rosa Russo Iervolino. Se il nuovo sindaco abbia fatto il passo più lungo della gamba o sia stata opera di un “sabotaggio” [1] rimarrà probabilmente questione irrisolta, anche perché, nel frattempo, la soluzione definitiva – stando alla conferenza stampa tenutasi nei giorni scorsi [2] - sembra essere stata trovata. La parola magica è “delocalizzare”, cioè – semplicemente – spostare la monnezza da Napoli, almeno finché non sarà perfezionata la raccolta porta a porta. Nel frattempo, dunque, bisogna trovare dei siti disposti ad accollarsi le tonnellate di spazzatura che caratterizzano fin dal 1994 le cartoline partenopee. Niente di nuovo, si potrebbe affermare. Perché quello di spedire i rifiuti lontano dai luoghi in cui vengono prodotti – che sia in altre regioni, come a breve vedremo, o all'estero – è una consuetudine ormai decennale delle amministrazioni italiane. Una consuetudine che viene conosciuta per la prima volta proprio nel 1994, quando i rifiuti prendono la via del Corno d'Africa.
Somalia, cooperazione&munnezza. I patti, in quello che per tanti versi rimane un anno cruciale per il nostro paese, erano chiari: i somali si prendevano un (bel) po' dei nostri rifiuti (in particolare quelli tossici) in cambio gli vendevamo un po' di armi per continuare la guerra civile che dalla caduta del regime socialista di Siad Barre ne ha contraddistinto lunghi anni. Era di questo che si stavano occupando Ilaria Alpi e Miran Hrovatin quando furono uccisi ed era forse proprio di questi “intrecci diplomatici” che avrebbe dovuto parlare in un servizio che – come ricorda Luciano Scalettari (che, insieme a Maurizio Torrealta, è il giornalista che più di tutti si è interessato al caso) in un'intervista per “Chiarelettere”[3] - sarebbe dovuto andare in onda nell'edizione delle 19 del Tg3 del 20 marzo 1994, lo stesso giorno in cui i due vengono uccisi da mano somala e decisione italiana, come testimonierebbe anche l'assassinio – per alcuni presunto – di Vincenzo Li Causi, che oltre ad essere l'uomo di Gladio in terra somala rappresentava, si dice, anche la principale fonte di Ilaria Alpi per quanto concernente il traffico di rifiuti tossici e nucleari tra Italia e Somalia.