Catania – In questi ultimi giorni la Sicilia è attraversata dalla rivolta del Movimento dei Forconi, attaccato da più parti per essere stato infiltrato dai movimenti di destra – in primis Forza Nuova – e da Cosa nostra, che nel frattempo si è fatta sentire in altri modi.
Due giorni fa a Linguaglossa - nel catanese - Rosario Puglia, imprenditore vitivinicolo entrato nel mirino della mafia nel 2008, quando cioè ha denunciato per la prima volta i tentativi di estorsione si è ritrovato in azienda una testa d'agnello, un coniglio sventrato e la scritta «Cornuto morte». La denuncia più importante, però, Puglia la fa verso le istituzioni, accusate di averlo abbandonato (come tante volte, purtroppo, capita). L'intimidazione, probabilmente, arriva come risposta al rinvio a giudizio dei suoi presunti estorsori – Giovanni D'Urso, Salvatore Arrabito, Mario La Spina e Giuseppe Marzà – da parte del giudice per le udienze preliminare Laura Benanti.
Lo scorso 14 gennaio – quando i “forconi” erano conosciuti solo nell'isola – in corso Domenico Scinà, quartiere Borgo Vecchio, a pochi passi dal porto di Palermo si registrava l'esplosione di due bombe artigianali (realizzate con candelotti e bombole di gas da campeggio) poste davanti ad una palazzina sequestrata a Cosa nostra e nella quale abita un pregiudicato.
Agli inizi di gennaio, invece, il corpo dell'imprenditore Piero Di Francesco veniva trovato carbonizzato all'interno della sua automobile, parcheggiata nel piazzale antistante la sua azienda di smaltimento rifiuti. Sul luogo è stata rinvenuta anche una tanica di benzina non completamente piena ma con il tappo perfettamente avvitato. In questo caso non è detto che l'omicidio – l'autopsia ha infatti accertato che Di Francesco è stato colpito alla testa prima di morire – sia legato a dinamiche con Cosa nostra, anche se il messaggio (in particolare quella tanica di benzina) ed il fatto che l'imprenditore si occupasse di smaltimento rifiuti (uno dei business più appetibili per la criminalità organizzata) sono quanto meno due indizi di cui tener conto.
Che le eventuali infiltrazioni mafiose tra i “forconi” debbano essere tenute d'occhio e, nel caso, bloccate sul nascere è forse più di un atto dovuto - come evidenziava ieri il procuratore di Palermo Francesco Messineo[1] - anche alla luce di quanto denunciato in questi giorni a Lentini, nel siracusano, dove i commercianti hanno parlato di vere e proprie “squadracce” che intimavano la chiusura dei negozi e la “volontaria” adesione allo sciopero.
Il rischio è, però, che mentre una parte del paese e dell'antimafia siciliana gridano “al lupo” - o, nello specifico “ai forconi” - Cosa nostra possa fare il proprio comodo da altre parti (come nella metropolitana di Palermo, ad esempio[2]) senza che nessuno, o quasi, se ne accorga.
Due giorni fa a Linguaglossa - nel catanese - Rosario Puglia, imprenditore vitivinicolo entrato nel mirino della mafia nel 2008, quando cioè ha denunciato per la prima volta i tentativi di estorsione si è ritrovato in azienda una testa d'agnello, un coniglio sventrato e la scritta «Cornuto morte». La denuncia più importante, però, Puglia la fa verso le istituzioni, accusate di averlo abbandonato (come tante volte, purtroppo, capita). L'intimidazione, probabilmente, arriva come risposta al rinvio a giudizio dei suoi presunti estorsori – Giovanni D'Urso, Salvatore Arrabito, Mario La Spina e Giuseppe Marzà – da parte del giudice per le udienze preliminare Laura Benanti.
Lo scorso 14 gennaio – quando i “forconi” erano conosciuti solo nell'isola – in corso Domenico Scinà, quartiere Borgo Vecchio, a pochi passi dal porto di Palermo si registrava l'esplosione di due bombe artigianali (realizzate con candelotti e bombole di gas da campeggio) poste davanti ad una palazzina sequestrata a Cosa nostra e nella quale abita un pregiudicato.
Agli inizi di gennaio, invece, il corpo dell'imprenditore Piero Di Francesco veniva trovato carbonizzato all'interno della sua automobile, parcheggiata nel piazzale antistante la sua azienda di smaltimento rifiuti. Sul luogo è stata rinvenuta anche una tanica di benzina non completamente piena ma con il tappo perfettamente avvitato. In questo caso non è detto che l'omicidio – l'autopsia ha infatti accertato che Di Francesco è stato colpito alla testa prima di morire – sia legato a dinamiche con Cosa nostra, anche se il messaggio (in particolare quella tanica di benzina) ed il fatto che l'imprenditore si occupasse di smaltimento rifiuti (uno dei business più appetibili per la criminalità organizzata) sono quanto meno due indizi di cui tener conto.
Che le eventuali infiltrazioni mafiose tra i “forconi” debbano essere tenute d'occhio e, nel caso, bloccate sul nascere è forse più di un atto dovuto - come evidenziava ieri il procuratore di Palermo Francesco Messineo[1] - anche alla luce di quanto denunciato in questi giorni a Lentini, nel siracusano, dove i commercianti hanno parlato di vere e proprie “squadracce” che intimavano la chiusura dei negozi e la “volontaria” adesione allo sciopero.
Il rischio è, però, che mentre una parte del paese e dell'antimafia siciliana gridano “al lupo” - o, nello specifico “ai forconi” - Cosa nostra possa fare il proprio comodo da altre parti (come nella metropolitana di Palermo, ad esempio[2]) senza che nessuno, o quasi, se ne accorga.
Note |
[2] http://senorbabylon.blogspot.com/2012/01/metropolitana-di-palermo-silurato-il.html