foto: livesicilia.it |
Campobello di Mazara (Trapani) – A seguito delle risultanze dell'operazione denominata “Sisma”[1], il Consiglio dei ministri nella seduta tenutasi venerdì ha deciso di sciogliere per infiltrazione mafiosa i comuni di Misilmeri (Palermo) e Campobello di Mazara (Trapani), affidandone la gestione amministrativa a commissioni straordinarie che svolgeranno i compiti destinati al Consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco fino all'insediamento dei nuovi organi ordinari.
L'operazione portò lo scorso 17 aprile all'arresto di quattro persone, tra cui Francesco Lo Gerfo, considerato il capo del mandamento di cosa nostra di Misilmeri, l'allora Presidente del Consiglio Comunale Giuseppe Cimò e Vincenzo Ganci, candidato sindaco per la lista “Amo Palermo” che sosteneva la candidatura di Marianna Caronia. Antonino Messicati Vitale, boss di Villabate, è ancora latitante. Secondo gli investigatori, Lo Gerfo esercitava «con l'indispensabile ausilio di Vincenzo Ganci, il controllo sul Comune di Misilmeri e, dunque, a piegare l'amministrazione comunale agli interessi della consorteria mafiosa» come quelli relativi al settore edile, dove alcune palazzine sarebbero state costruite su terreni diventati edificabili in ottemperanza al volere mafioso. Concessioni bloccate dall'assessorato regionale al Territorio.
Oltre al sindaco, Piero D'Aì un avviso di garanzia è arrivato anche a Giampiero Marchese, ex vicepresidente del Consiglio comunale. Per entrambi il reato ipotizzato è quello di concorso esterno in associazione mafiosa.
Dopo quelli del 1992 e del 2003, per Misilmeri questo è il terzo scioglimento per infiltrazione mafiosa. Un dato su cui, evidentemente, bisognerà iniziare a riflettere.
Per il Comune di Campobello di Mazara – rientrante nel territorio di Matteo Messina Denaro – l'indagine che ha portato allo scioglimento risale allo scorso dicembre, quando tra le undici persone arrestate c'era anche il sindaco del Partito Democratico Ciro Caravà, sindaco che aveva fatto della lotta alla mafia un marchio di fabbrica, organizzando fiaccolate in ricordo delle vittime e, soprattutto, facendo costituire il comune da lui amministrato come parte civile nei processi contro Messina Denaro, nonostante sia ora considerato vera e propria espressione politica del boss, che esercitava la propria influenza sul territorio di Campobello di Mazara attraverso Francesco Luppino, prima che questi venisse arrestato.
In entrambi i casi è interessante notare – riprendendo quanto scrive Dario De Luca su Sudpress[2] - che sia D'Aì che Caravà sono stati immediatamente scaricati dai propri partiti di appartenenza, cioè l'Unione di Centro ed il Partito Democratico, che in note ufficiali hanno evidenziato come nessuno dei due appartenesse ai due partiti di riferimento, nonostante i fatti raccontino un'altra storia, con Caravà che addirittura era candidato alle elezioni regionali nella lista di Anna Finocchiaro.
L'operazione portò lo scorso 17 aprile all'arresto di quattro persone, tra cui Francesco Lo Gerfo, considerato il capo del mandamento di cosa nostra di Misilmeri, l'allora Presidente del Consiglio Comunale Giuseppe Cimò e Vincenzo Ganci, candidato sindaco per la lista “Amo Palermo” che sosteneva la candidatura di Marianna Caronia. Antonino Messicati Vitale, boss di Villabate, è ancora latitante. Secondo gli investigatori, Lo Gerfo esercitava «con l'indispensabile ausilio di Vincenzo Ganci, il controllo sul Comune di Misilmeri e, dunque, a piegare l'amministrazione comunale agli interessi della consorteria mafiosa» come quelli relativi al settore edile, dove alcune palazzine sarebbero state costruite su terreni diventati edificabili in ottemperanza al volere mafioso. Concessioni bloccate dall'assessorato regionale al Territorio.
Oltre al sindaco, Piero D'Aì un avviso di garanzia è arrivato anche a Giampiero Marchese, ex vicepresidente del Consiglio comunale. Per entrambi il reato ipotizzato è quello di concorso esterno in associazione mafiosa.
Dopo quelli del 1992 e del 2003, per Misilmeri questo è il terzo scioglimento per infiltrazione mafiosa. Un dato su cui, evidentemente, bisognerà iniziare a riflettere.
Per il Comune di Campobello di Mazara – rientrante nel territorio di Matteo Messina Denaro – l'indagine che ha portato allo scioglimento risale allo scorso dicembre, quando tra le undici persone arrestate c'era anche il sindaco del Partito Democratico Ciro Caravà, sindaco che aveva fatto della lotta alla mafia un marchio di fabbrica, organizzando fiaccolate in ricordo delle vittime e, soprattutto, facendo costituire il comune da lui amministrato come parte civile nei processi contro Messina Denaro, nonostante sia ora considerato vera e propria espressione politica del boss, che esercitava la propria influenza sul territorio di Campobello di Mazara attraverso Francesco Luppino, prima che questi venisse arrestato.
In entrambi i casi è interessante notare – riprendendo quanto scrive Dario De Luca su Sudpress[2] - che sia D'Aì che Caravà sono stati immediatamente scaricati dai propri partiti di appartenenza, cioè l'Unione di Centro ed il Partito Democratico, che in note ufficiali hanno evidenziato come nessuno dei due appartenesse ai due partiti di riferimento, nonostante i fatti raccontino un'altra storia, con Caravà che addirittura era candidato alle elezioni regionali nella lista di Anna Finocchiaro.
Note |
[2] I comuni di Misilmeri e Campobello di Mazara sciolti per mafia di Dario De Luca, Sudpress, 27 luglio 2012