foto: femminileplurale.wordpress.com |
Spoleto, 17 giugno 2012 – Il nostro paese è in crisi. Non solo – e non tanto – con la ben nota crisi economica dalla quale il governo dei professori sembra voglia farci uscire applicando i dettami della Scuola di Chicago (vedasi alla voce: Argentina 2001) ma anche e soprattutto da un punto di vista sociale, etico.
Una delle battaglie più importanti, in Italia come nel resto dell'Europa, si combatte da tempo sulla possibilità che le donne hanno di poter scegliere di abortire, un diritto – sacrosanto – che in Italia venne conquistato con una forte battaglia referendaria nel 1978 mediante il quale è stata introdotta nel nostro ordinamento la legge 194, quella stessa legge che tra tre giorni potrebbe essere definitivamente espulsa dal nostro ordinamento giuridico.
Il prossimo 20 giugno, infatti, la Corte Costituzionale è chiamata ad esaminare la costituzionalità di questa legge (dopo trentaquattro anni dovrebbe essere questione già chiusa da un pezzo, comunque) dopo essere stata interpellata da un giudice di Spoleto che doveva dirimere il delicatissimo caso della richiesta di interruzione di gravidanza da parte di una minorenne. Il giudice ha infatti confrontato la legge 194/78 con alcune indicazioni provenienti dalla Corte Europea, in quanto la prima potrebbe ledere il diritto alla vita dell'embrione, «in quanto uomo in fieri», violando gli articoli 2 e 32 – che rispettivamente riguardano i diritti inviolabili dell'uomo e la tutela della salute – della nostra carta costituzionale. Tale problema deriva da una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea, che il 18 ottobre dello scorso anno ha riconosciuto l'embrione umano «quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto», provocando così un ampio sorriso sulle bocche di alti esponenti del Vaticano e degli appartenenti ai movimenti pro-life europei.
Qualora la Corte decidesse per la incostituzionalità della 194 – che ci ha portato peraltro ad essere uno degli ultimi paesi europei per numero di aborti - quello che avverrà è già noto, dato che torneremmo esattamente all'epoca in cui questa legge non esisteva e nella quale chi aveva i soldi necessari andava ad abortire in lussuose cliniche estere, per le altre rimanevano solo i ferri da calza delle mammane o i maldestri tentativi di auto-aborto.
Questo ennesimo attacco alla legge 194/78 è comunque da leggersi nel più ampio attacco all'autodeterminazione delle donne, già fortemente minata dalla legge 40 sulla procreazione assistita, «che legalizza una serie di ingerenze sui corpi delle donne e sulle loro scelte genitoriali con effetti devastanti tra l'altro sulle coppie che desiderano figli»
come scrivono da Femminismo a Sud, dal tentativo – principalmente nel Lazio ed in Piemonte – di affidare i consultori a personale appartenente al Movimento per la Vita (di fatto una delle denominazioni di un certo tipo di “talebanismo filo-vaticano”) tagliando nel frattempo i fondi destinati a questi luoghi e, soprattutto, con l'obiezione di coscienza anti-abortista, che secondo il Ministero della Salute vede coinvolti sette medici su dieci mentre i cattolici praticanti – come faceva notare Loredana Lipperini in un post ripreso da moltissimi blog[1] - secondo i dati Eurispes 2006, sono il 36,8%, laddove questa percentuale bulgara dovrebbe essere rivista al netto di quei medici che fanno gli anti-abortisti nelle strutture pubbliche anche a fini carrieristici, ma che in ben altro modo si comportano quando esercitano anche in strutture private, come alcune inchieste giornalistiche hanno dimostrato in passato.
La rete, intanto, si mobilità. #save194 è l'hashtag da usare su Twitter (dove c'è chi fa notare che sarebbe forse il caso di parlare di “apply” più che di “save”) nell'attesa di capire se da giovedì prossimo oltre che economica la recessione italiana sarà anche etica. Tutte le speranze affinché ciò non avvenga sono riposte nel giudice Mario Rosario Morelli, relatore del procedimento davanti alla Corte Costituzionale, che nel suo curriculum può vantare quella che è stata definita «una delle sentenze più illuminate ed importanti degli ultimi anni», quella cioè che nel 2008 decise finalmente di staccare le macchine che tenevano artificiosamente in vita Eluana Englaro.
Quello che non va dimenticato, però, è che l'autodeterminazione delle donne non deve essere difesa solo da illuminati uomini di legge, ma deve continuare ad essere prima di tutto una battaglia civile, perché a tutte e tutti – che si tratti di aborto o di altro – deve essere data la possibilità di poter scegliere, rispettando la propria volontà.
Una delle battaglie più importanti, in Italia come nel resto dell'Europa, si combatte da tempo sulla possibilità che le donne hanno di poter scegliere di abortire, un diritto – sacrosanto – che in Italia venne conquistato con una forte battaglia referendaria nel 1978 mediante il quale è stata introdotta nel nostro ordinamento la legge 194, quella stessa legge che tra tre giorni potrebbe essere definitivamente espulsa dal nostro ordinamento giuridico.
Il prossimo 20 giugno, infatti, la Corte Costituzionale è chiamata ad esaminare la costituzionalità di questa legge (dopo trentaquattro anni dovrebbe essere questione già chiusa da un pezzo, comunque) dopo essere stata interpellata da un giudice di Spoleto che doveva dirimere il delicatissimo caso della richiesta di interruzione di gravidanza da parte di una minorenne. Il giudice ha infatti confrontato la legge 194/78 con alcune indicazioni provenienti dalla Corte Europea, in quanto la prima potrebbe ledere il diritto alla vita dell'embrione, «in quanto uomo in fieri», violando gli articoli 2 e 32 – che rispettivamente riguardano i diritti inviolabili dell'uomo e la tutela della salute – della nostra carta costituzionale. Tale problema deriva da una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea, che il 18 ottobre dello scorso anno ha riconosciuto l'embrione umano «quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto», provocando così un ampio sorriso sulle bocche di alti esponenti del Vaticano e degli appartenenti ai movimenti pro-life europei.
Qualora la Corte decidesse per la incostituzionalità della 194 – che ci ha portato peraltro ad essere uno degli ultimi paesi europei per numero di aborti - quello che avverrà è già noto, dato che torneremmo esattamente all'epoca in cui questa legge non esisteva e nella quale chi aveva i soldi necessari andava ad abortire in lussuose cliniche estere, per le altre rimanevano solo i ferri da calza delle mammane o i maldestri tentativi di auto-aborto.
Questo ennesimo attacco alla legge 194/78 è comunque da leggersi nel più ampio attacco all'autodeterminazione delle donne, già fortemente minata dalla legge 40 sulla procreazione assistita, «che legalizza una serie di ingerenze sui corpi delle donne e sulle loro scelte genitoriali con effetti devastanti tra l'altro sulle coppie che desiderano figli»
come scrivono da Femminismo a Sud, dal tentativo – principalmente nel Lazio ed in Piemonte – di affidare i consultori a personale appartenente al Movimento per la Vita (di fatto una delle denominazioni di un certo tipo di “talebanismo filo-vaticano”) tagliando nel frattempo i fondi destinati a questi luoghi e, soprattutto, con l'obiezione di coscienza anti-abortista, che secondo il Ministero della Salute vede coinvolti sette medici su dieci mentre i cattolici praticanti – come faceva notare Loredana Lipperini in un post ripreso da moltissimi blog[1] - secondo i dati Eurispes 2006, sono il 36,8%, laddove questa percentuale bulgara dovrebbe essere rivista al netto di quei medici che fanno gli anti-abortisti nelle strutture pubbliche anche a fini carrieristici, ma che in ben altro modo si comportano quando esercitano anche in strutture private, come alcune inchieste giornalistiche hanno dimostrato in passato.
La rete, intanto, si mobilità. #save194 è l'hashtag da usare su Twitter (dove c'è chi fa notare che sarebbe forse il caso di parlare di “apply” più che di “save”) nell'attesa di capire se da giovedì prossimo oltre che economica la recessione italiana sarà anche etica. Tutte le speranze affinché ciò non avvenga sono riposte nel giudice Mario Rosario Morelli, relatore del procedimento davanti alla Corte Costituzionale, che nel suo curriculum può vantare quella che è stata definita «una delle sentenze più illuminate ed importanti degli ultimi anni», quella cioè che nel 2008 decise finalmente di staccare le macchine che tenevano artificiosamente in vita Eluana Englaro.
Quello che non va dimenticato, però, è che l'autodeterminazione delle donne non deve essere difesa solo da illuminati uomini di legge, ma deve continuare ad essere prima di tutto una battaglia civile, perché a tutte e tutti – che si tratti di aborto o di altro – deve essere data la possibilità di poter scegliere, rispettando la propria volontà.
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