Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), 10 marzo 2012 – Nei mesi di giugno e luglio dello scorso anno, una serie di arresti di boss, affiliati e fiancheggiatori aveva apportato seri danni a Cosa Nostra barcellonese. Iniziavano così le operazioni “Gotha” e “Pozzo 2”, considerate le più importanti operazioni antimafia compiute nel messinese negli ultimi anni.
Nei giorni scorsi Angelo Cavallo, Fabio D'Anna, Vito Di Giorgio e Giuseppe Verzera, sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia hanno chiuso le indagini, facendole confluire in un unico procedimento che coinvolge trentuno indagati – i ventinove arrestati del blitz più due indagati a piede libero - per associazione mafiosa finalizzata ad omicidi, occultamento di cadaveri, estorsioni, detenzione di armi, minacce e danneggiamento.
Con le operazioni di giugno il Reparto operativo speciale (Ros) dei carabinieri aveva di fatto smantellato la famiglia mafiosa barcellonese – la più potente di Messina ed unica a poter intessere rapporti con le famiglie di Palermo, al cui vertice era arrivato il boss Tindaro Calabrese, dopo la “promozione” di Salvatore Lo Piccolo a capo delle famiglie palermitane – e sequestrato beni per un valore di circa 150 milioni di euro, colpendo così anche la “costola” di Mazzarrà Sant'Andrea e dando il via ad una vera e propria esondazione di pentiti, in particolare da parte del boss dei “mazzarroti” Carmelo Bisognano e di Alfio Giuseppe Castro, ritenuto il referente messinese delle famiglie di Catania, le cui rivelazioni hanno permesso di ricostruire sia l'organigramma militare che quello economico-finanziario della famiglia, retto dal pregiudicato Carmelo D'Amico e per il quale è stata accertata l'esistenza di un cartello di imprese che in questi anni è riuscito a mettere le mani sul raddoppio del tratto ferroviario Messina-Patti, il tratto del metanodotto San Pietro Clarenza-San Giovanni La Punta, la riqualificazione di una parte del lungomare di Milazzo o la realizzazione di alcune strade ad Oliveri attraverso il sistematico utilizzo della turbativa d'asta finalizzato al controllo degli appalti pubblici, che ha portato all'arresto ed alla confisca dei beni per gli imprenditori Giuseppe Isgrò, Giovanni Rao, Filippo Barresi, Salvatore “Sem” Di Salvo, Mario Aquilia e Francesco Scirocco. Questi ultimi due avrebbero peraltro utilizzato operazioni di sovrafatturazione e contabilizzazione di operazioni inesistenti per giustificare il pizzo richiesto agli altri imprenditori.
Bisognano e Santo Gullo, collaboratore del boss entrato a far parte anche lui della lunga schiera di “pentiti” barcellonesi, hanno poi raccontato dell'esistenza di un vero e proprio “cimitero mafioso“ a Mazzarrà Sant'Andrea, nel quale furono seppelliti alcuni degli scomparsi durante la guerra di mafia degli anni Novanta.
Nei giorni scorsi Angelo Cavallo, Fabio D'Anna, Vito Di Giorgio e Giuseppe Verzera, sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia hanno chiuso le indagini, facendole confluire in un unico procedimento che coinvolge trentuno indagati – i ventinove arrestati del blitz più due indagati a piede libero - per associazione mafiosa finalizzata ad omicidi, occultamento di cadaveri, estorsioni, detenzione di armi, minacce e danneggiamento.
Con le operazioni di giugno il Reparto operativo speciale (Ros) dei carabinieri aveva di fatto smantellato la famiglia mafiosa barcellonese – la più potente di Messina ed unica a poter intessere rapporti con le famiglie di Palermo, al cui vertice era arrivato il boss Tindaro Calabrese, dopo la “promozione” di Salvatore Lo Piccolo a capo delle famiglie palermitane – e sequestrato beni per un valore di circa 150 milioni di euro, colpendo così anche la “costola” di Mazzarrà Sant'Andrea e dando il via ad una vera e propria esondazione di pentiti, in particolare da parte del boss dei “mazzarroti” Carmelo Bisognano e di Alfio Giuseppe Castro, ritenuto il referente messinese delle famiglie di Catania, le cui rivelazioni hanno permesso di ricostruire sia l'organigramma militare che quello economico-finanziario della famiglia, retto dal pregiudicato Carmelo D'Amico e per il quale è stata accertata l'esistenza di un cartello di imprese che in questi anni è riuscito a mettere le mani sul raddoppio del tratto ferroviario Messina-Patti, il tratto del metanodotto San Pietro Clarenza-San Giovanni La Punta, la riqualificazione di una parte del lungomare di Milazzo o la realizzazione di alcune strade ad Oliveri attraverso il sistematico utilizzo della turbativa d'asta finalizzato al controllo degli appalti pubblici, che ha portato all'arresto ed alla confisca dei beni per gli imprenditori Giuseppe Isgrò, Giovanni Rao, Filippo Barresi, Salvatore “Sem” Di Salvo, Mario Aquilia e Francesco Scirocco. Questi ultimi due avrebbero peraltro utilizzato operazioni di sovrafatturazione e contabilizzazione di operazioni inesistenti per giustificare il pizzo richiesto agli altri imprenditori.
Bisognano e Santo Gullo, collaboratore del boss entrato a far parte anche lui della lunga schiera di “pentiti” barcellonesi, hanno poi raccontato dell'esistenza di un vero e proprio “cimitero mafioso“ a Mazzarrà Sant'Andrea, nel quale furono seppelliti alcuni degli scomparsi durante la guerra di mafia degli anni Novanta.