Questo articolo è comparso su Newsweek con il titolo "The Jihadi High School" il 2 maggio 2011. La firma è di Ron Moreau |
Il giovane afghano odia la sua nuova scuola nella città pakistana di Peshawar. «I miei compagni di classe parlano solo di ragazze e film» si lamenta.
Un alto, magro diciassettenne con la barba appena accennata che provava nostalgia per la vecchia scuola che frequentava a poche miglia di distanza nel campo profughi afghano conosciuto come Shamshatoo.
Suo padre lo ha tirato fuori da lì lo scorso autunno, dopo aver tardivamente scoperto che la scuola era effettivamente un centro di reclutamento degli insorti. Chiedendo di essere chiamato Wahid Khan, il ragazzo ricorda con piacere le assemblee del mattino in cui gli insegnanti lodavano la bellezza della jihad e raccontavano la lunga storia di resistenza dell'Afghanistan agli occupanti stranieri. Lui ricorda i messaggi scarabocchiati sulla lavagna delle classi superiori: “Per unirsi alla Jihad, l'Ordine di Allah Onnipotente, chiama questo numero” e “Quelli che vogliono ripagare il debito con Dio, prendano questo numero”.
Quando finì la scuola lo scorso giugno il ragazzo ha colto al volo l'invito ed ha trascorso gran parte dell'estate in un campo di addestramento degli insorti in Afghanistan. Aveva appena finito la classe decima. Suo padre, un ex insegnante di Kabul, si batte per dar da mangiare alla propria famiglia con non più di cento dollari al mese, facendo un lavoro massacrante in un forno vicino Peshawar. Vuol dare a suo figlio una vita migliore. Ma il ragazzo ha altre idee. Non appena quest'anno scolastico finirà sta progettando di tornare in Afghanistan per completare l'addestramento per la guerra contro gli americani. «I miei genitori vivono solo per sopravvivere» dice. «Il mio obiettivo è una vita onorabile agli occhi di Dio – e questo significa jihad».
Centinaia di ragazzi come Khan si sono uniti agli insorti di Shamshatoo negli ultimi anni, e con il ritorno della primavera, forze fresche sono pronte ad attraversare ancora una volta il confine con il Pakistan. «La ragione per cui Dio ha portato la nostra famiglia a Shamshatoo era che voleva che diventassi uno jihaidista», dice un altro residente del campo, un ventenne dai capelli selvaggi e le spalle larghe che si fa chiamare Waliullah. Aveva l'abitudine di scrivere appassionate poesie d'amore, ed il suo sogno era quello di ottenere un master in letteratura Pashto. Ma la sua famiglia si è trasferita a Shamshatoo cinque anni fa, quando lui aveva quindici anni, ed ora si sta preparando per partire per la sua terza estate di combattimenti contro gli americani in Afghanistan.
Ci sono circa ottanta campi profughi lungo la frontiera ovest del Pakistan, ma Shamshatoo è diverso da tutti gli altri. È amministrato e sorvegliato dai rifugiati che abitano lì piuttosto che dal governo pakistano – ed opera sotto l'egida del noto signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar. Il campo è suo dominio incontrastato sin dai primi anni Ottanta, quando era uno dei leader della lotta antisovietica ed uno dei favoriti dei dirigenti dell'Inter-Services Intelligence (ISI) pakistana. Dalla roccaforte situata da qualche parte lungo il confine, adesso comanda la sua guerriglia antiamericana, distaccata ma occasionalmente alleata con i talebani ed il network degli Haqqani.
Ma gli amici dell'ISI di Hemkatyar lo sostengono, e la sua parola rimane legge a Shamshatoo. Negli ultimi tre decenni il campo è diventato una piccola città di circa 64.000 abitanti, con moschee, madrasse, scuole superiori, un'università, un ospedale ed anche due giornali – che riflettono la linea islamista di Hekmatyar. A differenza di molti dei suoi partner talebani, egli sostiene l'educazione per le ragazza. Tuttavia alle donne che vivono nel campo è richiesto di indossare il burqa ed è fatto loro divieto di uscire di casa se non accompagnate da un parente maschio. Ascoltare la musica in pubblico – anche la suoneria di un cellulare – è vietato, così come le antenne paraboliche. E nessuno è al sicuro dagli informatori e dal servizio di sorveglianza.«Non puoi dire niente contro Hekmatyar o contro il suo distruttivo gioco in Afghanistan», dice un ex residente. «I suoi uomini sono ovunque». L'uomo ha trasferito la sua famiglia a Peshawar due anni fa, per il timore che se fossero rimasti a Shamshatoo i suoi due figli potessero essere reclutati. «Ero preoccupato che avessero potuto fargli il lavaggio del cervello e che scomparissero» dice.
Questo è un rischio costante a Shamshatoo. Le famiglie dei rifugiati sono attratte dalle sue scuole, dalle sue strutture mediche e dall'assenza di crimine, ma i loro impressionabili figli sono soggetti al quotidiano bombardamento del messaggio jihaidista nelle scuole, nelle moschee, in video, nei media locali e in strada. Anche se le nuove reclute sono tenute al segreto, quando tornano a casa ognuno di loro sembra diventare una recluta non ufficiale, semplicemente per le storie di guerra che racconta (chi ha parlato con Newsweek ha chiesto che non usassimo i loro veri nomi, abbiamo imparato a conoscere gli altri parlando con i loro genitori, che hanno chiesto di rimanere anonimi per ragioni di sicurezza). Quest'anno Waliullah tornerà dall'Afghanistan con altre tre o quattro poesie, nella speranza che gli scritti dal campo di battaglia possano ispirare altri giovani afghani ad unirsi alla guerra contro gli americani.
Alcune reclute non hanno bisogno di essere incoraggiate: per loro è una via di fuga da Shamshatoo. Abdullah, venti anni, non vuole parlare con Newsweek, ma la sua famiglia condivide la casa con la famiglia di suo cugino trentacinquenne. Nel 2009 Abdullah ha fatto domanda per entrare in un corso di ingegneria all'Università di Kabul – ma è stato rifiutato. La scorsa estate è improvvisamente svanito senza dire una parola a nessuno. È tornato a casa quattro mesi dopo incredibilmente magro, con i capelli lunghi ed una folta barba. Ora passa tutto il tempo seduto, raccontando la sua esperienza con i combattenti di Hekmatyar in Afghanistan.
Il cugino è preoccupato che suo figlio diciottenne possa allontanarsi per andare in guerra, ma c'è poco che possa fare al riguardo. «Se le nostre famiglie non dipendessero l'una dall'altra, avremmo già lasciato Shamshatoo» dice il cugino. «Ci sono moltissimi ragazzi scomparsi».
I reclutatori di Hekmatyar possono essere spaventosamente convincenti. Un ingegnere afghano con un progetto dell'USAID (United States Agency for International Development, ndt) a Kabul recentemente ha salvato suo nipote di quindici anni da Shamshatoo. Il ragazzo si era iscritto ad una madrassa nel campo, e la sua condotta era cambiata radicalmente. Parlava ai suoi genitori delle donne molestate dagli infedeli. Ha gettato nell'immondizia la televisione dicendo che era haram – proibito – e castigato sua madre e le sue sorelle per aver avuto il coraggio di ridere mentre la gente afghana soffre. «Era plagiato» dice l'ingegnere. «I mullah aspettavano l'occasione giusta per mandarlo a combattere in Afghanistan».
In preda alla disperazione, alla fine la famiglia ha deciso di mandarlo da uno zio a Kabul. Il ragazzo si rifiuta ancora di parlare del suo periodo nella madrassa, dice l'ingegnere, ma ultimamente è diventato un ragazzo nuovo, apprende velocemente, guarda la televisione afghana (principalmente soap opera) e ride di gusto. «è molto giovane, quindi è facile per lui cambiare» dice l'ingegnere. «Io credo sia più felice qui che a Shamshatoo».
Uno dei figli di Hekmatyar lamenta i metodi aggressivi di reclutamento degli scolari di Shamshatoo.«C'è uno scontro in atto tra che vogliono che i giovani combattano ed altri (come me) che i giovani studino, abbiano la mente aperta e facciano le loro proprie scelte», dice Jamaluddin Hekmatyar, educato in Europa. Supporta la guerra di suo padre, pensa solo che i bambini non debbano combattere. Suo padre è evidentemente di parere diverso. Uno dei suoi nipoti più vecchi era nel gruppo di quattro uomini armati uccisi in combattimento la scorsa settimana nella provincia di Wardak, a sudovest di Kabul. Il ragazzo frequentava la classe ottava a Shamshatoo. E resta il fatto che i ragazzi di Shamshatoo godono di una maggiore libertà rispetto ai ragazzi in Waziristan, zona controllata dal clan Haqqani.
I ragazzi qui non hanno scelta: o si arruolano o vengono banditi – o peggio.
Il lavoro dei reclutatori di Hekmatyar è in bella vista, solo a poche miglia da Peshawar, ma nessuno li ferma. Tre anni fa la famiglia di Khan si è trasferita in un villaggio appena fuori Shamshatoo. Il padre non voleva che vivessero ancora nel piccolo stato di polizia di Hekmatyar, ma aveva sentito che le scuole erano le migliori nell'area e l'istruzione era praticamente gratuita. Non avrebbe mai immaginato come potessero essere aggressivi i reclutatori, o come fosse sensibile suo figlio. Dalla fine del secondo anno di scuola di Khan nel 2009, il quindicenne si unì alla jihad. Con i suoi amici aveva deciso di arruolarsi, ma gli altri mollarono e lui era troppo timido per andarci da solo. La prossima volta sarà diverso, promise a se stesso.
Quando finì la scuola lo scorso giugno era pronto. Chiamò un reclutatore e due giorni dopo attraversava il Khyber Pass per l'Afghanistan. Fu la prima volta che vide la patria dei suoi genitori. Mandò un messaggio a suo padre per dirgli che aveva aderito alla jihad e che sarebbe tornato in un mese. «Pregate per me» disse a suo padre.
Nel profondo delle montagne dell'Afghanistan orientale, Khan finalmente giunse ad un accampamento disordinato di un complesso di grotte, baracche di fango e tende. Spese molto di quel mese lì, sotto indottrinamento imparando l'uso di varie armi e come piantare le IED. Al diploma, le reclute sono state incitate a rimanere per l'istruzione avanzata, ma Khan aveva promesso al padre che avrebbe finito le scuole. È tornato a casa da Shamshatoo, progettando di terminare il suo addestramento l'estate prossima.
Il padre di Khan ha cercato freneticamente il ragazzo. Non appena il figlio tornò a casa, la famiglia si trasferì da Shamshatoo a Peshawar. La nuova scuola costa 12 dollari al mese – alla fine metà dello stipendio di una settimana per il padre – per non parlare delle uniformi, dei libri e delle spese per gli altri tre figli. «Mando mio figlio per dargli un'educazione islamica, ed Hekmatyar mi rimanda qualcuno che vuole essere uno jihadista o un attentatore suicida» dice. «Il campo di Shamshatoo deve essere demolito». Questo non sta avvenendo, e l'afflusso di reclute di Hekmatyar in Afghanistan non si ferma.