questa è l'homepage che presentava qualche giorno fa il sito dell'Ong Amnesty International, organizzazione sulla cui obiettività ed imparzialità credo si possa difficilmente sindacare. O forse no? Nella versione italiana del sito (http://www.amnesty.it/index.html) compaiono aggiornamenti e azioni urgenti sul caso di Sakineh, la donna iraniana fino a poche settimane fa presente sulle prime pagine di tutti o quasi i nostri quotidiani così come sul caso di Asia Bibi, la donna che in Pakistan rischia la pena di morte per blasfemia o notizie sui detenuti nel braccio della morte americano. Dell'ex numero due dell'Iraq, però, non si trova traccia. Né in homepage né nella cronologia degli articoli presenti, e la cosa mi suona decisamente strana. Delle due l'una: o quelli dell'organizzazione – una volta letta la notizia della grazia – si sono prodigati nel cancellare qualsiasi riferimento a Tareq Aziz oppure non se ne sono occupati minimamente, cosa che porterebbe ad un'ovvia quanto fondamentale domanda: se i diritti umani sono universali, ed il diritto alla vita è il diritto umano per antonomasia (per cui diritto universale per antonomasia...) perché la vita di una donna iraniana – prendo sempre Sakineh come esempio perché giudico la vicenda archetipo della non-universalità con cui si tutelano i diritti umani nel mondo – viene salvata anche grazie ad una campagna mediatica che ha coinvolto tutto l'Occidente, mentre per Tareq Aziz vi è quasi un vuoto pneumatico nei media? Che forse la tutela dei diritti umani sia inversamente proporzionale alla quantità di vittime che il “salvato” ha fatto od al suo – eventuale – ruolo istituzionale?
Una cosa è certa: se – quanto meno in Italia – non ci fosse il “solito” Marco Pannella a tenere un po' di riflettori puntati su di sé (e dunque, per quanto indirettamente, sull'affaire-Aziz) di questo caso non ne sapremmo niente. Ma prima di proseguire, vediamo chi è Tareq Aziz e perché anche per lui si prospetta(va?) il boia.
- Il “regime” dal volto umano...
Tareq Aziz – il cui vero nome è Michael Yuhanna – nasce a Tel Keppe (nord Iraq) il 28 aprile 1936 da una famiglia cattolica di rito caldeo (http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_cattolica_caldea). Studente di inglese all'Università di Baghdad, entra a far parte del Partito Ba'th Arabo Socialista (o, semplicemente, Ba'th) nel 1957 con l'intento di liberare il suo popolo dall'oppressione britannica e superare le divisioni etnico-religiose fomentate dall'Occidente. Giornalista, è l'interlocutore di riferimento del partito con il Presidente Reagan nel 1984. Già Ministro dell'Informazione, gli viene affidato il Ministero degli Esteri nel 1983, ruolo che ricopre fino al 1991, anno della prima Guerra del Golfo.
Nel 1980, intanto, membri del partito di ispirazione sciita Dawa attentarono alla vita di Saddam Hussein e dello stesso Aziz causando comunque varie vittime civili. Il regime del raìs, allora appoggiato da Washington in funzione anti-iraniana, ordinò una violenta operazione repressiva che portò all'esecuzione di appartenenti a quello stesso partito che oggi è guidato dal Primo Ministro Nouri al-Maliki (Mahmud Saleh al-Hasan, il giudice che aveva emesso la sentenza di morte, è anch'egli esponente di spicco della coalizione di governo, per cui evidente è il conflitto di interessi e la poca imparzialità della giuria).
Nel 1979 Tareq Aziz diventa vicepresidente dell'iraq e membro – unico non appartenente al clan di Tikrit – del Consiglio di Comando della Rivoluzione, carica che ricoprirà fino alla fine del “regime” baathista nel 2003, anno nel quale si consegna alle forze della Coalizione. Posto al numero 43 (su un totale di 55) dei “most wanted” del regime iracheno, è sempre stato considerato il “volto umano” del regime. È l'ultimo custode ancora in vita dei segreti più nascosti non solo dell'Iraq sotto Saddam, ma anche di quelli inerenti ai rapporti Baghdad-Washington degli ultimi trent'anni. Uno su tutti il placet dato da Washington all'invasione del Kuwait nell'estate del 1990: insieme a Saddam Hussein, infatti, Aziz incontrò April Glaspie – allora ambasciatrice americana nell'area – che con sé portava, de facto, il placet all'operazione che – come i libri di storia insegnano – avrebbe originato la prima Guerra del Golfo Persico.
La condanna a morte, dunque, era stata pensata per punire Tareq Aziz dei crimini di guerra compiuti dal regime e nei quali, però, non è così evidente la mano dell'ex vice-premier o, più facilmente, era una vera e propria vendetta – trasformata poi in semplice avvertimento – degli americani? E come interpretare le parole rilasciate proprio da Aziz al Guardian nell'agosto scorso, quando aveva duramente accusato Obama e la sua amministrazione – composta di molti dei “falchi” del Partito Democratico – sostenendo che l'Iraq sia ora «in mano a dei lupi che hanno ucciso l'Iraq»?
La vicenda giudiziaria che lo riguarda, comunque, non finisce qui: se – infatti – si può dare alla storia il suo coinvolgimento nello scandalo “Oil for Food”, dove l'Iraq – per la “modica” cifra di 1,8 miliardi di dollari in tangenti e consistenti partite di petrolio – si assicurò l'aggiramento dell'embargo pagando circa duemila società di tutto il mondo ed anche alcuni funzionari dell'Onu (tra cui Kojo Annan, figlio dell'allora Segretario Generale Kofi), ci sono ancora altre due condanne per un totale di ventidue anni di carcere che rappresentano – per un uomo di 74 anni – un ergastolo. Nel 2008 viene processato e condannato – dopo cinque anni di carcerazione senza accuse specifiche – per responsabilità diretta nell'esecuzione di quarantadue commercianti iracheni accusati di aver manipolato il prezzo del cibo nel 1992 (quando l'Iraq era ancora sotto embargo). Anche se il crimine era stato attribuito al solo rais, Tareq Aziz viene condannato a 15 anni, ai quali si aggiungono i sette inflittigli un anno dopo nell'ambito del processo sui crimini del regime verso il popolo kurdo. Anche in questo caso, però – come dimostrato da fonti occidentali – non vi erano prove davvero schiaccianti sulle responsabilità dirette di Tareq Aziz nella vicenda. L'ultima condanna, quella per cui ha ricevuto la grazia da Talabani, riguarda il processo per la persecuzione nei confronti dei partiti filo-iraniani degli anni Ottanta.
- ...il “grande vecchio” della politica italiana...
«Chiedo a Silvio Berlusconi, che quasi ossessivamente afferma di avere per amici, e non solo complici, i potenti della Terra e in particolare Bush, Blair, Putin e Gheddafi, di dimostrarcelo in questa occasione, ne ha il dovere essendo stato fra i principali responsabili della guerra in Iraq scoppiata per impedire l'esilio di Saddam e la pace, in quel caso ingannando il Parlamento e il popolo italiano». A dirlo è Marco Pannella, il “grande vecchio” della politica italiana e uno dei pochi – se non l'unico – tra i politici italiani ad avere un po' di credito internazionale. Ed è stato proprio Pannella (potete leggerlo qui: http://senorbabylon.blogspot.com/2010/10/war-on-terrorism-la-guerra-in-iraq-e.html) ad accendere i riflettori sulla Verità irachena: Saddam Hussein aveva scelto l'esilio. Furono poi Bush, Blair e – per devozione all'amico texano – Berlusconi a scrivere una Storia diversa.
Mentre Pannella sospendeva lo sciopero della fame e della sete (noi giovani avremmo molte più cose da imparare da un gesto simile che non da tante parole che ci vengono dette da altri e ben più presenzialisti esponenti politici) scendeva in campo un radicale che non t'aspetti, quel Gianni Alemanno che – sul finire degli anni Ottanta – oltre a far parte del Fronte della Gioventù aveva in tasca anche la tessera dei Radicali: «dire no alla pena di morte non vuol dire entrare nel merito di una sentenza ma ritenere inaccettabile che un essere umano indifeso e gettato in una cella venga ucciso da uno stato. E' un atto di vigliaccheria che non sopportiamo» parole che un tempo erano l'abc per quella sinistra cosiddetta “estrema” che oggi cerca alleanze insultanti (per il popolo dei suoi elettori) pur di rivedere la poltrona. Ma questo è un altro discorso...
- ...e la comunità internazionale
C'è Pannella, c'è il “radicale che non t'aspetti” Alemanno, manca – come al solito – la Sinistra (quella con la maiuscola sul modello di quella di trent'anni fa, per intenderci...) ma manca, soprattutto, la comunità internazionale, la c.d. “società civile” pronta a muoversi con fiaccolate, discese in strada e cose simili solo se opportunamente ammaestrata e condotta. Perché per quanto la vita di Tareq Aziz sembra essere stata salvata – almeno a parole – da Talabani, è pur vero che pendono sulla sua testa ancora sette processi, e che anche con un'assoluzione totale da tutti i capi d'imputazione possa essergli salvata la vita (l'impiccagione di Saddam Hussein è lì a testimoniarlo...), in particolare se si trasformerà in battaglia politica quella che – prima di tutto – è una battaglia civile.
Ciò non vuol dire che Tareq Aziz debba essere considerato estraneo alle violenze del regime baathista, anche se bisogna sottolineare come il funzionamento del regime stesso tendesse a tener fuori dall'apparato di sicurezza tutti coloro che – come Aziz – non erano direttamente riconducibili al già citato “clan di Tikrit”.
Da più parti – ormai da anni – si chiede di far luce sulle vicende irachene (nel nostro paese più e più volte sono state richieste – in particolare dai Radicali – delle commissioni d'inchiesta) per far luce non solo sul marciume e sulle violenze di Saddam e soci (per le quali bisognerebbe però chiedersi quali erano i “piani superiori” in gioco), ma anche – e soprattutto – sul marciume e le violenze della Coalizione, sia durante il conflitto che nelle fasi precedenti ed immediatamente successive. E in questo caso, probabilmente, le parole di Aziz potrebbero far tremare più di una poltrona. È per questo che l'attenzione sulla vicenda deve rimanere alta. Per non ritrovarci, un giorno, a dover parlare dell'ennesimo crimine contro l'umanità dei tanto decantati “esportatori di pace e democrazia”.
In conclusione rimangono ancora due domande inevase: perchè Tareq Aziz si trova sul banco degli imputati mentre leader “democratici” come George W. Bush (che potremmo tranquillamente sostituire con l'attuale inquilino della Casa Bianca) Tony Blair e Silvio Berlusconi sono ancora a piede libero e non - applicando i "valori" occidentali - davanti al giudice di una corte penale internazionale? E poi la “domanda da un milione di dollari”, quella che probabilmente mai troverà risposta: perché bisogna uccidere un uomo per far capire ad altri uomini che uccidere è sbagliato?