Da quella data, infatti, anche in ambito permesso di soggiorno entrerà in vigore quell'aberrazione dell'intelletto umano volgarmente denominato “pacchetto sicurezza”.
Come al solito in questo paese nulla si crea né si distrugge se non passando nelle forche caudine della burocrazia italiana. Spesso una via senza uscita...
A mio modo di vedere lo straniero che intende diventare cittadino del nostro paese, ancor prima di fare la conoscenza della nostra farraginosa macchina burocratica dovrebbe porsi una domanda fondamentale: ne vale davvero la pena? Cioè: visto il momento storico nel quale ci troviamo – un clima nel quale la xenofobia sembra essere diventata il primo punto del programma di governo – è davvero l'Italia il posto su cui investire ed in cui crearsi un futuro per un/a cittadin@ stranier@?
Non potendo rispondere a questo quesito, non tanto perché nato e cresciuto italiano quanto perché, da anarchico, non concepisco l'utilità di concetti come “patria” o “confini”, dunque mi sembra completamente inutile che un individuo possa chiedere la protezione di questo o quell'altro paese attraverso la richiesta di cittadinanza (“Nostra patria è il mondo intero” recita d'altronde uno dei più noti stornelli anarchici...) è interessante però guardare all'iter a cui si va incontro se si vuole diventare italian*.
Di tutto il procedimento introdotto nell'ultimo periodo c'è una cosa che mi fa ridere: l'esame di lingua per stranieri. Mi fa ridere perché lo trovo totalmente inutile, considerando che l'italiano – come lingua nazionale – esiste solo nelle grammatiche che ci fanno studiare a scuola o nelle carte di quella famosa burocrazia di cui in precedenza.
Sono passati 150 anni dal sacco del Meridione, grazie al quale – oggi – il nord può arrogarsi il titolo di “zona trainante” per l'economia di questo paese, dunque sono 150 anni che – almeno in teoria – abbiamo adottato come lingua ufficiale l'italiano. Ma esiste davvero questa lingua? Pensiamoci un attimo: noi italiani, la nostra lingua, la conosciamo? Non mi riferisco al burrascoso problema che abbiamo con la coniugazione del congiuntivo, quanto ad una cosa ben più importante come i dialetti (in alcuni casi vere e proprie lingue alternative all'italiano e come tali riconosciute).
Quanti, vivendo su questo territorio, sanno parlare davvero un italiano perfetto e quanti, invece, ne hanno col tempo creato una versione fortemente influenzata da espressioni dialettali, creandone così un ibrido?
In questo vedo anche una risposta ad un'altra – fondamentale – domanda: l'Italia è davvero un paese unito, oppure la famosa Unità che la classe politica si appresta a festeggiare in pompa magna è solo una bella speranza rimasta su carta? Ma questa – come direbbe il buon Carlo Lucarelli – è un'altra storia...
Torniamo al nostro bell'esame per diventare “cittadini” italiani. Il primo scoglio è sicuramente la richiesta, dove – stando almeno ai documenti di cui sono entrato in possesso (reperibilissimi in rete...) - si evince da subito non solo l'inutilità della nostra burocrazia come sostenevo all'inizio, ma anche il carattere del trattare le questioni “a tarallucci e vino” del popolo italiano: una delle prime cose che leggo, infatti, è che per la risposta sull'eventuale ammissione al test la Questura dovrebbe rispondere entro 90 giorni. Proprio così: “dovrebbe rispondere”, per la serie: “forse, se c'è tempo e se non c'è niente di meglio da fare qualcuno potrebbe anche prendersi la briga di rispondere”. Più o meno quello con cui quotidianamente ci scontriamo tutti, e contro il quale imprechiamo più volte al giorno...
Oltre a questo naturalmente bisogna presentare domanda in forma scritta (anzi, molto più probabile in forma digitale). Tale domanda dovrà contenere:
generalità del richiedente;
dati del titolo di soggiorno (con scadenza e tipologia);
dati del documento valido per l'espatrio;
indirizzo presso cui il richiedente riceverà la convocazione per lo svolgimento della prova.
Oltre a questo – che dunque prevede non solo una conoscenza pregressa della nostra lingua ma anche e soprattutto la conoscenza del nostro linguaggio burocratico-documentale, cosa spesso non semplice neanche per noi autoctoni – il richiedente dovrà dimostrare di avere un reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale (che per il 2010 è fissato in 411,53€, pari a 5349,89 € annui) documentabile attraverso la presentazione delle buste paga dell'anno in corso e, ovviamente, fornire la documentazione penale.
Questo implica un altro paio di aspetti non proprio secondari: innanzitutto che lo straniero abbia un lavoro regolare e che sia incensurato (non credo infatti che una fedina penale macchiata dia punteggio favorevole). Ora, ammettiamo che il/la nostr@ candidat@ sia arrivato in questo paese in modo irregolare. Non conosco i dati ufficiali, ma il numero degli ingressi di questo tipo è elevatissimo, dunque è un caso non proprio remoto. Con il pacchetto sicurezza, come più volte ho documentato anche attraverso il blog, se sei entrato in questo modo in Italia finisci automaticamente o nelle patrie galere o nei Centri di Identificazione ed Espulsione, anche se magari nel tuo soggiorno in Italia non hai commesso alcun reato e, ad esempio, sei stato in Puglia a raccogliere i pomodori che arriveranno a breve sulle nostre tavole o nel “produttivo Nord-Est” a lavorare per padroni che, alla prima occasione (quando non avranno più bisogno di te) non si faranno molti scrupoli a denunciarti. Oltre a ciò si consideri anche l'ampissimo numero di soggetti immigrati che non riescono a trovare lavoro regolare da noi e lavorano in nero. Anche a loro è preclusa la richiesta, visto che il lavoro in nero non prevede buste paga. Per cui, facendo il famoso conto della serva, quel che si evince abbastanza facilmente è che la cittadinanza può essere richiesta solo da una certa parte di stranieri immigrati: quelli della classe medio-alta, rientranti magari nelle “quote”, con discreta padronanza della lingua la cui fedina penale sia più pulita del lavandino delle pubblicità dopo il passaggio del detersivo reclamizzato.
È data la possibilità, al/alla richiedente di avvalersi della richiesta anche per i familiari, a patto che il/la candidat@ disponga di un alloggio idoneo (i cui parametri sono accertati dalla Asl competente) ed accerti, attraverso un attestato anagrafico tradotto e validato dall’autorità consolare nel paese d'origine, la permanenza stabile del soggetto richiedente.
Una volta arrivati a questo punto, ovviamente, bisogna pagare (ma d'altronde, nel paese in cui per battuta si dice che i somari laureati si siano comprati il “pezzo di carta” quando invece tutti, anche i più brillanti tra gli studenti, devono pagare esorbitanti tasse universitarie è normale comprarsi anche la cittadinanza) 72,12 €, di cui 27,50 € corrispondenti al bollettino per il permesso di soggiorno elettronico; 14,62 € per il contrassegno telematico ed altri 30 € di raccomandata.
Una volta terminate queste operazioni, bisogna rimettersi alla fortuna (o pregare la divinità della propria religione) che qualcuno si ricordi della pratica entro i famigerati 90 giorni e, tanto per semplificare ancor più le cose, la richiesta di partecipazione all'esame deve essere fatta per via telematica – dando così per scontata che il/la richiedente abbia una minima infarinatura di tecnologia telematica – alla prefettura competente per territorialità. Si può anche fare richiesta “alla vecchia maniera”, presentando la domanda in forma scritta. Ma bisogna fare richiesta anche per richiedere questo aspetto...
Arrivati a questo punto, non rimane che affrontare la prova. Prova che dovrà verificare se il/la candidat@ è in possesso del livello A2 di conoscenza della nostra lingua. Livello che prevede (cito testualmente dalla “scheda per l'autovalutazione”):
- Comprensione:
Riesco ad afferrare l'essenziale di messaggi e annunci brevi, semplici e chiari:
→ lettura: Riesco a leggere testi molto brevi e semplici e a trovare informazioni specifiche e prevedibili in materiale di uso quotidiano, quali pubblicità, programmi, menù e orari.
Riesco a capire lettere personali semplici e brevi;
- Parlato:
Riesco a partecipare a brevi conversaioni, anche se di solito non capisco abbastanza per riuscire a sostenere la conversazione.
→ produzione orale: Riesco ad usare una serie di espressioni e frasi per descrivere con parole semplici la mia famiglia ed altre persone, le mie condizioni di vita, la carriera scolastica e il mio lavoro attuale o più recente
→ produzione scritta: Riesco a prendere semplici appunti e a scrivere brevi messaggi su argomenti riguardanti bisogni immediati.
Riesco a scrivere una lettera personale molto semplice, per esempio per ringraziare qualcuno.
«Identificazione dello straniero a cura del personale della prefettura ed esibizione della convocazione, con modalità informatiche, strutturato sulla comprensione di brevi testi e sulla capacità di interazione, in conformità con i parametri adottati per le specifiche abilità, dagli enti di certificazione.(...)In caso di esito negativo lo straniero può ripetere la prova, previa richiesta» è quanto recita il documento alla voce “svolgimento”. Niente di più niente di meno di un esame all'università, nel quale – come spesso succede – non solo viene richiesto al/alla candidat@ di rispondere in maniera corretta al quesito, ma anche – preliminarmente – di decifrare quel che viene chiesto.
Dall'iter sono peraltro esentati:
- minori di 14 anni;
- chi presenta gravi problemi di apprendimento linguistico per età, handicap/patologie (certificate dal medico);
- possessori di certificato A2/diploma scuola media o superiore ottenuto in un istituto italiano, chi frequenta un corso universitario/dottorato/master oltre a dirigenti, docenti universitari, traduttori, interpreti, giornalisti
Ah, ovviamente per ottenere esito positivo il punteggio minimo è l'80% delle risposte corrette. Mi chiedo quanti italiani riuscirebbero a diventare tali passando per questo iter. Ma anche questa è un'altra storia...