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Valle del Panshir (Afghanistan) – Due colpi di arma da fuoco mentre tentava di difendere la donna che lo accompagnava. Anzi no, morte a seguito di pestaggio. Dinamiche non così simili, ma il corpo è stato cremato. Perché nessuno possa scoprire la verità su una delle 53 macchie di sangue sulla bandiera tricolore issata in Afghanistan. 53 come il conto delle vittime militari – non le uniche, come vedremo in seguito – del nostro intervento nella missione Isaf.
A differenza di chi è morto o è rimasto ferito per un ordigno artigianale, gli ormai ben noti Improvised explosive device (IED), la macchia dell'assassinio del tenente colonnello Cristiano Congiu (nella foto) è diversa. Più scura e dai contorni indefiniti, esattamente come i motivi che lo hanno portato alla morte.
A Kabul ci era arrivato nel 2007, lavorava all'ambasciata come ufficiale della Direzione Centrale dei servizi antidroga. Il suo compito era quello di indagare sulla produzione di droga destinata all'esportazione.
Nel 2010, insieme a Rosario Aitala, giudice e consulente del Ministero degli Affari Esteri per le aree di crisi ed il crimine organizzato, della droga afghana ne aveva anche scritto nel febbraio 2010 sulla rivista italiana di geopolitica Limes, con un articolo dal titolo più che eloquente: “La droga ha vinto”.
La frase più importante di questo omicidio, però, il tenente Congiu la scrive su Facebook: «vogliono farmi tacere».
Omicidio in due versioni. Il tenente colonnello viene ucciso il 3 giugno del 2011. Il 19 sarebbe dovuto tornare in Italia.
La prima versione dell'omicidio parla di due colpi di arma da fuoco, uno al petto ed uno al viso, esplosi verso Congiu che, insieme alla donna che lo accompagnava, stava subendo un tentativo di rapina. Con il passare delle ore la versione cambia, e il tenente colonnello viene ucciso non a seguito di rapina ma per una rissa scoppiata tra lui ed un “noto eroinomane” - stando alla ricostruzione fatta dal senatore Mohammed Faizi – al quale Congiu avrebbe sparato due colpi mandandolo in coma. Dopodiché i parenti dell'uomo avrebbero sparato a Congiu per rappresaglia. Perché dopo 12 anni di invasione in Afghanistan lo Stato di diritto è stato ampiamente assimilato dalla cultura afghana, evidentemente...
Poi i dettagli dell'omicidio cambiano ancora. A smentire questa volta ci pensa Karamuddin Karim, governatore del Panshir, secondo il quale sarebbe stato un pestaggio – e non un omicidio tramite arma da fuoco – ad uccidere il tenente.
A questo punto arriva anche la versione di Mohtaudin, il giovane a cui Congiu avrebbe sparato. Secondo la sua ricostruzione l'asino con il quale lui ed un suo amico stavano viaggiando avrebbe urtato la donna perché il sentiero era particolarmente stretto e solo per questo il tenente colonnello avrebbe estratto la pistola e sparato.
Se tale dinamica fosse vera, ciò indicherebbe o che il tenente era un tipo dal grilletto facile – cosa che appare difficile stando a chi lo conosceva, come l'ex ambasciatore italiano a Kabul Ettore Sequi che in una lettera del 2008 descriveva tutt'altra personalità – o che forse il tenente fosse particolarmente nervoso, magari proprio per aver scoperto che, come scrisse poi sul suo profilo Facebook, volevano farlo tacere.
Ma nemmeno la versione di Mohtaudin è vera. O, almeno, non lo è nella sua interezza.
Scrive Giorgia Pietropaoli nel suo “Missione Oppio. Afghanistan: cronache e retroscena di una guerra persa in partenza”- dal quale ho appreso molte delle informazioni di questo articolo - «Testimoni che hanno potuto vedere il corpo prima dell'autopsia, hanno riferito che a uccidere Cristiano Congiu è stato un solo colpo di arma da fuoco alla testa, quasi come se fosse stata un'esecuzione. Non c'erano segni di pestaggio che confermassero la versione delle pietre e dei bastoni. E del colpo al petto, riportato nell'autopsia, non c'era la benché minima traccia. Il corpo di Cristiano è stato provvidenzialmente cremato».[1]
La donna che era con Congiu quel giorno – stando alla sua deposizione i due stavano andando a visitare alcune miniere - confermerà in alcune parti quanto sostenuto da Mohtaudin: vera la presenza dell'asino, che però non ha urtato la donna, che è stata invece strattonata ed immobilizzata contro la parete della roccia lungo il sentiero, giustificando il seguente colpo di pistola a seguito di un pericolo imminente, del quale però non si sa altro. Veri, evidentemente, il colpo di pistola e la dinamica generale della vicenda.
Un particolare è, però, molto interessante: la donna, Francesca Violetta Cisotto, ingegnere civile per l'americana Aet International che in Afghanistan voleva aprire una società per acquistare una miniera di smeraldi nella regione del Panshir, ha raccontato che dopo lo sparo l'uomo che era con i due, identificato come Abdul Salim, amico di Congiu, «vedendo quanto accaduto diceva, poggiando una mano sulla spalla di Congiu: cosa hai fatto! […] Siete morti. […] Io intanto venivo invitata ad allontanarmi da Abdul Salim. Ascoltando quanto consigliato, iniziavo a correre in direzione dell'auto. Poco dopo venivo raggiunta da Congiu e Salim e insieme proseguivamo la marcia, più in fretta possibile».[2]
Gli interrogativi, a questo punto, si sprecano: se, come è stato riportato anche da alcuni tra i principali organi di stampa italiani (Fatto Quotidiano; Tg1; Repubblica; Corriere della Sera), Cristiano Congiu è stato ucciso per “criminalità comune” perché Abdul Salim lo avvisa che quanto successo è, de facto, una condanna a morte? È questo, oggi, l'Afghanistan? Un posto dove dopo 12 anni di conflitto ognuno si fa giustizia da sé in maniera tanto scontata da esserne consci ben prima che questo avvenga? O forse l'uomo ferito da Congiu aveva qualcosa di tanto speciale da dover essere considerato quasi un “intoccabile”? Oppure, terza ipotesi: l'intera vicenda è stata costruita ad arte per uccidere Congiu? Ed in questo caso per quale motivo? Per qualcosa che aveva scoperto legato all'esportazione della droga?
Terza ipotesi, che troverebbe una seppur parziale conferma anche nella dinamica dell'omicidio raccontata dalla Cisotto (riportata da Martina Di Berardino in un articolo del quotidiano Il Messaggero del 12 agosto 2011[3]): «vedevo che sia lui [Congiu, ndr] sia Abdul Salim erano sempre più distanti, comunque a vista. In quel frangente avvertivo alle mie spalle una presenza e voltandomi notavo un uomo che correva verso di noi, a una quota più elevata seppur distante pochi metri da me. Quando me lo sono trovato davanti mi sono accorta che imbracciava un kalashnikov e lo puntava direttamente in direzione di Cristiano Congiu», ciò potrebbe significare che l'unico obiettivo dell'azione era proprio il tenente colonnello, anche alla luce degli altri colpi sparati verso di lui – tre in tutto secondo la ricostruzione – ed i due esplosi verso la Cisotto, che la raggiungevano però solo a pochi centimetri dai piedi ma non la uccidono né, tanto meno, feriscono. Un “consiglio” a stare zitta? O forse, semplicemente, la donna non era così interessante per l'assassino da giustificare un secondo omicidio?
Congiu, dunque, dopo qualche giorno sarebbe dovuto tornare in patria, richiamato dai suoi superiori. Da qui quell'inquietante – alla luce di quanto avvenuto in seguito – messaggio su Facebook. L'omidicio? Una semplice quanto sfortunata casualità. È, in attesa della verità, un'ipotesi che non può essere comunque scartata a priori.
Note:
[1] "Missione Oppio. Afghanistan: cronache e retroscena di una guerra persa in partenza” di Giorgia Pietropaoli edito da Alpine Studio nel 2013, pag.87;
[2] "Missione Oppio. Afghanistan: cronache e retroscena di una guerra persa in partenza” di Giorgia Pietropaoli edito da Alpine Studio nel 2013, pag.88;
[3] "La guida ci disse: ora siete morti", Martina Di Berardino, Il Messaggero, 12 agosto 2011.
Già pubblicati:
[1-Afghanistan, l'editto anti-oppio e lo "strano" tempismo di una guerra che non finirà, 9 luglio]
[3- Il Signor Smith svela la "Missione oppio". Intervista a Giorgia Pietropaoli, 10 luglio]
[3- L'oppio afghano finanzia le campagne elettorali (statunitensi)?, 11 luglio]
[4- BigPharma: il grande elettore tra Obama e Bush, 12 luglio]
http://www.infooggi.it/articolo/afghanistan-52-macchie-di-sangue-sulla-bandiera-italiana-piu-una/45564/